E’ davvero curioso questo Natale di Pier Ferdinando Casini. Che da cattolico praticante vorrebbe giustamente festeggiarlo in serenità e fiducia. Ma che stavolta assomiglia per lui ad una Quaresima, e più in particolare alla fase settimana di Passione, a causa dei problemi che gli ha creato la presidenza della commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche. Una presidenza, peraltro, capitatagli fra capo e collo dopo che lui, saggiamente, aveva sconsigliato di percorrere quella strada per venire a capo dei pasticci, a dir poco, in cui erano rotolati tanti risparmiatori, e poche, pochissime teste, se non nessuna, dei vertici aziendali e dei loro controllori. Tanto ne aveva diffidato, il “Pierfurby”, come affettuosamente viene chiamato dagli amici l’ex presidente della Camera, da non aver voluto votare la legge costituiva di questa commissione, parendogli più appropriate le indagini giudiziarie.
C’è stato forse solo un altro Natale così faticoso, incidentato e anomalo nella vita del politico Casini: quello del 1993. Allora l’ultimo segretario della sua Dc, il bresciano Mino Martinazzoli, aveva consigliato a lui, per i suoi rapporti stretti con Arnaldo Forlani, e a Clemente Mastella, per i suoi rapporti altrettanto stretti con Ciriaco De Mita, di rassegnarsi a stare fermi per un giro elettorale: il tempo necessario per far passare quell’uragano giudiziario che stava travolgendo la cosiddetta prima Repubblica e aveva fatto scambiarne i maggiori esponenti per gente di malaffare, già col piombo delle Procure nelle ali o in procinto di riceverne.
Casini e Mastella dissero no a Martinazzoli e improvvisarono un partitino moderato con l’aiuto non certo disinteressato di Silvio Berlusconi, che se li portò alla Camera nelle liste Forza Italia e li autorizzò poi a costituire dei gruppi parlamentari autonomi, con e nei quali i due seppero destreggiarsi alla grande, pur dividendosi ad un certo punto. Casini sarebbe riuscito a diventare presidente della Camera e sfiorare il Quirinale. Mastella sarebbe diventato nel secondo governo di cosiddetto centrosinistra di Romano Prodi ministro della Giustizia. Ma ciò non gli evitò di cadere con l’intera famiglia tra le grinfie della Procura della Repubblica di Santa Maria Capovetere. La moglie, presidente del Consiglio Regionle della Campania, finì agli arresti domiciliari, lui si dimise per protesta e Prodi tornò a casa con tutte e due le Camere, sciolte anticipatamente.
Ora Mastella, sindaco di Benevento e finalmente assolto dalle accuse di corruzione, concussione e quant’atro nel campo della sanità campana, anche se nel casellario giudiziario custodito, diciamo così, da Marco Travaglio risulta ancora aperto un processo contro di lui, peraltro il più insidioso secondo le valutazioni del direttore del Fatto Quotidiano, sta tornando con la sua Udeur nel centrodestra. Casini invece partecipa alla composizione del campo elettorale renziano del Pd, ma si trova esposto come presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche ad ogni sospetto degli antirenziani di favorire, coprire e quant’altro quel vaso dei veleni che è diventata la vicenda della dissestata Banca Etruria. Che ha avuto, fra gli altri, l’inconveniente di essere stata vice-presieduta da Pier Luigi Boschi, padre di Maria Elena, già potente ministra delle riforme nel governo Renzi e ora non meno influente sottosegretaria alla presidenza del Consiglio nel governo Gentiloni.
Ogni decisione sulla lista delle persone da ascoltare, per quanto presa nell’ufficio di presidenza a maggioranza, spesso col dissenso del presidente, viene valutata in ordine ai riflessi che può avere nei rapporti fra Casini e il Pd. Ogni occhiata durante le sedute della commissione, ogni suo sospiro, ogni dichiarazione strappatagli dai giornalisti, ogni intervista che Casini rilascia viene soppesata e interpretata in funzione delle sue ambizioni di candidato alle nuove Camere.
La legislatura è davvero agli sgoccioli, e con essa anche la commissione d’indagine che Casini presiede. Ma il suo percorso è quello della Croce, non della Natività.
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