La chiave dell’ultimo capitolo, per ora, del giallo capitolino che si trascina ormai da più di un anno -da quando cioè si insediò la sindaca grillina Virginia Raggi con l’aiuto elettorale della destra e della sinistra che preferirono lei a Roberto Giachetti, il candidato renziano del Pd- si trova in una frase dell’ormai ex direttore generale dell’Atac. Che è letteralmente scappato via, dimettendosi e poi sfogandosi con qualche intervista, dopo avere misurato il dissesto finanziario e operativo dell’azienda romana dei trasporti e verificato le resistenze della sindaca alla sua terapia d’urto, consistente nel ricorso alle procedure fallimentari: le uniche forse in grado di fare ritrovare un po’ di senno ai sindacati e agli altri responsabili del dissesto dei trasporti nella Capitale.
Beppe Grillo e Davide Casaleggio ? “Mai visti e sentiti. Non li conosco”, ha risposto Bruno Rota. Che si era evidentemente illuso dovesse bastare e avanzare avere conosciuto la Raggi assumendo l’incarico e proponendosi -beato lui- di ripetere a Roma il miracolo compiuto a Milano, dove era riuscito a risanarne l’azienda dei trasporti urbani.
Ecco, il primo limite dell’amministrazione capitolina a 5 stelle è la confusione estrema all’interno del movimento grillino. Che si ripercuote in Campidoglio con l’impossibilità di capire dove finisca la inadeguatezza della sindaca e cominci quella dei suoi capi o referenti politici, i quali l’hanno commissariata dal primo momento, con tanto di titoli sui giornali, senza che nessuna autorità preposta al controllo delle amministrazioni locali abbia mai ritenuto né opportuno né necessario un intervento chiarificatore.
Deputati, o portavoce, del movimento grillino salgono e scendono dal Campidoglio nella totale indifferenza, in particolare, della Prefettura. Dove evidentemente si ritiene ininfluente che un sindaco finisca sotto sorveglianza diversa da quella dell’organo locale del governo.
L’unica cosa che si sia avvertita chiaramente della gestione grillina del Campidoglio è il gran numero di dimissioni, licenziamenti e quant’altro di assessori, dirigenti, assistenti, capi e vice capi di Gabinetto, Dipartimento e quant’altro. E questo senza parlare, per scrupolo garantista, delle vicende giudiziarie che hanno preceduto o accompagnato o seguito i vari e convulsi avvicendamenti.
I sei licenziamenti appena rimproverati dalla stampa mondiale al presidente americano Donald Trump nei primi otto mesi della sua permanenza alla Casa Bianca è cosetta davanti all’andirivieni nel Campidoglio italiano. Che questa curiosa gara con Trump sia avvenuta e si svolga tuttora a Roma per mano della Raggi o di Grillo, o di Casaleggio, o dei portavoce che gli ultimi due spediscono e l’altra accoglie, ha poca importanza a questo punto.
Di certo è che la confusione sotto il cielo di Roma è grande, ma la situazione non è per niente eccellente, come diceva invece Mao nella sua Cina.
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