Inascoltate, anzi tradite le parole di Papa Francesco sul problema dei migranti

Pazienza per Putin che, forte delle incoraggianti benedizioni di Cirillo, il “suo” Papa, se ne sbatte del Pontefice di Santa Romana Chiesa, Francesco, che gli chiede inutilmente di smetterla di radere al suolo l’Ucraina, ucciderne o deportarne la popolazione, decorare gli autori delle stragi e altre porcherie. Ma è a dir poco sconcertante che in Italia, diventata ormai anche la sua terra, da cui d’altronde proviene la propria famiglia, e la cui lingua egli predilige spesso anche all’estero, il Papa non riesca a spegnere il fuoco delle polemiche sulla “crisi disumanitaria” riesplosa sul fronte dei migranti, come l’ha chiamata su tutta la prima pagina Avvenire, il giornale dei nostri vescovi. O “l’inferno dei migranti”, come ha preferito titolare la laicissima Stampa evocandone diavoli e fiamme. 

Ciò di cui si è compiaciuto il Papa, il fatto cioè che il governo italiano, pur contestando la pretesa di navi battenti bandiere straniere di scaricare nei nostri porti tutti i naufraghi soccorsi in mare, abbia fatto scendere donne, bambini e malati, è stato bollato dalle opposizioni, ma sotto sotto anche da qualche frangia della maggioranza, come una strumentalizzazione dei “fragili”, una  odiosa “discriminazione”, una violazione di leggi internazionali, una disumanità, per ripetere il linguaggio di Avvenire.  

Dalla già citata Stampa di Torino al Riformista si sono levate grida di protesta per ciò di cui il Papa non si è per niente doluto: l’apprezzamento e il ringraziamento della presidente del Consiglio Giorgia Meloni per le parole di comprensione pronunciate da Francesco nei riguardi del governo e per l’appello rivolto agli altri paesi europei a non lasciare sola l’Italia a fronteggiare il problema comunitario dell’immigrazione. “La destra smetta di usare il Papa”, ha titolato di preciso la Stampa. “Il Papa meloniano?” si è chiesto con sfacciata forzatura il Riformista per rispondere: “E’ la bufala dell’anno”. 

Sul fronte degli oppositori o dei critici del governo c’è una specie di gara a chi protesta di più, o più convintamente. Luigi Manconi, per esempio, ha scritto per Repubblica una lettera aperta ad Enrico Letta per sfidarlo a fare “rinascere il Pd in quel porto” catanese dove si sta consumando il braccio di ferro fra le navi del volontariato battenti bandiere straniere e il governo italiano. Le une convinte -ripeto- che possano scaricare da noi tutti i migranti che trasportano e l’altro convinto che,  a dir poco, debbano essere coinvolti nell’obbligo dell’accoglienza anche i paesi sotto le cui bandiere  sono stati prestati i soccorsi in mare ai quali i cosiddetti scafisti, cioè i mercanti di carne umana, destinano le loro vittime facendole partire dalle coste africane su mezzi inadeguati. 

Non è bastato evidentemente a Manconi ciò che lo stesso Enrico Letta aveva scritto il giorno prima proprio su Repubblica in apertura del lungo percorso congressuale di un Pd deciso a “reagire subito a una destra che ha esordito nel peggiore dei modi, muovendosi su un terreno ideologico reazionario, nostalgico, passatista. Un disegno che mira a dividere il Paese e a condannare la nostra comunità nazionale a un preoccupante arretramento in termini di etica, diritti, civiltà”. 

“L’esempio più drammatico -aveva aggiunto il segretario piddino nella sua invettiva –  è quanto sta avvenendo in queste ore nel Mediterraneo, con il ritorno  da parte del governo Meloni a un utilizzo politico becero e barbaro dei drammi di donne, uomini, bambini inermi. Un fatto gravissimo al quale stiano reagendo e reagiremo con la massima determinazione”. Eppure Enrico Letta quando scriveva queste parole conosceva già quelle più misurate usate nei riguardi del governo italiano dal Papa parlandone con i giornalisti sull’aereo che lo riportava in Italia dalla visita in Bahrein.  

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Il centrodestra a trazione meloniana ha perduto….Letizia

“Auguroni a Moratti dopo aver fatto per il centrodestra il ministro, il sindaco e l’assessore” regionale, ha detto – commentandone l’annunciata candidatura alla presidenza della Lombardia col terzo polo di Carlo Calenda e Matteo Renzi- il vice presidente del Consiglio, ministro delle Infrastrutture e leader della Lega Matteo Salvini. Che peraltro si era molto speso direttamente non più tardi della settimana scorsa per allungare l’incompleta lista delle cariche della signora prospettandole incarichi di cosiddetto sottogoverno per distrarla, diciamo così, dall’aspirazione al Pirellone. Dove la Moratti vorrebbe sostituire a marzo il presidente uscente della Lombardia Attilio Fontana: da non confondere con l’altro Fontana, Lorenzo, sempre leghista, salito in questa nuova legislatura al vertice della Camera.

Evidentemente, se le cariche sono una tentazione forse poco commendevole per una signora già da tempo in carriera politica, vicinissima -in questo mese- al compimento dei 73 anni, Salvini non ha avuto problemi a fare opera di tentazione sfidando anche il pater noster nella nuova formulazione, che ci fa pregare il Signore di non lasciarcene indurre. E il tentatore di ogni credente, si sa, è il diavolo. Della cui figura rimane politicamente celebre la descrizione che fece nel 1973, in un congresso democristiano, il già allora segretario Arnaldo Forlani sotto sfratto ad opera del suo capocorrente Amintore Fanfani. Il quale aveva deciso di sostituirlo per replicare al vertice dello scudocrociato l’avventura di vertice interrottasi bruscamente nel 1959, avendo lui imprudentemente cumulato troppo potere, insieme, di partito e di governo. 

Forlani identificò nel diavolo il promotore del trasformismo finalizzato a trattenere o conquistare o riconquistare il potere, appunto. E lui coerentemente non tentò neppure di resistere all’assalto di Fanfani, magari sposandone la linea della ripresa del centrosinistra interrottosi alla fine del 1971 per la protesta dei socialisti contro l’elezione di Giovanni Leone al Quirinale senza il loro consenso. 

Ma lasciamo da parte il passato e torniamo ai giorni nostri. I giorni di Matteo Salvini, alleati e avversari vecchi e nuovi. Dicevo della sua “lista incompleta” delle cariche ricoperte da Letizia Moratti in una quasi trentennale carriera politica. Salvini si è infatti dimenticato della non irrilevante presidenza della Rai assegnatale nel 1994 sotto le insegne del centrodestra, già prima di diventare nel 2001 ministro della Pubblica Istruzione rimanendovi sino al 2006 nei due governi Berlusconi -il secondo e il terzo- che contrassegnarono l’intera quattordicesima legislatura repubblicana. 

Mi chiedo se è non dico galante, trattandosi di un uomo alle prese con una signora, ma politicamente corretto liquidare la Moratti – come ha praticamente cercato di fare Salvini in nome e per conto del centrodestra-come una poltronista o poltronara qualunque sostituendosi a quei sanfedisti di Forza Italia, da cui appunto proviene l’ex sindaca di Milano, che liquidarono così nei mesi scorsi l’uscita dal partito, per dissenso politico, di Renato Brunetta, Mariastella Gelmini e Mara Carfagna. Che furono sorpresi -a dir poco- dal ritiro della fiducia di Forza Italia al governo di Mario Draghi, dove loro la rappresentavano. 

Eppure, essendo scontata la vittoria del centrodestra nelle elezioni, a quel punto anticipate di qualche mese rispetto alla scadenza ordinaria, i tre ministri dimissionari lasciarono il certo per l’incerto: l’opposto quindi del poltronismo. Dei tre, Brunetta rinunciò pure a tentare la rielezione alle Camere in altre liste, come fecero invece le più  giovani Gelmini e Carfagna tornate in Parlamento col terzo polo.

Ora la Moratti legittimamente aspirante alla presidenza della Lombardia, peraltro  promessale, offertale e quant’altro al momento del soccorso ad Attilio Fontana prestato in piena pandemia Covid, decidendo di candidarsi proprio col terzo polo, con un Pd che solo per questo ne ha già contestato la corsa, è andata anch’essa più verso l’incerto che il certo, verso più una sconfitta, per quanto dignitosa e foriera di sommovimenti altrui, che verso una vittoria. Pure qui, come nel caso di Brunetta, Gelmini e Carfagna, l’opposto del trasformismo poltronistico. 

Mi chiedo perché nel centrodestra, o destra-centro che gli è subentrato, e più in particolare in Forza Italia, si ceda così spesso e così rovinosamente alla tentazione un pò beduina- lasciatemi dire- di liquidare il dissenso politico per tradimento, ingratitudine, poltronismo appunto e via scendendo di livello. E’ una pratica peraltro penalizzante sul piano del consenso, visto che l’ultimo sondaggio effettuato dalla insospettabile Alessandra Ghisleri, a lungo considerata “di fiducia” di Berlusconi, attribuisce a Forza Italia il 6,5 per cento dei voti, l’1,6 in meno delle elezioni politiche del 25 settembre, sorpassata dal terzo polo. Che pure col suo 8,2 ha guadagnato solo lo 0,4 per cento rispetto a circa un mese e mezzo fa.

Pubblicato sul Dubbio

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