Sorpresa a Bruxelles: Giorgia Meloni è terrestre, non marziana

Giorgia Meloni dev’essere arrivata ieri a Bruxelles- o sbarcata come nel titolo del manifesto sovrapposto alla foto con la presidente della Commissione europea Ursula von der Layen- abbastanza in apprensione se ha chiuso la trasferta compiacendosi di aver saputo dimostrare di essere una terrestre, non la marziana che temeva di essere apparsa a distanza. Sotto sotto, a dispetto di una campagna elettorale esplosa a Milano con quel grido contro “la pacchia” di una Unione Europea sostanzialmente al guinzaglio degli interessi tedeschi, la premier italiana deve essere arrivata a Bruxelles temendo che la pacchia stesse finendo o fosse finita per lei, come nel titolo dedicatole oggi dal Foglio.

Invece la premier italiana non è stata soltanto riconosciuta e trattata da terrestre in incontri quindi non scambiabili per quelli di terzo tipo del famoso film di Steven Spielberg del 1977, l’anno peraltro di nascita di Giorgia Meloni. E’ riuscita ad ottenere o strappare, come preferite, anche una “tregua” che Repubblica ha definito “armata”, nel contesto del “gelo” attribuito agli interlocutori pur rasserenati dal fatto che l’ospite non venisse da Marte, fornita di chissà quali misteriose armi. 

Una tregua senza aggettivi è stata quella annunciata da Avvenire, il giornale dei vescovi italiani un pò più ottimista o meno prevenuto, pur in ansia per la nuova vertenza apertasi fra Roma e Berlino sul terreno dei migranti tanto a cuore al Papa. Che li vorrebbe tutti accolti nei porti italiani, pur riconoscendo ogni tanto che non li potremmo trattenere tutti noi, colpevoli solo di vivere lungo i confini meridionali dell’Europa. 

Si vedrà se e quali effetti produrrà anche su questo terreno la missione di approccio, conoscenza e simili compiuta dalla Meloni nella capitale dell’Unione, che è pur sempre Bruxelles e non Berlino, anche se è tedesca la presidente della Commissione. Ma una tedesca che parlicchia italiano dopo tutte le vacanze che trascorre da noi, diversamente dalla conterranea Angela Merkel. Le cui vacanze in Italia non l’hanno mai invogliata a imparare la nostra lingua. 

Di ritorno dalla trasferta a Bruxelles la presidente del Consiglio ha trovato buone ma anche  brutte notizie per lei. Buone, per esempio, come quelle di Alessandra Ghisleri, il cui ultimo sondaggio -riferito personalmente sulla Stampa di oggi- danno la Meloni un indice di fiducia personale del 40,6 per cento: quasi un punto in più rispetto a dieci giorni fa, nonostante quindi, o proprio a causa delle polemiche scoppiate sulle misure adottate dal Consiglio dei Ministri sui raduni non autorizzati, sul reintegro anticipato dei medici no vax negli ospedali e sull’ergastolo “ostativo” dei detenuti per mafia. E’ salita anche l’attrazione elettorale del partito della Meloni, ormai in marcia col suo 28,7 per cento verso e forse anche oltre il 30.

Le cattive notizie per la presidente del Consiglio sono invece quelle provenienti da Forza Italia, dove aumentano le riserve, perplessità e paure derivanti dalla nuova fase del centrodestra orgogliosamente rivendicata dagli alleati rovesciandone la denominazione. Alla “scommessa del destra-centro” è dedicato con un certo sarcasmo l’editoriale odierno del direttore del Giornale della famiglia di Silvio Berlusconi. Che attribuisce proprio alla voglia o all’interesse della Meloni di marcare questa nuova identità dell’alleanza di governo risalente al lontano 1994 gli errori delle ultime misure adottate dal Consiglio dei Ministri, e destinate ad un difficile percorso parlamentare.

“La vera scommessa di Giorgia Meloni -ha scritto Minzolini- è quella di governare questo Paese non più con un approccio moderato, ma con un’identità marcata di destra.” Mi dovete avvertire- è la preghiera che rivolge quotidianamente alle persone più vicine- se cambio”. Questa è la novità….Il tempo dimostrerà se si è trattato di una scommessa vincente o di un azzardo”. L’attesa non sembra ottimistica. 

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

In attesa di sapere se anche il Covid, almeno in Italia, è di destra o di sinistra

Vista la premura avuta, in vista della seduta del Consiglio dei Ministri, di ammonire a non abbassare la guardia nella lotta al Covid- sia che si concepisca di destra la pandemia, riguardosa quindi verso il governo di Giorgia Meloni, sia che la si concepisca di sinistra, pronta quindi alla recrudescenza per metterlo nei guai e forse anche abbatterlo- qualcuno si sarà stupito della rapidità con la quale Sergio Mattarella ha controfirmato tutte le misure trasmessegli da Palazzo Chigi. E ciò anche a costo di deludere giuristi di una certa autorevolezza prontamente espostisi con dubbi sull’urgenza invocata dal governo ricorrendo allo strumento del decreto legge. 

Certo, sarebbe stato clamoroso se il presidente della Repubblica, anche dopo la cordialità manifestata a Gorgia Meloni nella cerimonia del giuramento suo e dei ministri al Quirinale, avesse obbiettato qualcosa tornando  in qualche modo sulla prudenza consigliata in materia sanitaria. Ma proprio per questo, cioè per il clamore politico che avrebbe provocato, e non per un’altra carineria verso la prima donna arrivata alla guida del governo nella storia d’Italia, Mattarella dev’essersi sottratto alla tentazione di uno strappo, se davvero avvertita. 

Del resto, con avvedutezza tutta politica maturata anche sbagliando, come le capitò cinque anni fa unendosi all’allora capo grillino Luigi Di Maio nella minaccia di un impeachment di Mattarella per avere rifiutato la nomina di Paola Savona a ministro dell’Economia nel primo governo Conte, cui pure lei era interessata solo come oppositrice; con avvedutezza tutta politica, dicevo, la Meloni si era già preoccupata di alleggerire le misure predisposte per svoltare nel contrasto al Covid. In particolare, aveva rinunciato a a sollevare dall’obbligo della mascherina la frequentazione degli ospedali e delle residenze assistenziali sanitarie. Anche questo probabilmente ha contribuito a ridurre le presunte o prevedibili resistenze del Quirinale. 

Una certa astuzia la Meloni l’ha avuta anche abbinando l’intervento sul contrasto al Covid, e quello contro i raduni illegali, alle  norme sul cosiddetto carcere ostativo. Che sono di una urgenza incontrovertibile, dovendosi occupare di questa materia la Corte Costituzionale fra qualche giorno, dopo avere più volte sospeso una sua decisione, con le forbici in mano rispetto alle disposizioni in vigore sino all’altro ieri sui detenuti mafiosi. E ciò per rispettare le competenze legislative del Parlamento, dove le norme riscritte dal governo dovranno essere convertite, cioè ratificate o modificate, entro i 60 giorni stabiliti dalla Costituzione. 

A consigliare a Mattarella il via libera a tutte le misure adottate dal governo può avere  infine contribuito la consapevolezza, subito avvertita da uno con la sua esperienza, di una certa fluidità della maggioranza, particolarmente tra i forzisti di Silvio Berlusconi, di fronte alle decisioni governative più contestate dalle opposizioni. Che potrebbero pertanto riceverne un aiuto nel passaggio parlamentare della conversione non dico per sopprimerle, ma almeno per cambiarle. 

Certo, conoscendone ormai tutti anche la capacità di essere ironico, come lui stesso  una volta si compiacque  con una scolaresca in visita al Quirinale durante il suo primo mandato, Mattarella avrà sorriso pure lui della possibilità, accennata all’inizio, che potremmo avere di scoprire, nella vicenda apertasi con le decisioni del Consiglio dei Ministri, il colore politico di questo maledetto Covid, e varianti.  Se la pandemia dovesse riprendere sarà un affare politico per le opposizioni, imbrattandosi anch’essa del rosso della sinistra. Se, al contrario, non dovesse sorprenderci con una recrudescenza anche la pandemia, salvando praticamente il governo, sarebbe imbrattata del nero col quale si sta cercando di dipingere, sempre da sinistra, il destra-centro subentrato al centrodestra. Che però, a dire il vero, si era anch’esso guadagnato il nero, da parte della sinistra e dintorni, alle elezioni e all’esordio a Palazzo Chigi, nel lontano 1994, di Silvio Berlusconi  “sdoganatore” -si gridò- di fascisti, parafascisti e simili. 

Pubblicato sul Dubbio

Ripreso da http://www.startmag.it il 5 novembre

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