Come l’assoluzione fa meno notizia dell’arresto, così la rinuncia di Vittorio Sgarbi alla partecipazione alle elezioni regionali del 5 novembre in Sicilia ha fatto meno notizia, ma molto meno, dell’annuncio della sua candidatura a governatore dell’isola. Che qualche settimana prima aveva creato letteralmente il panico nel centrodestra, almeno fra i più convinti sostenitori della corsa del post-missino Nello Musumeci alla successione a Rosario Crocetta. Essi erano e sono i fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e i leghisti di Matteo Salvini, per quanto questi ultimi in terra siciliana siano pochini.
L’annuncio del famoso critico d’arte, già lanciato peraltro a livello nazionale verso l’esperienza di un nuovo Rinascimento insieme con l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti, aveva scatenato anche la fantasia dei retroscenisti. Che sentirono subito puzza di bruciato, nel senso di puzza di Silvio Berlusconi, di cui è noto il debole per Sgarbi, per quanti problemi Vittorio gli abbia spesso procurato fuori e dentro il suo partito e i suoi governi.
Si era pensato, in particolare, che il presidente di Forza Italia avesse interesse all’iniziativa del suo amico per rifarsi del boccone ingurgitato nell’isola con la candidatura di Nello Musumeci, al quale avrebbe preferito il leader degli “indignati” siciliani Gaetano Armao, prima che questi si rassegnasse a candidarsi solo come vice dell’aspirante governatore.
Con Sgarbi in corsa, in effetti, e col sistema elettorale siciliano, che permette di votare per il governatore proposto da una coalizione e per un partito di una coalizione avversa, Berlusconi avrebbe potuto accarezzare l’idea di una sconfitta personale di Musumeci, magari per pochi voti, ma di una vittoria del centrodestra nella distribuzione dei seggi del Consiglio regionale. Era proprio questo lo scenario che in qualche intervista e incontro con amici si era lasciato scappare l’ex governatore siciliano Totò Cuffaro, sostenitore dichiarato di Sgarbi.
Il retroscena, diciamo così, era prevalso così tanto sulla scena che Berlusconi aveva avvertito ad un certo punto l’esigenza di coprisi con una telefonata personale a Sgarbi, pregato di diffonderla all’istante, d’invito alla rinuncia. Ad aiutare la quale, peraltro ha poi concorso anche la divaricazione crescente a sinistra, spaccatasi in due tronconi tali da mettersi fuori gioco entrambi i candidati alla presidenza: sia il moderato rettore dell’Università di Palermo Fabrizio Micari, sostenuto dall’onnipotente e sempiterno sindaco di Leoluca Orlando, che avrebbe potuto ridurre le distanze da Musumeci proprio grazie alla concorrenza di Sgarbi nella stessa area, sia il più puntuto Claudio Fava.
Diventata definitiva la rinuncia del critico d’arte, tradottasi peraltro in un tale rafforzamento di Musumeci da permettere a quest’ultimo di scaricare anche Armao come aspirante vice, i retroscenisti -sempre loro- si sono impegnati nelle ultime due settimane a immaginare, prevedere, svelare, come preferite, in che misura e modo Berlusconi avesse potuto o voluto generosamente sdebitarsi, al solito, con Sgarbi. Magari offrendo al suo Rinascimento un apparentamento elettorale nel rinnovo delle Camere, l’anno prossimo ?
A interrompere o disturbare questa caccia al segreto è intervenuto l’annuncio, domenica scorsa, da parte del direttore del Giornale della famiglia Berlusconi, Alessandro Sallusti, del ritorno quotidiano di Sgarbi sulla prima pagina con la sua storica rubrica degli sgarbi, appunto. E così è avvenuto il giorno dopo con un lungo corsivo del critico d’arte contro una legge particolarmente indigesta al centrodestra: quella del cosiddetto ius soli, ma molto cosiddetto perché non c’è in quel progetto niente di automatico nel conferimento della cittadinanza a chi nasce in Italia da immigrati. Il giorno ancora successivo è toccato alla difesa, invece, di un coppedè romano demolito in via Ticino 3.

Immagino già gli insulti -altro che “capra, capra, capra”- di Sgarbi a chiunque, anche amico, dovesse sospettarlo di avere in qualche modo scambiato i suoi mancati vespri siciliani col ritorno sulla prima pagina del Giornale. Eppure il mio amico Vittorio potrebbe cavarsela una volta tanto all’inglese, facendo suo il famoso motto dell’Ordine britannico, appunto, della Giarrettiera: Honi soit qui mal y pense. Che in italiano si traduce: sia vituperato chi ne pensa male.
Pubblicato da Il Dubbio del 18 ottobre 2017