Le sfide di Grasso, Renzi e Salvini nella seconda domenica d’avvento

Quella appena trascorsa è stata in chiesa la seconda domanda di avvento, nelle piazze  una domenica di sfide politiche nella corsa alle elezioni di marzo. E’ ormai assodato che il presidente della Repubblica si appresta a chiudere la diciassettesima legislatura per mandarci alle urne appunto in quel mese, non oltre. E farebbe bene perché diversamente contribuirebbe, volente o nolente, all’aumento delle tensioni e della confusione.

A proposito di confusione, la prima sfida in ordine gerarchico, per il ruolo istituzionale che ricopre alla presidenza del Senato, è stata quella di Pietro Grasso. Che ha presentato in diretta televisiva sulla prima rete della Rai, ospite di Fabio Fazio, il logo delle liste elettorali che portano il suo nome, come i neonati i loro braccialetti di riconoscimento. Lo ha spiegato lo stesso Grasso, quasi scusandosene e riferendo della spiegazione datagli dai grafici, ma dopo avere assicurato ch’egli saprà guidare con polso sicuro il movimento che gli si è consegnato.

Altro, quindi, che prendere ordini dal solito  Massimo D’Alema, come in quello stesso salotto televisivo aveva insinuato Matteo Renzi. Di cui -visto che si trovava, e proprio per ricambiargli la cortesia- il presidente del Senato ha detto di prevedere un avvenire per niente “roseo”. Di rosso, naturalmente, non se ne parla neppure perché gli avversari considerano notoriamente il segretario del Pd un infiltrato della destra, per quanto Grasso abbia riconosciuto che ormai destra e sinistra sono categorie superate. Tanto superate, che la sinistra è rimasta fuori dal nome delle liste che il presidente del Senato capeggia portando invece lo slogan di Liberi e uguali. Di sinistra, il logo ha conservato solo un colore rosso intenso, che Grasso ha scambiato per arancione.

Un’altra sfida è quella furbescamente avanzata da Matteo Salvini parlando di Renzi, cui ha promesso di contrapporsi come candidato in ogni collegio dove deciderà di presentarsi il segretario del Pd, ma pensando a Silvio Berlusconi. Che questa contrapposizione anche fisica non se la potrà permettere non perché ha quasi il doppio degli anni di Renzi ma perché non ne ha la stessa agibilità elettorale, dato il proprio stato perdurante di incandidabilità, per quanto sotto ricorso davanti alla Corte europea dei diritti umani.

Non foss’altro che a causa di questa incresciosa situazione, anche a dispetto dei sondaggi che danno il partito dell’ex presidente forzista del Consiglio  in recupero sulla Lega, Salvini si sente avvantaggiato rispetto all’alleato. Che lo stesso Salvini d’altronde sospetta da tempo pubblicamente di essere tentato dall’accordo con Renzi dopo le elezioni, anche a costo di rompere la ricostituita o ricostituenda coalizione di centrodestra.

Arriviamo così alla terza sfida della seconda domenica d’avvento. E’ quella di Renzi. Che, accettando di buon grado il guanto lanciatogli da Salvini, decisamente più leggero di quello del movimento grillino, che da solo viene accreditato di quasi il 30 per cento dei voti, ha promesso che non andrà “mai” al governo con Berlusconi.

Quella di Renzi per i suoi avversari di sinistra è forse una promessa da marinaio, essendo costoro convinti che il segretario del Pd progetti il ritorno alle cosiddette larghe intese che all’inizio di questa legislatura portarono a Palazzo Chigi Enrico Letta, lasciandovelo sino a quando proprio Renzi, arrivato alla segreteria del partito, non decise di negargli la “serenità” che gli aveva appena garantito.

Se quella antiberlusconiana di Renzi sarà davvero una promessa da marinaio, peraltro imprudente con quel “mai” che in politica non consigliabile pronunciare, lo sapremo solo dopo le elezioni. Ma sarà francamente difficile, almeno sul piano letterale, che Renzi e Berlusconi potranno sedere personalmente insieme in un governo. E ciò un pò perché il segretario del Pd mi sembra già rassegnato a lasciare a Palazzo Chigi Paolo Gentiloni, o a spingervi un altro del suo partito, e un po’ per la perdurante inagibililità di Berlusconi anche come ministro.

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