Ora si sciacquano in Arno i panni dell’ergastolano di mafia Graviano

Se Alessandro Manzoni andò a Firenze per “sciacquare in Arno i panni” dei suoi Promessi Sposi, come scrisse alla madre ritenendo che in riva a quel fiume si parlasse il migliore italiano possibile, gli storici delle stragi mafiose del biennio 1992-93 sono costretti di tanto in tanto a tornarvi per sapere una buona volta per sempre se ad ordinarle furono addirittura Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. Che, costruito in tutta fretta il loro partito col grido e il nome sportivo di Forza Italia, avrebbero chiesto e ottenuto dalla mafia il “regalo” di un po’ di attentati per dare il colpo di grazia alla cosiddetta prima Repubblica morente del morbo di Tangentopoli. E infatti – pensano i suoi avversari- Berlusconi vinse le elezioni anticipate del 1994, sottraendosi poi alla riconoscenza che la mafia si aspettava, per cui ora starebbe facendo i conti con i delusi o i traditi.

Un’indagine su questa ricostruzione della storia d’Italia attribuita ultimamente all’ergastolano di mafia Giuseppe Graviano, intercettato nella primavera del 2016 a colloquio con un suo compagno d’aria, è stata riaperta proprio a Firenze. Riaperta, perché sempre lì, sulle rive dell’Arno, hanno archiviato storie analoghe raccontate o attribuite ai pentiti di mafia Salvatore Cancemi e Gaspare Spatuzza. Ora si riprova con Graviano, appunto, che però qualche giorno fa, a proposito della stessa intercettazione di cui si stanno occupando a Firenze, si è rifiutato di rispondere al processo in corso a Palermo sulla presunta trattativa fra lo Stato e la mafia, sempre lei, e sempre in quegli anni.

Quello di Palermo, specie dopo l’assoluzione  già rimediata da alcuni imputati o col rito abbreviato o in altra sede, è ormai un processo in sonno mediatico. Le sue udienze sono raccontate sempre da meno giornali, e da cronisti sempre più annoiati, per quanto sforzi compiano i pubblici ministeri di ravvivarlo: cosa che hanno fatto proprio con l’intercettazione di Graviano, dall’ascolto e dalla interpretazione controversa, a dire il vero, ma ugualmente mandata a tutti gli uffici giudiziari occupatisi delle stragi compiute in varie parti d’Italia e interessati quindi a saperne di più.

Una volta critici e dubbiosi avrebbero parlato di giustizia e indagini “a orologeria” per la loro coincidenza con passaggi elettorali, e col sospetto quindi ch’esse potessero o addirittura dovessero servire a danneggiare l’indagato o l’imputato impegnato direttamente o anche indirettamente nella competizione di turno. E Berlusconi lo è sia nella campagna elettorale per il voto siciliano di domenica prossima, 5 novembre, sia nella campagna elettorale per il voto politico nazionale previsto per il 4 marzo  dell’anno prossimo, o per qualche altra domenica successiva.

Adesso neppure più Berlusconi parla delle sue vicende giudiziarie con l’orologio in mano, bastando e avanzando il solo annuncio di un’altra indagine a suo carico per rafforzarne l’immagine di perseguitato. Non escludo pertanto che egli, forse trattenuto solo dal rispetto per l’amico Dell’Utri, già in carcere, non si decida a complimentarsi nelle prossime ore con gli inquirenti fiorentini per l’aiuto che involontariamente gli stanno dando in Sicilia e altrove.

 

 

Pubblicato da ItaliaOggi il 1° novembre 2017 col titolo: La solita ribollita contro Berlusconi

La festa del risparmio fra le celebrazioni centenarie di Caporetto

La giornata del risparmio, festeggiata quest’anno con particolare partecipazione da Ignazio Visco, appena confermato governatore della Banca d’Italia, coincide sfortunatamente con le celebrazioni, di cui sono pieni da una settimana i giornali e le trasmissioni televisive, del centenario della disfatta di Caporetto.

E’ una coincidenza sfortunata perché in qualche modo accomuna i nostri poveri soldati di cento anni fa, costretti alla ritirata o alla morte, spesso per fucilazione come traditori, ai risparmiatori che hanno dovuto più o meno recentemente gli effetti della cattiva gestione delle banche alle quali avevano affidato i loro denari. E su cui è ormai assodato che la vigilanza della Banca d’Italia è stata tanto zoppicante da avere indotto il presidente della commissione parlamentare d’inchiesta, Pier Ferdinando Casini, a lamentare “troppe ambiguità e complicità”. E siamo solo agli inizi dell’indagine parlamentare, che non è detto sia destinata a finire con lo scioglimento delle Camere, per conclusione ordinaria della legislatura, perché lo stesso Casini ha preannunciato di voler chiedere ai presidenti delle assemblee di lasciar lavorare la commissione anche nei due mesi e più che trascorreranno dallo scioglimento alle elezioni all’insediamento del nuovo Parlamento.

Sarebbe strano se ciò non fosse permesso, anche se esiste obiettivamente il pericolo di un incrocio alquanto tossico fra i lavori della commissione inquirente, le inevitabili fughe di notizie e la campagna elettorale. D’altronde, se si fosse voluto tener conto di questo rischio, denunciato dallo stesso Casini quando criticò, inascoltato, le proposte d’inchiesta parlamentare, si sarebbe dovuto fare a meno di approvare la legge istitutiva della commissione. Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca, come dice un vecchio per quanto ambiguo proverbio.

Resta ora da vedere se Ignazio Visco, prima orientato -secondo indiscrezioni non smentite- a non rendersi disponibile ad una conferma e poi convertitosi all’ipotesi contraria per reazione agli attacchi rivoltigli anche dal segretario del partito di maggioranza, è destinato a rimanere il generale Luigi Cadorna della disfatta di Caporetto o a diventare, strada facendo, nello svolgimento del suo secondo mandato, il generale Armando Diaz. Che portò le truppe italiane alla riscossa e uscì dalla guerra come il Duca della Vittoria.

Sarebbe una miracolosa trasposizione di persone, ma la politica -si sa- è capace di questo e di altro. E non è detto che la politica sia solo quella fatta dai politici. E’ spesso politica anche quella che fanno gli estranei, comprese le cosiddette autorità o istituzioni di garanzia: dal presidente della Repubblica alla Corte Costituzionale, e al governatore della Banca d’Italia. E’ politica tutto ciò che si fa con effetti sui cittadini che -unici davvero- debbono subire. E non sono abilitati ad eleggere né il capo dello Stato, né i giudici costituzionali, né il vertice di Bankitalia, né gli amministratori delle banche alle quali affidano i loro risparmi.

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