

Mentre una minoranza consistente di italiani di buona volontà e bocca risulta comprendere, se non addirittura condividere le proteste del detenuto anarchico, gambizzatore e dinamitardo Alfredo Cospito, appena confermato nel regime del carcere duro del famoso articolo 41 bis dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, è venuta fuori una notizia che smentisce clamorosamente l’impressione, alimentata proprio dalle polemiche su Cospito, che il sistema penitenziario sia generalmente troppo stretto, troppo invasivo, troppo poco pedagogico e perciò in conflitto latente con l’articolo 27 della Costituzione. Che dice, fra l’altro: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
E’ un articolo, quest’ultimo, che il mio amico Piero Sansonetti sul Riformista ha rimproverato a Roberto Benigni di non avere evocato nell’esaltazione della Costituzione fatta in apertura del festival canoro di Sanremo alla gratificante presenza del capo dello Stato, preferendo gli articoli contro la guerra e per la libera manifestazione del pensiero.

Ebbene, Mario Moretti, 77 anni compiuti, il capo delle brigate rosse che guidò personalmente nel 1978 l’operazione del sequestro e dell’assassinio di Aldo Moro, a distanza di 45 anni da quell’impresa e di 42 anni dalla cattura, con ben sei ergastoli da scontare per la sua sanguinosa attività terroristica, vive già dal 1997 in regime di semilibertà. Che è evoluto da allora in modo tale che, pur dovendo rientrare nel carcere di Verziano alle ore 22 e uscirne la mattina dopo, egli ha potuto fissare domicilio in una casa di Brescia, svolgere azione di volontariato e spostarsi in auto sino a Milano.

Egli si è guadagnato questi sei ergastoli non ostativi, come si dice oggi, senza essersi mai dissociato e pentito del terrorismo, ma limitandosi a prendere atto della sua fine quando venne sconfitto. E soprattutto senza avere mai aiutato la giustizia a chiarire i tanti punti oscuri della tragedia Moro: tanti e tanto oscuri da avere impegnato, oltre a tanti inquirenti e giudici, varie commissioni parlamentari. L’ultima delle quali, presieduta dall’ex ministro Giuseppe Fioroni, ha accertato che i colpi contro l’ostaggio inerme nel bagagliaio di un’auto il 9 maggio 1978 furono sparati da Moretti e complici in modo tale da prolungarne al massino la dolorosa agonia.

Per non parlare degli uomini -tutti gli uomini- più giovani della scorta sterminata il 16 marzo 1978, Moro aveva solo 62 anni quando Moretti e gli altri brigatisti rossi lo ammazzarono. Il mese scorso Moretti, che allora ne aveva 32, ha potuto compierne 77 grazie anche al modo in cui è stato ed è tuttora trattato, in semilibertà, dal tanto spregevole e disumano sistema penitenziario italiano. Che pure il boss mafioso Matteo Messina Denaro temo abbia preferito, lasciandosi catturare, a cliniche e ospedali frequentati da latitante per curarsi di un tenace tumore.