Le doppie firme di Sergio Mattarella per fronteggiare il disordine politico della Repubblica

Tutti celebrano giustamente il salotto portato in televisione dal compianto Maurizio Costanzo rivoluzionando la comunicazione e altro ancora in quello scatolone elettronico davanti al quale si sono formate ormai generazioni di spettatori. Ma non è inferiore, questa volta sul piano istituzionale, l’evoluzione che già nel primo ma ancor più nel secondo mandato di presidente della Repubblica Sergio Mattarella sta imponendo alla politica e al potere. 

Anche il Quirinale è diventato per governi e partiti un salotto che si sbaglia forse a celebrare con parole e immagini non proprio salottiere come “gli schiaffi” evocati oggi da qualche giornale riferendo delle osservazioni critiche formulate dal capo dello Stato alle Camere e al governo in carica per le “mille proroghe” disposte e approvate anche quest’anno. Alle quali Sergio Mattarella non ha negato la firma solo per non aggiungere altri danni a quelli che già contiene la conversione del decreto legge. Ma che gli hanno procurato più delusioni e preoccupazioni del solito. 

Più che schiaffeggiare, mettersi di traverso, intimare ed altre espressioni o immagini usate dai giornali, Mattarella ha cercato di ottenere dall’ospite di turno, e di pietra, del suo salotto -ripeto- quello che ha appena ricevuto con la promessa del governo di una maggiore “attenzione”: parola magica, avrebbe detto la buonanima di Amintore Fanfani, che diventò con Aldo Moro addirittura una “strategia” politica. Passata con tutte le altre frattaglie di quella enorme salsiccia che più governi hanno preso l’abitudine di confezionare ogni fine anno per prolungare il provvisorio, la proroga delle concessioni balneari disposta in deroga agli impegni europei, e passibile di costosi procedimenti d’infrazione da parte degli organismi comunitari, è diventata con le osservazioni di Mattarella un errore cui poter rimediare al più presto. E non l’apertura di un nuovo conflitto all’interno di una maggioranza di governo forse già troppo affollata di problemi, paradossalmente tenuta in piedi dalla incapacità delle opposizioni di produrre un’alternativa, neppure se rimesse alla prova di altre elezioni anticipate.

In questo quadro, destinato a non cambiare neppure con la scelta che sarà compiuta domani con le cosiddette primarie per la successione ad Enrico Letta alla segreteria del Partito Democratico,     votando Stefano Bonaccini o Elly Schlein, valgono per la sopravvivenza del Paese più le doppie firme del presidente della Repubblica -una per la promulgazione di una legge e l’altra per farla correggere al più presto- che le procedure fissate dai padri costituenti, come il rinvio di quella legge al Parlamento per un nuovo voto. Essi immaginarono una Repubblica ordinaria come non è quella ridotta da un pò tutti i partiti negli ultimi trent’anni.

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La vecchia abitudine dei magistrati di sottrarre al governo il giudizio sui documenti riservati

La polemica più o meno diretta o a distanza fra il Guardasigilli Carlo Nordio e la magistratura, con velata minaccia di ricorso alla Corte Costituzionale, sulla titolarità del diritto di valutare la riservatezza di certi documenti – nel nostro caso, quello rivelato dal sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro al deputato e collega di partito  Giovanni Donzelli sul caso del detenuto anarchico Alfredo Cospito- mi ricorda una telefonata che nel 1985 l’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi mi fece a casa da Bruxelles. Dove aveva appena appreso con stupore dalle agenzie stampa che mi trovavo da qualche giorno agli arresti domiciliari per avere pubblicato due anni prima sulla Nazione in versione integrale un documento sulle connessioni internazionali del terrorismo. Esso era stato confezionato dai servizi segreti e trasmesso dalla Presidenza del Consiglio dell’epoca, cioè da Amintore Fanfani, alla commissione parlamentare d’inchiesta sul delitto Moro. Che era composta naturalmente da senatori e deputati di ogni gruppo, di maggioranza e di opposizione. 

Sottoposto subito ad indagine giudiziaria, con perquisizioni domiciliari e redazionali, consegna spontanea del documento prevenutomi da fonte che naturalmente mi rifiutai di rivelare e interrogatori condotti con l’iniziale domanda se avessi subìto “altre condanne”, quindi preannunciandomene una sicura, ero stato arrestato su richiesta di un sostituto della Procura di Roma convinto che io non fossi responsabile solo di violazione del segreto di Stato. Mi sospettava anche di depistaggio come promotore di interrogazioni parlamentari sulla vera natura di quel documento. Che io avevo pubblicato nella convinzione che non potesse essere più coperto da alcun segreto nel momento in cui era pervenuto ad una commissione di tanti parlamentari di ogni colore politico. 

Non a caso, del resto, qualche mese dopo la diffusione sulla Nazione quel documento fu pubblicato in uno dei volumi conclusivi, e acquistabili come la Gazzetta Ufficiale, dell’inchiesta parlamentare come allegato ad una relazione di minoranza. Cosa, questa, che il mio avvocato fece presente alla Procura di Roma senza riuscire evidentemente a farle cambiare idea sull’inchiesta che continuava contro di me e, naturalmente, il direttore responsabile della testata fiorentina. 

Craxi, che quel documento del resto conosceva bene avendolo letto dalla prima all’ultima parola prima di difenderlo in un comizio a Firenze durante la campagna elettorale del 1983 dall’annuncio delle perquisizioni e indagini condotte dalla Procura di Rona, mi chiese che “cazzo”- testualmente- fosse accaduto di nuovo da avermi procurato l’arresto, sia pure domiciliare. E mi preannunciò, sapendo bene che il mio telefono potesse essere intercettato, un intervento personale. 

Titolare, per legge, del diritto di valutazione del segreto di Stato, Craxi di ritorno a Palazzo Chigi scrisse alla Procura Generale della Corte d’Appello di Roma chiarendo l’ovvio, cioè che il documento aveva perduto il suo carattere di segretezza nel momento in cui era arrivato alla commissione parlamentare per la quale era stato confezionato allo scopo di una valutazione dei collegamenti internazionali del terrorismo italiano, di sinistra e di destra. 

Tornato a mia volta in libertà, per quanto allora definita “provvisoria”, attesi per un pò di conoscere la mia sorte giudiziaria. Ci volle un anno abbondante per ottenere il proscioglimento pieno, senza neppure il dibattimento pubblico, con una sentenza però velenosissima verso il presidente del Consiglio e i criteri adottati per desecretare praticamente il documento con effetto retroattivo, cioè dal momento in cui era pervenuto alla commissione parlamentare d’inchiesta. Dove evidentemente qualcuno aveva voluto farlo uscire disapprovando la decisione di non discuterlo, ed evitare imbarazzi a qualche parte politica, per il sopraggiunto scioglimento anticipato delle Camere. Che era stato provocato nel 1983 dalla Dc guidata da Ciriaco De Mita per interrompere la prima esperienza di un laico -il repubblicano Giovanni Spadolini- a Palazzo Chigi. 

Craxi lesse con crescente stupore e malumore le critiche ricevute dalla magistratura obbligandola di fatto -si sosteneva- a prosciogliermi. E dovetti sudare le proverbiali sette camicie per indurlo a non fare ricorso, che avrebbe riaperto la mia vicenda giudiziaria in sede d’appello. Cosa di cui diffidavo temendo che un successivo presidente del Consiglio -già sentivo puzza di bruciato nei dintorni di Palazzo Chigi per la smania di De Mita di interrompere con elezioni anticipate anche la seconda esperienza non democristiana alla guida del governo- potesse reagire diversamente a richieste o sollecitazioni della magistratura. Gli subentrò in effetti Fanfani, che già la volta precedente aveva risposto alla magistratura sulla natura di quel documento in modo così evasivo da indurla a credere che fosse davvero segreto, anzi segretissimo. Ed era invece pubblicabile, e soprattutto discutibile in un dibattito parlamentare di fatto invece impedito. 

Non so se questa mia esperienza può rivelarsi utile a Carlo Nordio nella contingenza attuale. L’ho voluta raccontare come testimone, a questo punto, pur sapendo che le circostanze e la stessa natura dei documenti in questione, per carità, sono diverse. I metodi tuttavia mi sembrano gli stessi.

Pubblicato sul Dubbio

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