Mario Moretti in semilibertà già dal 1997 con sei ergastoli sulle spalle

Mentre una minoranza consistente di italiani di buona volontà e bocca risulta comprendere, se non addirittura condividere le proteste del detenuto anarchico, gambizzatore e dinamitardo Alfredo Cospito, appena confermato nel regime del carcere duro del famoso articolo 41 bis dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, è venuta fuori una notizia che smentisce clamorosamente l’impressione, alimentata proprio dalle polemiche su Cospito, che il sistema penitenziario sia generalmente troppo stretto, troppo invasivo, troppo poco pedagogico e perciò in conflitto latente con l’articolo 27 della Costituzione. Che dice, fra l’altro: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.  

E’ un articolo, quest’ultimo, che il mio amico Piero Sansonetti sul Riformista ha rimproverato a Roberto Benigni di non avere evocato nell’esaltazione della Costituzione fatta in apertura del festival canoro di Sanremo alla gratificante presenza del capo dello Stato, preferendo gli articoli contro la guerra e per la libera manifestazione del pensiero. 

Ebbene, Mario Moretti, 77 anni compiuti, il capo delle brigate rosse che guidò personalmente nel 1978 l’operazione del sequestro e dell’assassinio di Aldo Moro, a distanza di 45 anni da quell’impresa e di 42 anni dalla cattura, con ben sei ergastoli da scontare per la sua  sanguinosa attività terroristica, vive già dal 1997 in regime di semilibertà. Che è evoluto da allora in modo tale che, pur dovendo rientrare nel carcere di Verziano alle ore 22 e uscirne la mattina dopo, egli ha potuto fissare domicilio in una casa di Brescia, svolgere azione di volontariato e spostarsi in auto sino a Milano. 

Egli si è guadagnato questi sei ergastoli non ostativi, come si dice oggi, senza essersi mai dissociato e pentito del terrorismo, ma limitandosi a prendere atto della sua fine quando venne sconfitto. E soprattutto senza avere mai aiutato la giustizia a chiarire i tanti punti oscuri della tragedia Moro: tanti e tanto oscuri da avere impegnato, oltre a tanti inquirenti e giudici, varie commissioni parlamentari. L’ultima delle quali, presieduta dall’ex ministro Giuseppe Fioroni, ha accertato che i colpi  contro l’ostaggio inerme nel bagagliaio di un’auto il 9 maggio 1978 furono sparati da Moretti e complici in modo tale da prolungarne al massino la dolorosa agonia. 

Per non parlare degli uomini -tutti gli uomini- più giovani della scorta sterminata il 16 marzo 1978, Moro aveva solo 62 anni quando Moretti e gli altri brigatisti rossi lo ammazzarono. Il mese scorso Moretti, che allora ne aveva 32, ha potuto compierne 77 grazie anche al modo in cui è stato ed è tuttora trattato, in semilibertà, dal tanto spregevole e disumano sistema penitenziario italiano. Che pure il boss mafioso Matteo Messina Denaro temo abbia preferito, lasciandosi catturare, a cliniche e ospedali frequentati da latitante per curarsi di un tenace tumore.  

Reazione elettoralistica della Meloni alle critiche per gli attacchi a Macron

Per stare alla facciata di Palazzo Chigi come  l’ha voluta illuminata Giorgia Meloni di ritorno dal Consiglio Europeo straordinario, s’impone ormai il ricordo, oltre al vecchio dramma delle foibe, dello “strappo” -come ha titolato Repubblica- che la premier italiana ha voluto consumare nei riguardi di Macron in apertura e in chiusura dell’importante evento comunitario di Bruxelles. “L’avviso dei partner: così Giorgia farà piccola l’Italia”, ha insistito Repubblica in un altro titolo. Ma è l’opposto di notizie e valutazioni di altri giornali secondo cui la Meloni ha raccolto nella stessa Unione Europea e nella maggioranza con la quale governa in Italia apprezzamenti per gli attacchi a Macron. Che improvvisando a Parigi un vertice conviviale col cancelliere tedesco Sholz e il presidente ucraino Zelensky avrebbe rivendicato il primato franco-tedesco in un’Europa che rischierebbe così “la fine del Titanic”. Su cui ha titolato il manifesto riportando anche le parole della Meloni sulla morte che accomunò tanti passeggeri, a prescindere dal biglietto che avevano pagato e delle classi in cui avevano navigato. Paragone -bisogna riconoscerlo- azzeccato, al di là del giudizio che ciascuno voglia esprimere sulla opportunità e sui tempi scelti dalla Meloni per riaprire un altro conflitto politico con Parigi. 

I tempi scelti dalla presidente del Consiglio sono, fra l’altro, quelli strettissimi delle elezioni regionali di domani e lunedì in Lombardia e Lazio, dove sono assai probabili sia la vittoria del centrodestra, o destra-centro, sia l’aumento delle distanze fra il partito della Meloni e gli alleati. La bandiera nazionale e insieme europea nella quale la premier ha voluto avvolgersi contro l’asse franco-tedesco potrebbe in effetti giovarle. “L’isolato è Macron”, ha titolato Libero.

Pur in una funzione elettoralistica che ha sempre i suoi limiti, vista la volatilità degli umori nelle urne, va detto che la Meloni ha trovato sulla strada nelle ultime 24 ore comprensioni e persino solidarietà che vanno oltre il suo schieramento politico. 

Anche Fabio Rampini, per esempio, ha scritto nell’editoriale odierno del Corriere della Sera che “il motore franco-tedesco dell’Unione è in uno dei punti più bassi”, considerando “la morte celebrale della Nato” su cui aveva scommesso imprudentemente Macron prima dell’aggressione russa all’Ucraina e la mancata “svolta della politica militare tedesca” promessa da Sholz di fronte alla guerra voluta da Putin. Sono seguite solo le dimissioni della ministra della Difesa a Berlino. 

Suonano a favore della Meloni anche quelle “torrette contro i migranti” appena strappate all’Unione con l’aiuto della presidente della Commissione Ursula von der Layen, con tanto di titolo e fotomontaggio sull’insospettabile Fatto Quotidiano, che abitualmente non fa favori al governo in carica, salvo sul caso del carcere duro contrastato col digiuno dal detenuto anarchico Alfredo Cospito e appena confermato dal ministro della Giustizia.

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