Va bene che il diavolo si nasconde nei dettagli, come dice un vecchio proverbio, ma non bisognerebbe esagerare a vedere ovunque l’uno e gli altri. Così hanno fatto invece gli antipatizzanti di Giorgia Meloni sovrapponendo al suo viaggio in Ucraina quello di Joe Biden, come se i presidenti emericano e ucraino si fossero accordati per sminuire, umiliare e quant’altro l’arrivo della presidente del Consiglio italiano a Kiev. E magari fare così un piacere in Italia a Silvio Berlusconi, espostosi come più non poteva a rimproverare alla sua premier e alleata la smania di incontrare “il signor” Zelensky, responsabile della guerra nel suo paese più di Putin che l’ha invaso e insanguinato con l’obiettivo di impadronirsene, anche a costo di distruggerlo. Anzi, con l’obiettivo ormai di distruggerlo per impadronirsi delle sue macerie, non essendogli riuscito di annetterlo ancora in piedi.
“Biden a Kiev impalla Meloni”, ha annunciato quasi orgogliosamente il solito Fatto Quotidiano, perdonando così al capo della Casa Bianca la colpa rimproveratagli in altra parte della prima pagina, nella “Cattiveria” di giornata, di essere “atterrato a sorpresa a Kiev per visitare il cantiere”: quello non della guerra di Putin all’Ucraina ma dell’Ucraina a Putin commissionato dagli Stati Uniti a Zelensky rifornendolo di soldi e di armi insieme con gli alleati occidentali.
E la telefonata di Biden in arrivo da Kiev in Polonia alla Meloni in partenza dalla Polonia per Kiev dopo gli incontri politici avuti a Varsavia? Telefonata annunciata dall’Ansa e riferita negli articoli di tutti gli inviati dei giornali italiani al seguito della presidente del Consiglio italiana. Una iniziativa evidentemente presa dal presidente americano non per materializzare una staffetta con l’alleata nel sostegno all’Ucraina ma per partecipare da lontano al Carnevale italiano.
Sino a quando l’informazione, con la minuscola, in nome della quale si commettono più porcate che in nome della Patria, con la maiuscola, riferirà gli eventi politici in questo modo, privilegiando il retroscena alla notizia, non potremo né dovremo lamentarci delle edicole che chiudono per mancanza di clienti e delle urne disertate da elettori frastornati. Che magari stanno scambiando l’Ucraina saccheggiata da Putin per un presepe gestito da Zelenski, oltre che per il cantiere di Biden.
Da orgogliosamente concavo e convesso, secondo le convenienze del momento, quale si era sempre detto Silvio Berlusconi parlando dei rapporti sia con gli alleati sia con gli avversari, e guadagnandosi anche per questo a suo tempo da Francesco Cossiga il riconoscimento di avere impiegato pochissimo a diventare in politica da dilettante a professionista, l’ex presidente del Consiglio deve avere sorpreso non pochi dei suoi amici, e forse anche estimatori, a diventare un paracarro sul terreno addirittura della politica estera. Che sembrava la sua materia preferita, coltivata in prima persona a Palazzo Chigi anche quando disponeva alla Farnesina di fior di ministri come i compianti Antonio Martino e Franco Frattini
Dell’antica e solita malleabilità di Berlusconi si è appena avuta una conferma in politica interna a proposito della polemica esplosa nella maggioranza sul decreto legge non riuscito neppure a Mario Draghi, ma che Giorgia Meloni non ha esitato a varare per fronteggiare il disordine creato da Giuseppe Conte col cosiddetto superbonus edilizio, lasciando a ruota libera il mercato dei crediti d’imposta. Insorto direttamente o indirettamente anche lui contro il provvedimento immediatamente controfirmato invece dal capo dello Stato, consapevole della sua necessità e urgenza, Berlusconi si è praticamente sfilato in meno di 24 ore da una posizione quasi concorrenziale rispetto all’offesissimo Conte. Egli ha riconosciuto la ‘inevitabilità” dell’intervento del governo e ordinato ai suoi di smetterla di minacciare, anche solo a mezza voce, di non votarlo. Così nella trattativa aperta con le parti interessate alle modifiche da apportare nel percorso parlamentare di conversione del decreto la Meloni è riuscita non dico ad eliminare ma almeno ad attenuare la sponda berlusconiana che i protestatari più scatenati pensavano di avere trovato, insensibili al costo sproporzionato cui era arrivata per la finanza pubblica l’operazione escogitata dal secondo governo Conte. Che peraltro ancora si vanta di avere in quel modo miracolato l’economia nazionale.
Sul tema invece della guerra in Ucraina, e delle responsabilità addebitabili secondo lui non tanto a Putin quanto al presidente Zelensky – quel “signore” tanto sostenuto e ammirato dalla Meloni- l’ex presidente del Consiglio è rimasto sulle sue da quando fece la prima sortita sostanzialmente filorussa, l’anno scorso, a Napoli. Che è la città dove, guarda caso, il presidente e capogruppo del Partito Popolare Europeo nel Parlamento di Strasburgo, Manfred Weber, ha appena annunciato che non si terrà più un programmato summit di partito dove Berlusconi da padrone di casa avrebbe potuto distinguersi, nonostante la polemica continuata e aggravata con Zelensky. L’appoggio alla cui resistenza all’invasione russa -ha ammonito Weber- “non è facoltativo”.
Ma io sono un uomo di pace, ha reagito Berlusconi facendo salire ulteriormente la temperatura nei rapporti con un Partito Popolare evidentemente guidato da uomini di guerra come Weber. Che la capogruppo di fiducia di Berlusconi al Senato, Licia Ronzull, ha definito “inadatto” a rappresentare i popolari europei. Unfit, in inglese, come gridò a suo tempo proprio di Berlusconi alla guida del governo italiano il famoso settimanale britannico Economist, ora di proprietà degli eredi del compianto avvocato Gianni Agnelli.
Ai democristiani tedeschi, quali sono i popolari in Germania, col passato che ha il loro Paese sulle spalle, la peggiore offesa che si possa fare è proprio dar loro degli uomini di guerra, come se avessero ereditato dai nonni le svastiche e gli elmetti hitleriani. Possibile -mi chiedo- che non se renda conto non dico la giovane Ronzulli ma il vecchio, ultraottuagenario Berlusconi? Peraltro ricovando tutte le fatiche fatte, dopo la discesa in campo politico con la sua Forza Italia, per essere ammesso al Partito Popolare Europeo? E vantarsi poi di tanta appartenenza favorita a suo tempo da democristiani italiani doc come Pier Ferdinando Casini, che convinse un riluttante o dubbioso Helmut Khool a vedere nell’affiliazione di Berlusconi una occasione preziosissima per poterlo meglio indirizzare, controllare e quant’altro.
Più che con il Partito Popolare Europeo Berlusconi in questi mesi e giorni di scatenamento contro Zelensky ha voluto scontrarsi con la sua componente tedesca. Che Weber rappresenta peraltro non tanto come uomo della vecchia CDU ma della CSU, l’Unone Cristiana Sociale, cioè la Democrazia Cristiana bavarese. Che è sempre stata più a destra della CDU, come sanno i più anziani, o meno giovani, che ricorderanno quanto contasse anche nella Germania dello storico cancelliere Adenauer il bavarese, appunto, Franz Joseph Strauss, capo della CSU. La Baviera è sempre stata terra di convinzioni radicali: la terra non a caso del compianto Papa Ratzinger.
Personalmente ritengo che Berlusconi abbia aperto in Europa, con questo scontro con i popolari, una partita destinata a ritorcersi contro di lui anche nella politica interna, lasciando a Giorgia Meloni, la leader anche dei conservatori europei attesa a Kiev, spazi o praterie sino a qualche anno fa inimmaginabili.