Dopo Ischia Meloni promette entro un mese un piano di “adattamento al cambiamento climatico”

Visti anche i problemi avuti con le ultime conferenze stampa, interrotte da proteste di giornalisti insoddisfatti del troppo poco tempo lasciato alle loro domande o del tono sbrigativo di certe risposte, la presidente del Consiglio si è lasciata intervistare a lungo, a poco più di un mese dal suo insediamento, dal direttore in persona del giornale più diffuso in Italia: Luciano Fontana, del Corriere della Sera. Che non le ha risparmiato qualche critica: per esempio, quando la premier gli ha risposto negativamente ad una domanda sull’opportunità di ritirare, ora che guida il governo, qualche querela per diffamazione presentata da semplice leader di una forza politica. E ciò per non apparire, a torto o a ragione, intenzionata ad approfittare del maggiore potere acquisito politicamente. 

Diversamente dal direttore del Corriere, non credo che la Meloni abbia torto a reclamare ancora il processo contro lo scrittore Roberto Saviano. Che le aveva dato della “bastarda” e dovrebbe quanto meno scusarsi per attendersi il buon gesto della rinuncia all’azione penale: cosa che invece lui non ha fatto, rivendicando anzi il merito e il diritto all’offesa. La santità non è ancora un requisito richiesto ad una fedele arrivata alla guida di un governo. 

A parte questo aspetto che potrebbe anche apparire marginale, ma tale non è per la disinvoltura con la quale in Italia non si fa solo politica ma anche giornalismo, l’intervista ha naturalmente toccato la dolorosa vicenda di Ischia   travolta dal fango, che occupa le prime pagine con un bilancio ancora incompleto di vittime, mentre scrivo. “In Consiglio dei Ministri -ha detto la presidente- abbiamo preso un impegno: approvare entro l’anno il piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico”. Di fronte al quale si spera a Palazzo Chigi che si riducano anche le polemiche, recriminazioni e altro ancora in corso. Esse hanno coinvolto, a torto o a ragione, anche la Meloni per avere a suo tempo votato alla Camera, pur essendo all’opposizione, la contestata norma introdotta dal primo governo di Giuseppe Conte ad un provvedimento dopo il crollo del ponte Morandi a Genova per accelerare, quanto meno, vecchie pratiche di condono edilizio pendenti a Ischia. Che con Genova, a dire il vero, avevano poco o niente da condividere.

Certo, varare entro un mese, ormai, un piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico non è un impegno da poco. Ma temo che, pur riuscendovi, la presidente del Consiglio si troverà pure lei alle prese con un inconveniente ormai abituale in Italia: l’incapacità di spendere le risorse finanziarie stanziate. Ciò accade anche con i fondi europei, dei quali si occupa proprio oggi in una intervista al Foglio il ministro competente Raffaele Fitto, con tanto di titoli in rosso impiegati dal giornale fondato da Giuliano Ferrara. 

Sullo spettacolo un pò troppo singolare appena dato, sempre sullo sfondo della tragedia di Ischia, da due ministri scontratisi sui sindaci da arrestare o da difendere nella gestione dell’abusivismo edilizio, la Meloni ha cercato caritatevolmente di minimizzare. Ed ha scommesso sulla compattezza e sulla durata del suo governo e della relativa maggioranza. Della quale -ha detto- non penso che abbia bisogno di allargarsi a qualcuno perché è solida”. “Ciò non toglie -ha aggiunto riferendosi a Renzi e Calenda citati nella domanda del direttore del Corriere della Sera- che se alcuni all’interno dell’opposizione vorranno condividere con noi alcune proposte ci sarà sempre la nostra disponibilità”, evidentemente, ad accogliere il loro voto favorevole. Cioè, a gratis, come si dice a Roma. 

Stimolata a parlare in particolare anche di Silvio Berlusconi, e dei cattivi umori attribuitigli spesso dai giornali, la presidente del Consiglio ha assicurato di “sentirlo spesso su tutte le questioni fondamentali”. “Anche con Salvini -ha detto- c’è un rapporto costante e continuo”. Si vedrà se è ottimismo d’ufficio o davvero qualcosa di più.  

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Abusi edilizi, evasioni fiscali, redditi di cittadinanza: parenti stretti del lassismo populista

Sono reo confesso, persino davanti a un commissario di polizia o pubblico ministero assomigliante fisicamente a Marco Travaglio, di scarsa, ma assai scarsa simpatia verso il politico Giuseppe Conte. Non verso l’avvocato, poco importa se del popolo o di altri più in particolare, per il rispetto che gli debbo -chiamatelo pure opportunistico- come collega dei miei, anzi nostri editori. Non ridete, per favore. Lo dico sul serio. 

Eppure, non per convenienza ma per convinzione, non per simpatia -ripeto- ma per onestà professionale, scrivendo di politica da una vita, e per niente breve, ritengo disonesto il processo più o meno sommario che hanno improvvisato gli avversari contro l’ex presidente del Consiglio per quel maledetto articolo 25 di un decreto sul crollo del ponte Morandi a Genova, nel 2018. Esso consentiva l’espletamento più rapido di vecchie pratiche di condono di ancor più vecchi abusi edilizi a Ischia. Alcuni dei quali, magari, possono avere messo il loro pur infinitesimale zampino nella valanga di acqua e di fango che ha appena riportato tragicamente l’isola sulle prime pagine dei giornali, italiani e anche stranieri. E che ha spinto persino il troppo algido presidente Emmanuel Macron, almeno agli occhi dei suoi critici, a fare una telefonata di solidarietà e di riconciliazione -si spera- alla nuova premier romana Giorgia Meloni dopo il malinteso, chiamiamolo così, sui migranti sbarcati una volta tanto in un porto francese dalla nave di soccorso Ocean Viking.

Nossignori, se volete processare Conte, dovete portare sul banco degli imputati fior di altri politici viventi e defunti, alla memoria. E non solo per gli abusi edilizi e relativi condoni, tutti studiati per raccogliere insieme consensi elettorali ed entrate utili a mettere qualche pezza nei conti pubblici sempre sofferenti, ma anche per quelli che mi permetto di considerare, anche al costo di sembrarvi provocatorio, i loro parenti stretti. Sono, nell’ordine più spontaneo che mi viene, le evasioni fiscali e i redditi -al plurale- di cittadinanza. Materia, quest’ultima, con tutti gli abusi che vengono fuori un giorno sì e l’altro pure, spesso tra le pieghe di indagini su altri reati, addebitabile alla categoria più generale del populismo d’accatto. In cui Conte, paradossalmente, per convenienza elettorale e politica avrebbe pure interesse a rimanere solo sul banco metaforico degli imputati, tanto da avere già organizzato una prima manifestazione di protesta contro i tagli pianificati dal nuovo governo, ma dove non sarebbe giusto lasciarlo solo, ancora una volta. 

Al reddito di cittadinanza, al singolare, come una pomata da spalmare sulla piaga dell’indigenza, o persino -nella immaginazione balconara di Luigi Di Maio nel 2018 in veste di vice presidente del Consiglio e ministro, insieme, del Lavoro e dello Sviluppo Economico- come l’arma segreta per “la sconfitta della povertà”; al reddito di cittadinanza, dicevo, hanno dato il loro contributo di apprezzamento e persino di collaborazione quasi tutti. Penso ai leghisti di Matteo Salvini, partecipi del primo governo Conte, al Pd di Enrico Letta partecipe del secondo governo Conte, naturalmente contrario a rimetterlo in discussione, ma anche a Silvio Berlusconi, sempre pronto a precisare i limiti di ogni intervento correttivo e a riconoscere le buone finalità della misura a suo tempo voluta dai grillini. 

Il mio buon amico Marcello Sorgi nei panni di uno storico ancora più attrezzato e professionale di un altro mio buon amico come Paolo Mieli, è appena risalito sulla Stampa addirittura al 119 dopo Cristo per trovare nell’imperatore Adriano il progenitore dei condonisti- chiamiamoli così- dei nostri tempi e di quelli attribuibili alla cosiddetta prima Repubblica. Conte può così ritrovarsi, non so francamente quanto volentieri o pazientemente, con i compianti Mariano Rumor, Giovanni Spadolini, Bettino Craxi, Giulio Andreotti, e i viventi Lamberto Dini e Berlusconi, finiti tutti in effigie più o meno ovale in una galleria all’interno, sempre, della Stampa. 

Per chiudere, permettetemi due parole su una proposta appena formulata su Repubblica da Giovanni Moro, figlio dell’indimenticato e indimenticabile Aldo, contro gli evasori fiscali che tanto ha indignato sulla Verità Maurizio Belpietro: togliere loro il diritto di voto, attivo e non solo passivo. Ma guarda, Giovanni, che gli evasori fiscali, per me anch’essi parenti stretti degli abusivi dell’edilizia e di altri corteggiati dai populismi ambivalenti, già se ne fregano da soli delle elezioni non partecipandovi. Non a caso gli astensionisti costituiscono da tempo il vero, temo insuperabile partito di maggioranza in Italia.

Pubblicato sul Dubbio

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