Musi lunghi al Nazareno per il percorso congressuale sempre più accidentato del Pd

Musi lunghi al Nazareno, non solo per le “macerie continue”, come le ha chiamate il manifesto, della lontana apocalisse turco-siriana che ha riempito il mondo di angoscia e di orrore, ma anche, e forse ancor di più, senza volere offendere chi lavora o frequenta la sede nazionale del Pd, per le notizie che arrivano dalla periferia sulle votazioni nei circoli per il congresso. Vi partecipa poco più della metà degli iscritti, francamente un pò poco per un appuntamento dichiaratamente “costituente”, e per giunta neppure esente da irregolarità, proteste, ricorsi, persino nella Bologna del candidato in testa nella corsa alla segreteria: il “governatore” regionale Stefano Bonaccini. In Campania alcune votazioni e liste di iscritti sono state bocciate e “volano gli stracci”, come ha titolato qualche giornale.

Fra gli stracci volanti c’è anche il commissario mandato sul posto dal Nazareno, Francesco Boccia, di cui sono state preannunciate per oggi le dimissioni, ma non da coordinatore della campagna congressuale di Elly Schlein, che tallona Bonaccini e si mostra sicuro di sorpassarlo. 

Le acque nel Pd, nonostante la facciata unitaria delle proteste contro Giorgia Meloni e i suoi fedelissimi, che hanno dubitato della fermezza antimafiosa e antiterroristica di un partito che ha versato del sangue sulla strada della lotta all’una e all’altra sciagura nazionale, sono state agitate anche dalla gestione un pò pasticciata, al Nazareno e dintorni, del caso dell’anarchico Alfredo Cospito. Che è in lungo digiuno di protesta contro il regime speciale del carcere cui è sottoposto al pari di mafiosi e terroristi, appunto. 

La visita di una delegazione di parlamentari del Pd che doveva essere il 12 gennaio scorso di legittima ispezione, verifica e quant’altro delle condizioni del detenuto si è andata via via appesantita di iniziative a dir poco maldestre sollecitate dallo stesso Cospito. Che ha finito per riuscire a coinvolgere in quella visita anche detenuti di mafia e simili. La divulgazione di questo pasticcio nelle aule parlamentari per iniziativa, responsabilità e quant’altro di un sottosegretario alla giustizia e di un deputato fedelissimi della Meloni, che li ha praticamente difesi pur raccomandando a tutti, anche a loro, di abbassare i toni delle polemiche; la divulgazione di questo pasticcio, dicevo, ha moltiplicato le difficoltà del partito guidato ancora per poco da Enrico Letta. Dove sono emerse sensibilità, a dir poco, diverse se non veri e propri contrasti sulla permanente opportunità del regime speciale del famoso articolo 41 bis dell’ordinamento carcerario. E ciò a dispetto di una larga condivisione di questo regime emersa da sondaggi condotti o commissionati anche da contrari al cosiddetto carcere duro.

Intervistata qualche giorno fa dalla Stampa, anche l’ex presidente ed ex ministra del Pd Rosy Bindi ha ammonito i suoi amici che “è inutile dividersi su questo punto, poiché caso per caso la decisione spetta alla magistratura e al ministro”. 

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Gli schiavettoni a Enzo Carra nel 1993 in memoria di Giovanni Falcone……

In un prevedibile e perciò puntuale accanimento persino funerario-  trattandosi di un morto- al Fatto Quotidiano non hanno gradito la generosità o l’ignoranza, o entrambe, di quanti scrivendo nei giorni scorsi di Enzo Carra, l’ex portavoce di Arnaldo Forlani alla segreteria della Dc, hanno scambiato per assoluzione la riabilitazione da lui ottenuta dal tribunale di sorveglianza di Roma il 26 marzo del 2004, una ventina d’anni fa.. 

Essa, in effetti, non annullò né capovolse la condanna definitiva ricevuta da Carra per false dichiarazioni nel 1995, a conferma della condanna in appello, dell’anno prima, a un anno e 4 mesi correttiva dei due anni comminatigli in primo grado, nel 1993, con la sospensione condizionale della pena. La riabilitazione si limitò a cancellare completamente dal casellario giudiziale gli effetti della condanna, a fargli riacquistare le capacità perdute e ad ottenere l’estinzione delle pene accessorie. Già nel 2001, del resto, Enzo era stato eletto deputato nelle liste della Margherita, confermato nel 2006, rieletto nel 2008 nelle liste del Pd, dove la Margherita di Francesco Rutelliera confluita.   

Come ho già ricordato scrivendone dopo la morte, Enzo -nel frattempo uscito dal Pd per collocarsi più propriamente al centro con l’omonima Unione di ex o post-democristiani praticamente offertasi alle improvvise ambizioni politiche dell’allora presidente “tecnico” del Consiglio Mario Monti- sarebbe stato probabilmente rieletto ancora se non fosse incorso nel veto opposto dal senatore a vita alla candidatura di chiunque avesse avuto pendenze giudiziarie negli anni di Tangentopoli, anche se riabilitato. Enzo si aspettava una difesa di Pier Ferdinando Casini che mancò. O non avvenne con la convinzione, la forza e soprattutto il risultato ch’egli si aspettava. 

Oltre a contestare il Carra “assolto” e “innocente” di troppi articoli scritti in sua memoria, al Fatto Quotidiano hanno voluto riassumerne almeno il primo processo: quello al quale l’imputato fu portato con gli schiavettoni ai polsi contestati persino da Antonio Di Pietro, che lo prelevò personalmente dalla gabbia per portarselo accanto a mani libere. “Nel 1993 -ha raccontato testualmente il giornale ancora convinto, temo per altri passaggi del pezzo, della opportunità di quegli schiavettoni- Graziano Moro, manager dc dell’Eni, racconta a Di Pietro che il suo amico Carra, portavoce del segretario Forlani, gli ha raccontato una stecca di 5 miliardi della maxitangente Enimont alla Dc. Di Pietro lo sente come teste. Lui nega sotto giuramento. Di Pietro lo mette a confronto con Moro, che arricchisce il racconto con altri dettagli. Carra nega ancora. Davigo gli ricorda l’obbligo di dire la verità. Carra si contraddice, cambiando due o tre versioni. L’articolo 371 del codice penale, voluto da Falcone e approvato nel 1992 solo dopo la sua morte, prevede l’arresto in flagranza dei falsi testimoni. Carra viene arrestato e processato per direttissima”. 

Sembra di capire, insomma, che Carra fosse stato arrestato e persino portato con gli schiavettoni al processo, attraversando  così i corridoi del tribunale di Milano, anche per onorare la memoria di Falcone, trucidato l’anno prima con la moglie e quasi tutta la scorta a Capaci. 

Poiché non dispongo -lo confesso senza vergogna o disagio- degli archivi del Fatto Quotidiano e della memoria specialistica di quanti vi scrivono, mi sono limitato a navigare per qualche minuto in internet ed ho trovato di quella vicenda giudiziaria una cronaca  dell’insospettabile Repubblica. Che faceva parte del giro dei giornali di cui l’amico Piero Sansonetti, allora all’Unità, ha onestamente raccontato che si scambiavano informazioni e titoli su Mani pulite per uscire all’unisono a favore degli inquirenti e contro gli imputati. 

Ecco il racconto di Repubblica: “Processo in tempi rapidi per l’ex portavoce di Arnaldo Forlani. Enzo Carra, l’unico imputato di Tangentopoli arrestato con l’accusa di aver mentito davanti al pubblico ministero (il dottor Di Pietro), entrerà in aula giovedì mattina. L’udienza, per direttissima, è stata fissata davanti alla prima sezione penale e, quasi certamente, sfileranno testimoni d’accusa d’eccezione, come i democristiani Graziano Moro, ex presidente dell’Eni Ambiente, e Maurizio Prada, “raccoglitore” delle mazzette per lo Scudocrociato a Milano da più di dieci anni. L’arresto di Carra era scattato quando Moro era insorto: “Voi lo sapevate benissimo, delle tangenti per l‘affare Enimont”, aveva detto al forlaniano doc. Ma se quel “voi” indicasse la corrente o la Dc nazionale, non si è mai appreso con certezza. Gli avvocati di Carra, che è in carcere da oltre dieci giorni, hanno annunciato che rinunceranno a chiedere “i termini a difesa” per consentire l’immediata celebrazione del processo”. 

Da questa cronaca giudiziaria, ripeto, dell’insospettabile Repubblica non risulta il Carra del Fatto Quotidiano che si procura l’arresto con non so quante versioni delle rivelazioni attribuitegli da Graziano Moro, peraltro collega di partito. Nei cui riguardi, peraltro, nella sentenza d’appello si riconosce al pur condannato Carra “un raro senso della dignità” non avendo mai rinnegato, anzi confermando sentimenti di amicizia. Vi sembra questo Carra del 1993 un esemplare di doppiogiochista, reticente, falso testimone? O non piuttosto la vittima di chissà quali altri doppi giochi, reticenze e false testimonianze giocate magari all’interno del suo stesso partito? 

Pubblicato sul Dubbio

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