Le gambe curiosamente lunghe delle bugie su Gentiloni, Renzi e Visco

A dispetto del vecchio proverbio che attribuisce gambe corte alle bugie, quelle sui rapporti tesissimi fra il segretario del Pd e il presidente del Consiglio, o viceversa, come preferite, sembrano gambe lunghissime.

Da giorni non si riesce a sfogliare un quotidiano senza trovarvi cronache e retroscena sulle tensioni, appunto, fra Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, per quanto l’uno e l’altro sostengano il contrario parlando o alludendo anche  dell’argomento che li vedrebbe, secondo i giornali, su posizioni opposte: l’uno contrario alla conferma di Ignazio Visco, arrivato alla scadenza del mandato di  sei anni come governatore della Banca d’Italia, e l’altro invece favorevole, non foss’altro per non disattendere i desideri del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Che ha bisogno della  proposta del presidente del Consiglio, per legge, per firmare il decreto di rinnovo entro la fine del mese, cioè fra pochi giorni. E ciò, nonostante una mozione del Pd approvata il 17 ottobre alla Camera con 231 voti favorevoli, 97 contrari e 19 astenuti abbia “impegnato il governo”, testualmente, ad “adottare ogni iniziativa utile a rafforzare l’efficacia delle attività di vigilanza sul sistema bancario individuando a tal fine, nell’ambito delle proprie prerogative, la figura più idonea a garantire nuova fiducia” nella Banca d’Italia. Si tratta peraltro di una mozione approvata con il parere favorevole espresso dal governo in aula, e dopo una trattativaa per modificarne alcuni passaggi.

Eppure, a dispetto -ripeto- della rappresentazione che se ne fa sui giornali di due ex amici, Renzi parla dei suoi fittissimi rapporti “con Paolo” dicendo di fidarsene come e più di prima, quando lo disegnò al presidente della Repubblica per esserne sostituito a Palazzo Chigi dopo la propria clamorosa sconfitta referendaria sulla riforma costituzionale. Gentiloni, dal canto suo, pur non chiamando il segretario per nome, e neppure per cognome, ha appena definito  “ottimi” i rapporti col Pd. E credo non si riferisse solo alla o alle minoranze, che ancora non gli perdonano peraltro di avere subìto le pressioni di Renzi mettendo alla Camera la fiducia sulla nuova legge elettorale, e disponendosi a rifarlo al Senato per garantirne l’approvazione definitiva entro questo ottobre, prima che cominci a Palazzo Madama l’assorbente sessione di bilancio.

Un po’ troppo lunghe si stanno rivelando anche le bugie attribuite al governatore uscente della Banca d’Italia nelle rappresentazioni che se ne fanno di un uomo adirato con Renzi per “l’irritualità del dibattito” -ho letto sul Corriere della Sera- che alla Camera ne ha contestato o messo in discussione la riconferma.

Che quel dibattito sia stato “irrituale” forse è vero, per quanto è francamente difficile contestare al Parlamento il diritto di occuparsi di ciò che fa, o solo propone al capo dello Stato, un governo che non può vivere senza la fiducia delle Camere, come prescrive l’articolo 94 della Costituzione. Ma la irritualità non è stata voluta da Renzi attraverso i firmatari della mozione del gruppo parlamentare del suo partito.

La irritualità dell’intervento della Camera contro la conferma di Ignazio Visco per altri sei anni al vertice della Banca d’Italia è derivata dalle mozioni delle opposizioni, cui si è aggiunta quella del Pd solo dopo che la presidente dell’assemblea Laura Boldrini aveva dichiarato o certificato la proponibilità delle altre.

Se c’è quindi qualcuno con cui l“esterrefatto”   governatore uscente dell’ex istituto di emissione descritto dal Corriere della Sera se la può e deve prendere è la Boldrini, non Renzi, peraltro neppure parlamentare.

Da segretario impegnato in una campagna elettorale lunghissima non per sua scelta, avendo egli notoriamente preferito anticipare il ricorso alle urne, Renzi non ha ritenuto che il Pd potesse o dovesse limitarsi a votare contro le mozioni delle opposizioni, come se non avesse nulla da dire, o ribadire, su Visco e sull’istituto di via Nazionale per come hanno vigilato sulle banche.

Che questa vigilanza sia stata “allentata” e “miope” lo ha appena scritto in un editoriale su Repubblica anche l’ex direttore Ezio Mauro, mentre in un altro articolo dello stesso quotidiano il buon Federico Rampini avvertiva che “all’estero non è lesa maestà la critica” alla pur prestigiosa Banca d’Italia e/o al governatore di turno. Eppure, con una schizofrenia evidentissima Repubblica ha partecipato e partecipa alla campagna contro Renzi per ciò che anche lui dice della Banca d’Italia e del suo timoniere uscente.

 

 

Ripreso da http://www.formiche.net il 22 ottobre 2017 col titolo: Vi racconto bizzarrie e schizofrenie su Renzi e Visco

Pubblicato da ItaliaOggi il 25 ottobre 2017 col titolo: Visco se la prenda con Boldrini

Più panna montata che latte negli attacchi al pur maleducato Renzi

Avversari e critici di Matteo Renzi, se fossero veramente e soltanto mossi dallo scrupolo istituzionale invocato contro la mozione del Pd presentata alla Camera per chiedere, testualmente, “la figura più idonea a garantire nuova fiducia” nella Banca d’Italia, il cui governatore Ignazio Visco è in scadenza di mandato, potrebbero e dovrebbero accontentarsi del maleducato che si è praticamente dato lo stesso Renzi. Il quale, collegato dal suo treno elettorale col salotto televisivo di Lilli Gruber, ha liquidato come “questione di galateo” quella sollevata contro di lui e la mozione depositata a Montecitorio da Silvia Fregolent, infine approvata con 231 voti favorevoli e 97 contrari, ma soprattutto col parere favorevole del governo espresso dal sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baratta. Che peraltro Renzi, non parlamentare, ha preso tanto sul serio, con le notizie evidentemente fornitegli sul lavoro svolto per far modificare il testo originario del documento, da scambiarlo per un vice ministro parlandone in televisione.

Persino l’ex direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli, che ha definito “eversiva” l’iniziativa sostenuta dal segretario del Pd, potrebbe sentirsi ripagato avendo dato a Renzi del “maleducato di talento” quando l’ex sindaco di Firenze era ancora presidente del Consiglio e lo tampinava di sms di critica o di protesta per gli articoli che non gradiva, forse accelerando se non addirittura provocando il suo logoramento nella redazione di via Solferino, o quanto meno nei rapporti con gli editori di allora.

Lo strappo al galateo ammesso onestamente da Renzi con la scusante di avere voluto privilegiare il rapporto di solidarietà con i risparmiatori danneggiati, secondo lui, dalla scarsa vigilanza esercitata dall’ex istituto di emissione sulle banche travolte dalla crisi, non ha fermato ne’ fermerà -vedrete- gli attacchi al segretario del Pd. Al quale si continuerà a rimproverare di avere avere violato il santuario della Banca d’Italia con le sue critiche. E di averne compromesso l’autonomia e l’indipendenza, come da tempo i magistrati dicono del loro lavoro e della loro funzione ogni volta che ricevono critiche da politici, e persino da giornalisti.

Il presidente del Pd Matteo Orfini è stato praticamente liquidato come servo dell’altro Matteo per avere definito “curiosa” la pretesa di equiparare l’infallibilità del Papa, peraltro messa in discussione ormai dagli stessi Pontefici, all’infallibilità del governatore della Banca d’Italia, che non potrebbe essere criticato senza compromettere la credibilità internazionale del Paese, la stabilità dei mercati finanziari e quant’altro.

Si dà però il caso che il governatore uscente abbia già dovuto prendere contatto con la commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche appena insediata, e presieduta da Pier Ferdinando Casini. Cui si è impegnato a presentare quantità industriali di documenti. Ne’ potrà sottrarsi a dare personalmente delucidazioni sulla congruità della sorveglianza effettuata dall’istituto di via Nazionale.

Ora, senza voler praticare proprio contro di lui il giustizialismo abitualmente riservato da molti dei sostenitori di Visco contro chiunque abbia la sventura di entrare o solo sfiorare indagini giudiziarie o paragiudiziarie, quali sono quelle di una commissione parlamentare d’inchiesta, non potrebbe essere certamente considerata comoda la situazione nella quale si dovesse trovare il governatore uscente della Banca d’Italia se confermato a fine mese. Non a caso circolano sempre più insistentemente voci di una resistenza dello stesso Visco all’ipotesi di una conferma nel pieno delle polemiche che a torto o a ragione lo riguardano.

In effetti, al di là delle intenzioni delle autorità che possono disporre questa conferma, cioè i presidenti del Consiglio e della Repubblica, rispettivamente come proponente e deliberante, essa rischia di apparire come dettata dalla loro volontà , e dall’interesse di Visco, di garantirgli una cortina di protezione.

Il problema non è di anticipare la scadenza del mandato di sei anni del governatore, che Renzi non ha mai posto, e avrebbe fatto malissimo a porre, ma più semplicemente di rinnovarlo o meno.

Un rinnovo peraltro equivarrebbe, per l’età dell’interessato e per la durata complessiva di due mandati, a restituire alla carica più importante della Banca d’Italia quel carattere “a vita” che fu abolito nel 2005 per legge, non per il capriccio o il calcolo di qualche malintenzionato.

Esaminata la questione sotto questi aspetti, senza malanimi e crociate, c’è forse più panna montata che latte nelle polemiche in corso.

 

 

 

Pubblicato su Il Dubbio

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