Le disumanità secondo le speciali categorie di giudizio di Giuseppe Conte

Tutto preso a contrastare “la manovra disumana” varata in Italia dal governo di Giorgia Meloni mettendo mano al cosiddetto reddito di cittadinanza, che ha consentito ai pentastellati di perdere nelle elezioni di settembre “solo” la metà dei voti del 2018, e di lanciare da questa posizione un’opa contro il Pd di Enrico Letta troppo tiepido e poco credibile all’opposizione, Giuseppe Conte si è avventurato a difendere Putin dalla ben più consistente e vera disumanità rimproveratagli dal Parlamento Europeo con la natura ormai terroristica della guerra all’Ucraina. Dove i missili cadono anche su ospedali, scuole, parchi giochi dei bambini, palazzi civili con l’obiettivo dichiarato di sprofondare la popolazione nel freddo e nel buio,   come ha titolato Avvenire, oltre che nel sangue già abbondantemente sparso in nove mesi di cosiddetta operazione speciale. Che si continua a non poter chiamare guerra in Russia senza finire in galera. “Lo strazio di Kiev”, ha misuratamente lamentato il manifesto.

Alla mozione del Parlamento Europeo contro i metodi terroristici di Putin, approvata con 494 voti, si sono opposti astenendosi anche i  cinque deputati pentastellati italiani presenti e guidati da Tiziana Beghin, coperti a Roma da Conte in persona con questa motivazione dettata in una intervista al Corriere della Sera nel contesto dell’opposizione grillina alla “disumana” -ripeto- manovra economica del governo Meloni: “La condotta di Putin e della Russia l’abbiamo condannata senza se e senza ma. Oggi i nostri sforzi sono protesi a costruire, a partire dal protagonismo dell’Unione Europea, un vero percorso diplomatico. Definire la Russia uno Stato terrorista allontana le parti in causa e non aiuta a ricomporre il dialogo”. 

Neppure aiutare militarmente gli ucraini a resistere sin dal primo momento dell’attacco e dell’invasione, come si era deciso in Italia col consenso anche di Conte, è alla fine apparso allo stesso Conte favorire il “percorso democratico”, come adesso dice il presidente pentastellato dopo avere ritirato la fiducia al governo di Mario Draghi,  essere passato all’opposizione, avere provocato le elezioni anticipate e averle perdute. Anche se l’avvocato pugliese  finge di essere uscito dalle urne quasi indenne, comunque meglio di un Pd più votato e più rappresentato in Parlamento.

Mentre Conte si è premurato di soccorrere i suoi a Strasburgo, superati nell’ostilità alla mozione antiputinana solo dai voti del tutto contrari di tre deputati dissidenti del Pd- Pietro Bartolo, Andrea Cozzolino, Massimiliano Smeriglio- e della ex legista Francesca Donato, Il Fatto Quotidiano si è premurato di soccorrere lo stesso Conte con questo titolo o ragionamento, in apertura per quanto modesta del giornale: “I terroristi che danno dei terroristi ai russi- Strasburgo vota una risoluzione contro il Cremlino. Una forma di doppia morale, poiché dimentica le atrocità commesse, tra gli altri, dall’”alleato” turco contro i curdi”. Di cui tuttavia il Parlamento Europeo non stava occupandosi dibattendo della guerra in Ucraina. Un titolo, insomma, quello del Fatto, di cui si potrebbe chiedere, alla dipietrese, che c’azzecca. 

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Una manovra divisiva più per le opposizioni che per la maggioranza di destra-centro

Il rischio della manovra adottata dal governo Meloni con la sua prima legge di bilancio – sia nella versione “tisana” commentata dal vice presidente forzista della Camera Giorgio Mulé, sia nella versione “disumana”, da “macelleria sociale”, denunciata dal presidente delle 5 Stelle Giuseppe Conte- era di compattare le opposizioni e, al tempo stesso, di dividere la maggioranza. 

Almeno il ricompattamento delle opposizioni è stato evitato dalla presidente del Consiglio e dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. In piazza, salvo sorprese, non scenderanno insieme il segretario del Pd Enrico Letta e Giuseppe Conte, come accadde invece nella manifestazione romana per la pace. Dal cui corteo il primo dovette sfilarsi per le crescenti contestazioni nei suoi riguardi. 

Letta si terrà stretta la sua manifestazione di protesta già annunciata, in un percorso ancora da definire, per il 17 dicembre: troppo sotto Natale, hanno borbottato quanti non intendono forse parteciparvi. Sarà una protesta contro una manovra “improvvisata e iniqua”, ha detto  il  segretario del Pd facendo storcere il muso all’amico o compagno di partito Andrea Orlando, smanioso di riallearsi con Conte e convinto che la legge di bilancio sia ancora peggiore: “lucidamente reazionaria”. 

Le opposizioni sono quindi divise fra di loro e al loro interno: un vantaggio in più per il governo, pur alle prese anch’esso -per carità- con problemi fra e nei partiti della maggioranza. Ma questi ultimi non sembrano proprio destinati ad esplodere in modo da compromettere la tenuta di una coalizione dove tutti sanno bene che ciò che ritengono sia mancato in questa manovra potrà essere perseguito e ottenuto nelle prossime solo a condizione che il governo sopravviva. E possibilmente per tutti i cinque anni della legislatura, non cadendo  prima per lasciare cantare vittoria alle opposizioni neppure unite fra di loro. 

Più che i forzisti di Silvio Berlusconi -quelli della “tisana” di Mulé- nella maggioranza di centrodestra, o di destra-centro, ad essere anche in visibile sofferenza, come nella conferenza stampa tenuta dalla Meloni sulla manovra, è il vice presidente del Consiglio e leader leghista Matteo Salvini. Che ha dovuto fingere di non sentire e non capire quando il collega di partito e ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha rivendicato il merito di avere contenuto le richieste di maggiori spese per non far saltare i conti, e con i conti anche i rapporti con l’Unione Europea. E ha dedicato questi sforzi con una certa commozione all’amico e collega di partito appena scomparso Roberto Maroni, finito negli ultimi anni anni isolato nella Lega dal combinato disposto, diciamo così, delle aggressioni giudiziarie per la passata esperienza alla presidenza della regione Lombardia e per una maggiore consapevolezza mostrata e reclamata nel governo della cosa pubblica, senza troppe fughe in avanti dagli effimeri successi elettorali. 

L’ultimo sondaggio disponibile è quello condotto da Swg per il Tg7 il 21 novembre scorso, dal quale la Lega risulta al 7,6 per cento contro l’8,1 di una settimana prima, l’8,9 delle elezioni politiche del 25 settembre di quest’anno e il quasi 35 per cento delle elezioni europee del 2019. Che fecero perdere la testa a Salvini, allora vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno del primo governo Conte: tanto ch’egli reclamò “pieni poteri” con le elezioni anticipate per finire all’opposizione, avendo ingenuamente scommesso sulla indisponibilità del Pd di Nicola Zingaretti a subentrargli nella maggioranza, con Conte sempre a Palazzo Chigi. 

Fu allora peraltro che la staffetta nel centrodestra, per assumerne la guida e portarlo alla vittoria elettorale dello scorso settembre, passò a Giorgia Meloni e ai suoi fratelli d’Italia. Che ad ogni sondaggio, dopo il rinnovo delle Camere, continuano a crescere a spese appunto della Lega, oltre che della Forza Italia di Berlusconi, stremata dal progetto neppure tanto nascosto di contenere la Meloni instaurando con Salvini un rapporto privilegiato gestito a lungo da Licia Ronzulli. Che se non è riuscita a diventare ministro nell’attuale governo, dove Berlusconi la voleva, ha conquistato quanto meno la postazione di capogruppo forzista al Senato. E da lì, francamente, anche se volesse, avrebbe ben poco da tessere di costruttivo o distruttivo con Salvini, secondo le preferenze.

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