Anche il sollievo del Colle disturbato da Berlusconi alla vigilia delle consultazioni

Titolo del Dubbio

Immagino -a torto o a ragione, aggiungo sapendo quanto siano sensibili le antenne del Quirinale in questo avvio di legislatura- il sollievo procurato al presidente della Repubblica dalla pace o tregua, comunque aggettivata nelle libere interpretazioni dei giornali, raggiunta fra Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni nell’incontro “alla Scrofa”. Che è il modo col quale gli uomini e  le donne della destra italiana delle varie epoche, denominazioni e sigle, da Giorgio Almirante a Gianfranco Fini  e alla stessa Meloni, hanno sempre indicato un appuntamento alla sede nazionale del loro partito, a poca e nevralgica distanza sia dal Senato sia dalla Camera. Un luogo dal quale Berlusconi non si è lasciato impressionare, diciamo così, accettandolo per chiarirsi direttamente, a quattr’occhi, con la sua ex ministra della Gioventù che lo ha sorpreso a tal punto nella propria carriera politica da sopravanzarlo elettoralmente e da strappargli “il testimone”, come ha titolato in rosso l’irriverente Foglio dell’ex “amor nostro”. Così da quelle parti ancora chiamano il Cavaliere, che ne finanziò generosamente la fondazione e, a lungo, anche la crescita.  

Sempre al Foglio, con la stessa irriverenza, hanno attribuito a Berlusconi “il sorriso pallido di un prigioniero” nella foto che lo ritrae con la Meloni al termine dell’incontro, prima che il Cavaliere tornasse a inabissarsi nella sua auto, reduce addirittura da una cerimonia di “abdicazione”.  

Marzio Breda sul Crriere della Sera di ieri
Il titolo del Corriere della Sera a pagna 8 di lunedì 18 ottobre

Ma torniamo figurativamente al Quirinale. Dove la decisione, presa fra le altre alla Scrofa, di partecipare congiuntamente alle consultazioni per la formazione del nuovo governo, ha dissipato il timore della “complicazione” avvertita almeno per qualche ora, per dirla col quirinalista principe Marzio Breda. Che ne aveva scritto in un’”analisi” sul Corriere della Sera di lunedì sulle “variabili” che avrebbero comportato consultazioni separate e forse neppure omogenee. 

Marzio Breda sul Corriere della sera di ieri

Variabili, poi, al plurale per modo di dire perché, scrivendone alla fine al singolare, il buon Breda aveva osservato che  “l’alternativa per Mattarella sarebbe di prendere tempo, convocando un consulto supplementare”, sia pure sconsigliato da una “difficile situazione che non permette uno stallo”. Sergio Mattarella “potrebbe infine affidarsi ad un esploratore”, si era avventurato il quirinalista aggiungendo che “in tale eventualità il nome è quello di Ignazio La Russa, seconda carica dello Stato e storico interlocutore dei duellanti”. Già, perché il principale esploratore del capo dello Stato nelle crisi è proprio il presidente del Senato, destinato per Costituzione anche a sostituirlo in caso di impedimento. 

Il presidente del Senato Ignazio La Russa

“Ma se ci riducesse a questo, vorrebbe dire che, tornando alla matematica, saremmo a zero”, aveva concluso Breda, essendosi consumato il dramma del centrodestra proprio attorno all’elezione di La Russa al vertice del Senato col contributo di una parte dell’opposizione, tra il fallito boicottaggio astensionistico di 16 dei 18 senatori di Forza Italia. 

L’hanno scampata bella, quindi, anche al Quirinale. E’stato, sotto certi aspetti, anche un epilogo “patriottico”, per usare un aggettivo caro a Giorgia Meloni, vista la frequenza con la quale vi ricorre. 

Pubblicato sul Dubbio

Le tante facce, reali o immaginarie, della pace fra Berlusconi e la Meloni

Titolo della Stampa
Titolo del manifesto

Ciascuno ha visto naturalmente ciò che ha voluto, o desiderato, nell’incontro di riconciliazione fra Silvio Berlusconi e Giorgio Meloni nei locali di via della Scrofa, a Roma, dove lavorarono ai loro tempi Giorgio Almirante e Gianfranco Fini. E i due -“fratello e sorella”, come li ha rappresentati il manifesto- hanno lasciato piena libertà di interpretazione, lettura e quant’altro incontrandosi completamente da soli, senza appendici, testimoni, collaboratori, cortigiani: chiamateli come volete.  Questa, francamente, non mi pare una circostanza da poco. Anzi, mi sembra -per le abitudini pregresse di entrambi e dei loro seguiti- la novità più significativa: più dello stesso luogo dell’incontro, che ha consentito ad una che deve averlo conosciuto bene come Flavia Perina, essendo stata la direttrice del Secolo d’Italia al piano terra dello stesso edificio, di rappresentarlo oggi, da inviata della Stampa, come “La Canossa del Caimano”. Cioè di Berlusconi.

Stefano Rolli sul Secolo XIX
Titolo della Stampa

Una Canossa -consentitemi anche questo- dove Stefano Rolli nella vignetta del Secolo XIX ha immaginato il Caimano, appunto,  costretto dalla Meloni a rimangiarsi su una lavagna tutti i giudizi contro di lei elencati su quel foglio ripreso dai fotografi sul banco del Cavaliere al Senato. Dove, a leggere sempre la Stampa di oggi, Berlusconi avrebbe detto alla Meloni di avere riportato solo le opinioni raccolte tra i senatori forzisti su di lei, anche se -in verità- ad averla appena incontrata in un ufficio di Montecitorio era stato lui, uscendone alquanto deluso dell’attenzione prestata alle sue richieste, preoccupazioni, osservazioni e quant’altro sulla formazione del nuovo governo. Ma ormai è acqua passata, come quella fatta scorrere da quel birichino di Gianfranco Miccichè sino all’ultimo momento sognando non più di un appoggio esterno di Forza Italia al governo. 

Titolo di Repubblica
Titolo del Foglio

Ora, se la tregua, piuttosto che la pace, raggiunta o concordata fra Berlusconi e la Meloni  in quello che Il Foglio ha chiamato “il passaggio di testimone”, sarà “armata” come nel titolo di Repubblica o no, “in attesa del prossimo scontro” secondo anche Domani, il giornale di Carlo De Benedetti, potranno essere solo i fatti a dirlo. Basta aspettare. Non credo, però, già prima dell’ormai vicino conferimento dell’incarico di presidente del Consiglio alla Meloni da parte del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Che credo sia stato il primo a tirare un respiro di sollievo apprendendo che, tra le cose concordate fra i due in via della Scrofa, c’è la comune partecipazione di tutto il centrodestra  alle consultazioni al Quirinale. Dove incontri separati avrebbero forse dovuto costringere il capo dello Stato ad approfondire, diciamo così, la reale disponibilità del Cavaliere ad assecondare la formazione del primo governo a guida femminile nella storia d’Italia. 

Titolo del Riformista

Nella varietà delle opinioni, valutazioni e simili dell’incontro che ha sbloccato una situazione giunta sull’orlo di un paradossale precipizio, pur dopo una vittoria elettorale delle dimensioni di quella ottenuta dal centrodestra nelle elezioni del 25 settembre, si è distinto a suo modo il Riformista di Piero Sansonetti allungando l’ombra di un “ricatto”. Cioè attribuendo la presunta resa di Berlusconi  alle “minacce di Meloni”. Che, a dire la verità, si era piuttosto sentita minacciate lei dal Cavaliere, reagendo alle critiche contenute su quel foglio galeotto fotografato al Senato la sua non ricattabilità. 

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it  

Berlusconi a sorpresa atteso dalla Meloni in via della Scrofa

Fotomontaggio del Fatto Quotidiano
Titolo di Repubblica

Silvio Berlusconi quindi – anche a costo di procurarsi l’annuncio di Repubblica che “Forza Italia si piega a Meloni”, o un fotomontaggio del Fatto Quotidiano in cui egli appare giù di morale, piegato forse dalle preoccupazioni di familiari veri o adottati come i figli Pier Slvio e Marina e gli amici Gianni Letta e Fedele Confalonieri- ha preso lui stesso l’iniziativa di riprendere contatto con la giovane leader della destra italiana. Nei cui uffici di partito a Roma, gli stessi che furono di Giorgio Almirante e di Gianfranco Fini tra prima Repubblica e successive presunte edizioni, l’ex presidente del Consiglio è atteso in giornata.  Immagino con quale soddisfazione per il presidente del Senato Ignazio La Russa, eletto al primo colpo giovedì scorso, in apertura della diciannovesima legislatura, senza l’appoggio di Forza Italia. ma col soccorso di una ventina di “franchi tiratori” delle opposizioni. 

Lorenzo Fontana, il novo presidente della Camera

Una quindicina di voti sono mancati a scrutinio segreto il giorno dopo anche nell’elezione del leghista Lorenzo Fontana alla presidenza della Camera, dove però il centrodestra ha margini di maggioranza superiori, per cui è risultato ugualmente autosufficiente per una soluzione al vertice di Montecitorio considerata “incendiaria” dal segretario del Pd Enrico Letta per le posizioni, diciamo così, integraliste dell’esponente del Carroccio spinto personalmente da Matteo Salvini. E sbertucciato in questi giorni per l’abitudine di definirsi sui moduli di Montecitorio “inpiegato”, con la n.  

A favorire una lettura sostanzialmente autocritica dell’iniziativa assunta o comunque attribuita a Berlusconi con l’annuncio del suo incontro odierno a casa, praticamente, di Giorgia Meloni ha contribuito la senatrice forzista Licia Ronzulli negando di essere mai stata un problema -come apparso invece su tutti i giornali- nei rapporti fra Forza Italia e la Meloni. Che non è apparsa proprio entusiasta di una incisiva partecipazione della Ronzulli al nuovo governo, per quanto sostenuta da Berlusconi in persona.

Gianfranco Miccichè alla Stampa

Tra i forzisti, a questo punto, sembra che sia rimasto solo il presidente uscente dell’assemblea regionale siciliano, e senatore appena eletto, Gianfranco Miccichè a diffidare, a dir poco, di Giorgia Meloni e dell’ultima edizione del centrodestra uscita dalle urne del 25 settembre. “Non bisogna andare a pietire per delle poltrone”, egli ha dichiarato alla Stampa riconoscendo tuttavia che “noi abbiamo firmato un contratto e sarebbe sbagliato ora fare un’altra cosa”. 

“Un modo per uscirne ci sarebbe”, ha osservato Miccichè: “diamo l’appoggio esterno al governo”. “A questo punto -ha aggiunto l’esponente forzista parlando della Meloni- si scelga lei questi scienziati di ministri”, fra i quali stenta a trovarne nel partito di Berlusconi di riconosciuti tali anche dall’ex presidente del Consiglio. 

Titolo del Giornale

Alla domanda se finirà così davvero, come del resto qualcuno si era già avventurato ad attribuire ai progetti del Cavaliere prospettando addirittura una partecipazione separata alle consultazioni al Quirinale, Miccichè ha risposto: “Non lo so. Ho visto il presidente così amareggiato che non so come andrà a finire questa vicenda. Lui ha mille risorse e anche stavolta magari farà il miracolo e si troverà una soluzione, che al momento non riesco a vedere”.  Eppure il governo -avverte un titolo del Giornale di famiglia di Berlusconi ancora fresco di stampa- va fatto “in fretta”. 

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Berlusconi attende un “segnale” dalla Meloni, che però ne aspetta le scuse

Titolo del Giornale
Titolo di Repubblica

Mentre a Repubblica si godono lo spettacolo della “Destra nelle sabbie mobili” dei rapporti fra Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni, al Giornale di famiglia dello stesso Berlusconi si sono concessi una “pausa di riflessine” aspettando con  Forza Italia, come dice un titolo di modesta apertura, “un segnale da Fdi”, che è il partito appunto della Meloni. Un segnale, si deve ritenere, di disponibilità, nella trattativa per la formazione del nuovo governo, ad un “comportamento” meno arrogante, prepotente e altro ancora di quello avvertito dall’ex presidente del Consiglio in un “pizzino”, come lo hanno chiamato gli avversari, da lui stesso esposto nel suo banco di Palazzo Madama ai fotografi che naturalmente  dalle tribune non se lo sono lasciato scappare. E ciò mentre i forzisti cercavano inutilmente di boicottare l’elezione di Ignazio La Russa a presidente, avvenuta con una ventina di voti giunti dalle opposizioni. 

Titolo della Stampa

Ma Giorgia Meloni, dichiaratamente orgogliosa di non essere “ricattabile” da Berlusconi o da altri, e comunque ben viva e operativa, non come quella mosca schiacciata recentemente dall’ex presidente del Consiglio in diretta, mentre parlava davanti ad una telecamera, non risulta tentata, almeno al momento, da qualche iniziativa di chiarimento, riappacificazione e simili. Anzi, alla Stampa risulta che, ancora offesa da quei giudizi esposti come “pizzini”, la leader della destra voglia “le scuse di Silvio”. Ma scuse vere, non finte come quelle che, per esempio, vengono espresse in qualche intervista in risposta a domande più o meno di comodo. Meno intransigente è tuttavia la Meloni descritta dal Corriere della Sera.

Alessandro Sallusti su Libero

La situazione deve essere apparsa abbastanza compromessa anche ad un amico e sostenitore di Berlusconi come il direttore di Libero Alessandro Sallusti. Che ha scritto nel suo editoriale: “Se qualcuno, soprattutto delle parti di Forza Italia, pensa che viceversa sia meglio la strada del “crepi Sansone con tutti i filistei”, bè si accomodi pure ma sappia che sarà davvero l’ultimo atto di una storia politica che non meriterebbe di finire così tristemente”. 

Licia Ronzulli
Titolo del Fatto Quotidiano

Lo scenario del “crepi Sansone con tutti i filistei” è quello immaginato, auspicato, coltivato sul Fatto Quotidiano di un Berlusconi talmente deciso a vendicare una Licia Ronzulli  contrastata dalla Meloni come ministra di un certo peso da salire al Quirinale “da solo” per le consultazioni e indicare al Capo dello Stato “un altro nome” come presidente del Consiglio. Sarebbe lo scenario immaginato anche dal manifesto con quel titolo di copertina “Coltelli d’Italia”. 

Titolo del manifesto

Fratelli coltelli, del resto, non è solo uno sfortunato film comico del 1997. E’ anche, o soprattutto, la rappresentazione abbastanza frequente di una realtà sociale e politica contro la quale sentirono di scommettere a suo tempo Giorgia Meloni, Ignazio La Russa, Guido Crosetto non immaginando -credo- neppure loro dove avrebbero potuto arrivare insieme come “fratelli d’Italia”, prima di provare i coltelli degli alleati di centrodestra. 

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Peggiore di un incidente lo scontro di Silvio Berlusconi con Giorgia Meloni

Più ancora di quel foglio scritto a mano da Silvio Berlusconi con pesanti giudizi, a dir poco, su Giorgia Meloni, pur definita qualche giorno prima in una intervista al Giornale di famiglia “determinata” e “lucida” abbastanza per guidare il governo, colpisce la serie di foto scattate la mattina del 13 ottobre sulla postazione del Cavaliere al Senato. Dove l’ex presidente del Consiglio sottopone quel foglio alla vista di Licia Ronzulli distratta in quel momento da una conversazione con la vicina di banco. Ma poi ripresa a leggere l’appunto di Berlusconi seguendone il dito indicatore dei vari passaggi in cui la candidata a Palazzo Chigi viene definita arrogante, prepotente e via via insultando.

Titolo di Libero

Più si guardano quelle immagini, scattate da un fotografo di Repubblica immagino quanto orgoglioso della sua giornata di lavoro nelle tribune affacciate sull’aula di Palazzo Madama nel primo giorno della nuova legislatura, e più riesce francamente difficile condividere l’accusa di furto lanciata da Libero in difesa del Cavaliere. Che non può essere scambiato, con l’esperienza che ha in materia di comunicazioni, per uno sprovveduto incapace di valutare la esposizione sua e dei suoi documenti ad una postazione fotografica. Altro che “rubate”, quelle immagini sembrano esibite.

Berlusconi e La Russa

Trovo inoltre singolare, a dir poco, che di questa vicenda abbia voluto parlare con i giornalisti il presidente del Senato in persona, Ignazio La Russa. Che, anziché disporre accertamenti forse dovuti sulla regolarità di quelle riprese, chiamiamole così, ha praticamente sfidato Berlusconi a smentire l’autenticità di quel documento così poco amichevole verso la leader della destra italiana. Che, dal canto suo, ha rivendicato il diritto di essere quanto meno riconosciuta come “non ricattabile” dal suo censore.

Massimo Gramellini sul Corriere della Sera

Si era capito già da tempo, in campagna elettorale, che Berlusconi avrebbe avuto qualche problema a considerarsi a proprio agio in un centrodestra guidato con tanta nettezza dalla “signora Meloni”, come la chiamava. Ma francamente non si poteva immaginare che l’insofferenza, a dir poco, avrebbe potuto raggiungere il livello raggiunto in questi giorni. E che ha fatto appena scrivere a Massimo Gramellini di Silvio Berlusconi sulla prima pagina del Corriere della Sera: “Di un uomo non disposto a obbedirgli avrebbe detto che era ingrato, frustato, fallito: quello che disse di Fini, in fondo. Ma se una donna osa contraddirlo, significa che è supponente e arrogante. In realtà Meloni è la sua Nemesi: la dea greca del contrappasso, arrivata apposta per lui dall’Olimpo della Garbatella”. 

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Troppo piccolo Matteo Renzi per potersi intestare l’operazione La Russa

Titolo del Dubbio

 Il guaio di Matteo Renzi, nell’affaraccio del Senato, dove una ventina di esponenti delle varie opposizioni hanno aiutato Ignazio La Russa nell’elezione a presidente osteggiata da forzisti, è forse quello di non potersi aggiudicare tutto il merito dell’operazione. I parlamentari di cui egli dispone con Carlo Calenda a Palazzo Madama sono soltanto nove. Se ne avesse avuti abbastanza per intestarsi da solo il colpaccio se ne sarebbe forse vantato, adducendo magari come motivo -che non sarebbe poi stato peregrino- la disponibilità annunciata già in campagna elettorale, pur nell’ambito di un’opposizione al centrodestra, a contribuire alla “riscrittura delle regole”, come lui la chiama. E che forse è stato anche l’oggetto di un colloquio avuto proprio con La Russa nei giorni scorsi.

Nella impossibilità aritmetica di attribuirsi tutta la paternità dell’operazione, Renzi si è toscanamente divertito, dietro la facciata della solita, spavalda smentita d’ufficio, gonfiando il petto e strabuzzando gli occhi, a fare sospettare di complicità con lui  la maggior parte possibile di persone o forze politiche. 

Dario Franceschini

Così il ministro ancora per qualche giorno Dario Franceschini, decisosi ad approdare al Senato dopo avere a lungo inseguito nella sua esperienza politica la presidenza della Camera, si è visto assegnare dal suo ex collega di partito, peraltro, la “intelligenza” adatta a movimentare l’avvio della diciannovesima legislatura nell’aula di Palazzo Madama. D’altronde, nel Pd la situazione è talmente fluida, a dir poco, che tutto è possibile immaginare e attribuire. 

Maria Teresa Meli ieri sul Corriere della Sera

Anche la parte dell’opposizione dalla quale si è levata per prima, alta e forte, cioè quella pentastellata, la protesta contro il soccorso fornito al nuovo presidente del Senato, non può considerarsi per ciò stesso esente da sospetti. La brava Maria Teresa Meli sul Corriere della Sera ha riferito, per esempio, di “un gruppo di senatori grillini”  sorpresi  in “un brindisi a base di spriz” dopo l’elezione di La Russa a dispetto di un Berlusconi fuori dalla grazia di Dio, ma curiosamente accorso a votare chissà come all’ultimo momento, dopo avere fatto astenere i suoi. Uno spettacolo francamente surreale di fronte al quale forse l’unica cosa seria da fare è  disconnettersi. 

Pier Luigi Bersani

D’altronde, il povero Pier Luigi Bersani, a distanza di nove anni dall’accaduto, quando le Camere non erano state ancora ridotte ai seicento parlamentari elettivi di oggi, non   conosce l’identità di quei cento e più compagni o amici di partito che impedirono l’elezione al Quirinale prima di Franco Marini e poi di Romano Prodi. Lui, già ammaccato come presidente del Consiglio incaricato sulla strada di un governo “di minoranza e di combattimento” basato sulla benevolenza di Beppe Grillo, dovette dimettersi da segretario. E già allora, pensate un pò, qualcuno avvertì lo zampino di Matteo Renzi, che pure non era parlamentare. Si allenava come esterno, da sindaco di Firenze, al ruolo di rottamatore. 

Pubblicato sul Dubbio

La falsa partenza del centrodestra riconosciuta anche da Berlusconi

Mattia Feltri sulla Stampa
Alessandro Sallusti su Libero

E’ una parola far capire a Silvio Berlusconi, come ha scritto su Libero Alessandro Sallusti, che “deve farsi una ragione del fatto che in questo momento della vita non ha i numeri per comandare in politica come è abituato a fare da sempre”. Ma è una parola anche far capire a Giorgia Meloni, ormai lanciata verso Palazzo Chigi, che “deve tenere conto, nei modi e nella sostanza, che non si trova di fronte a un leader qualunque ma a un uomo che ha scritto pagine importanti nella storia di questo paese”, sempre secondo Sallusti. Un uomo, tuttavia, che Mattia Feltri sulla Stampa considera  ormai “abbattuto” dalla destra “in tre minuti”, contro i trent’anni sprecati dalla “vecchia sinistra” cercando di essere lei a farlo fuori. 

Titolo del Giornale

Immagino che di questa specie di necrologio Berlusconi non sia per niente convinto, fermo a considerare quella di ieri al Senato, con l’elezione di Ignazio La Russa a presidente con i voti di una ventina di “franchi tiratori” dell’opposizione, sostituitisi a Forza Italia renitente alla leva, chiamiamola così, soltanto una “falsa partenza”, secondo il titolo del Giornale di famiglia dell’ex presidente del Consiglio. Che giù 24 ore prima aveva avvertito che qualcosa non andava ai nastri, appunto, di partenza raccontando che il Cavaliere era “tornato” al Senato, con tanto di foto e di commozione, ma “il centrodestra quasi”. 

Il voto di Berlusconi al Senato

Di fronte a quanto è accaduto con e per l’elezione di Ignazio La Russa alla seconda carica dello Stato, prontamente ricevuto con i dovuti onori al Quirinale, lo spettacolo più inutile ma al tempo stesso più scontato è quello della caccia ai traditori, cioè a quella ventina di senatori che hanno sterilizzato le assenze polemiche dei forzisti. Una caccia alla quale persino Berlusconi ha in qualche modo partecipato avvelenando anche lui i pozzi: per esempio, decidendo all’ultimo momento di votare, dopo avere disarmato i suoi senatori. 

Titolo del Riformista

Un esperto di queste cose, Pier Luigi Bersani, avendoci rimesso a suo tempo il posto sia di presidente del Consiglio incaricato sia di segretario del Pd per non essere riuscito a fare eleggere nessuno dei suoi candidati al Quirinale alla scadenza del mandato di Giorgio Napolitano, ha riso in televisione di questa caccia ai traditori. E ha consigliato di leggerne bene solo “il segnale” di disponibilità ad aiutare il centrodestra in affanno nel proseguimento di questa diciannovesima legislatura, da mettere in qualche modo in sicurezza come altre si segno politico opposto in passato. Una legislatura che non avrà una luna di miele, ma di fiele, secondo il perfido titolo del Riformista, convinto peraltro che “la grana” non sia Licia Ronzulli, sostenuta nelle sue ambizioni ministeriali da Berlusconi contro le resistenze della Meloni, ma “la strategia politica” del Cavaliere.  

L’infortunio di Berlusconi al Senato: Ignazio La Russa eletto presidente a suo dispetto

Berlusconi al Senato con Licia Ronzulli

Al Senato, in apertura della diciannovesima legislatura, Silvio Berlusconi si è presa, ma al rovescio, tutta la scena. Partito col proposito di far mancare l’elezione di Ignazio La Russa a presidente ordinando, o facendo ordinare, l’astensione dei suoi per fargli mancare i 104 voti necessari, ma riservandosi il diritto personale di derogare all’ordine votando, non si sa bene però come, l’ex presidente del Consiglio si è trovato prigioniero della sua trappola. O del suo “teatrino”, come una volta lui stesso chiamava la politica fatta dagli altri disprezzandola.

Il voto di Ignazio La Russa al Senato

Ignazio La Russa, toltasi peraltro anche la soddisfazione di affrontarlo in un battibecco nell’emiciclo di Palazzo Madama, e di fargli perdere la pazienza sbattendo una penna sul banco, ha ottenuto dall’opposizione i voti mancatigli da Forza Italia. Ha ringraziato, se li è tenuti ben stretti, si è insediato con un discorso, diciamo così, abbondante, o largo, e si è goduto a distanza -come Giorgia Meloni dalla Camera- lo spettacolo delle opposizioni benemerite, elogiate anche dalla candidata a Palazzo Chigi. Opposizioni che si nascondevano dietro l’anonimato dello scrutinio segreto, felici di avere dimostrato senza grande sforzo -va detto- l’insufficienza della maggioranza, sulla carta, di centrodestra uscita dalle urne. Meglio per loro, francamente, non poteva andare, né peggio per il centrodestra e, più in particolare, per Berlusconi all’esordio del mestiere  di “regista”, garante e quant’altro assegnatosi -ricordate?- nel ritorno al Senato dopo nove, lunghi anni di assenza, scortato questa volta in aula da Licia Ronzulli rigorosamente in rosso evidente, diciamo così.

Giorgia Meloni alla Camera con Giancarlo Giorgetti

Ora, senza voler ipotecare nulla più di tanto, e farci anche noi prigionieri di un teatrino, non resta che attendere gli sviluppi della legislatura, il completamento degli organi istituzionali, le consultazioni di rito del paziente presidente della Repubblica, che Ignazio La Russa sostituirà in caso di impedimento, e le trattative -finalmente quelle vere, non finte dei giorni scorsi- per la formazione del nuovo governo: il primo prevedibilmente a guida femminile nella storia d’Italia. Almeno su questo primato la Meloni può ancora contare, oltre che sul probabile ministro dell’Economia: il leghista molto anomalo o particolare Giancarlo Giorgetti, scortato nei suoi movimenti a Montecitorio da una folla di giornalisti, amici e curiosi che una volta davano la misura di una leadership autentica, non solo percepita.

Ripreso da http://www.startmag.it

Cronache semiserie di apertura della nuova legislatura

Alla faccia dell’ottimismo che -chissà perché- Giorgia Meloni ha voluto ostentare andando da Silvio Berlusconi, nella sua villa grande sull’Appia Antica, pensando forse di essere raggiunta lì da Matteo Salvini e di chiudere un accordo nel centrodestra quanto meno per un avvio ordinato della nuova legislatura, con candidature ben difinite e concordate alle presidenze delle Camere finalmente insediate. Ma Salvini naturalmente si sarebbe risparmiata questa fatica.

Il ritorno di Berlusconi al Senato
Vignetta del Foglio

La stessa festa di Berlusconi -diciamo la verità- per il suo ritorno al Senato move anni dopo esserne stato cacciato con l’applicazione retroattiva di una legge che ancora oggi Il Foglio si è giustamente tolto la soddisfazione di denunciare  con una vignetta che vale dieci editoriali, è stata rovinata dalle maledette circostanze non dico della lotta politica ma della rissa, delle beghe più da cortile che da corte. 

La vignetta del Corriere della Sera

Emilio Giannelli sulla prima prima del Corriere della Sera ha affondato la sua matita come un coltello nel burro rappresentando sarcasticamente il Cavaliere nella “registrazione” al Senato, appunto, non come l’ex presidente del Consiglio tornato in qualche modo al suo posto, ma come l’”amico della Ronzulli” perfidamente indicato al funzionario di turno da una signora informata delle ultime cronache politiche. Che hanno assegnato a Berlusconi il ruolo contingente dell’estremo difensore del ruolo e della carriera della senatrice Licia Ronzulli, appunto, non sufficientemente apprezzata -pare- dalla candidata a Palazzo Chigi, ma con un certo contenzioso alle spalle aache in Forza Italia. 

Titolo del Giornale
Fotomontaggio del Fatto Quotidiano

Francamente, è persino inutile o controproducente prendersela col livore abituale di Marco Travaglio e simili, com i suoi fotomontaggi, con le allusioni urticanti e tutto il resto del repertorio antiberlusconiano del Fatto Quotidiano quando lo stesso Berlusconi vi si presta con una gestione a dir poco inappropriata dei suoi rapporti con alleati e amici. O quando lo stesso Giornale di famiglia non ha potuto fare a meno di uscire oggi con questo titolo: “Il Cavaliere è tornato, il centrodestra quasi”  

Sergio Stajno sulla Stampa

Manca solo di doversi riconoscere nel vecchio Sergio Stajno, sulla Stampa, che praticamente si chiede se alla fine la Meloni per fare davvero il suo primo governo, dopo avere vinto a mani basse le elezioni del 25 settembre, non debba chiedere l’aiuto al Pd malmesso di Enrico Letta. 

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

La rottamazione galeotta di tutti quegli scranni a Montecitorio

Titolo del Dubbio

La decisione del presidente uscente della Camera Roberto Fico di fare disattivare 230 postazioni nell’aula di Montecitorio, dove siederanno da domani non più 630 ma 400 deputati, non era scontata. E si presta, volente o nolente, ad una deludente interpretazione, o previsione sui propositi riformistici di quel che è rimasto dei grillini nel nuovo Parlamento: abbastanza per far perdere la testa non dico a Giuseppe Conte quanto a a quelli che, sotto le  5 stelle e dintorni, ne sostengono la virtuale vittoria sul fronte dell’opposizione.

Ha voglia il segretario del Pd Enrico Letta, col suo 19 per cento dei voti contro il 15 dei grillini, di rivendicarne “la guida” con tutti gli aggettivi del caso: intransigente, costruttiva, di piazza e quant’altro. I tifosi di Conte, a cominciare da quelli che affollano lo stesso Pd reclamando una ripresa dei rapporti interrottisi con la fiducia negata al governo di Mario Draghi nel tratto finale della scorsa legislatura, si sono messi in fila per un congresso che si vedrà se più di rifondazione o di liquidazione. Essi avvertono che il rosso dell’avvocato pugliese splenda più di quello sbiadito del Nazareno. Dove peraltro hanno perso anche il senso dell’orientamento fisico, visto che hanno appena lasciato la piazza romana del Popolo, riempita da Maurizio Landini, alla furbesca e tempestiva incursione di Conte, appunto, spintosi sin sotto il palco  per congratularsi con l’oratore e riconoscersi nella sua agenda: altro che quella di Draghi  sulla quale aveva scommesso Enrico Letta  in campagna elettorale prima d’accordo, fra baci e abbracci, e poi in concorrenza col polo, pur non riconosciuto dalla Cassazione, di Carlo Calenda e Matteo Renzi.  Non in piazza, forse ancora troppo accaldata in questo autunno anomalo, ma direttamente alla sede nazionale della Cgil aveva deciso di andare col ponentino il segretario del Pd Enrico Letta nell’anniversario della profanazione compiuta da dimostranti di destra sotto il naso delle forze dell’ordine. 

A pensarci bene, quelle duecentrenta postazioni di Montecitorio disattivate col cacciavite dal personale di servizio, ed esibite in una foto finita un pò su tutti i giornali,  avrebbero potuto essere lasciate come auspicio di un completamento, finalmente, della riforma costituzionale imposta dai grillini agli alleati di turno nella diciottesima legislatura con una drastica riduzione dei seggi parlamentari. Si sarebbe lasciato tutto, o quasi, lo spazio necessario ai duecento senatori elettivi, e i pochi a vita ereditati dal vecchio sistema, per consentire un maggiore ricorso alle sedute congiunte di Camera e Senato, in una ridefinizione dei compiti oggi perfettamente uguali, e ripetitivi, dei due rami del Parlamento. Se n’è parlato e scritto tanto negli anni e mesi passati pensando, per esempio, alle fiducie congiunte dei deputati e dei senatori, dopo tanti governi inciampati sul diverso passo, diciamo così, delle due Camere.  

La festa dei grillini davanti a Montecitorio per la riduzione dei seggi parlamentari

Ma figuriamoci se per la testa degli aspiranti statisti orfani della “centralità” conquistata nella scorsa legislatura con quel 32 e rotti per cento di voti investito in tutte le combinazioni possibili e immaginabili, poteva passare un’idea del genere per dare un senso compiuto ad una riforma pensata solo come una punizione della casta, una sforbiciata all’ingordigia poltronara e allo spreco sistemico. 

Coraggio, onorevoli signori e signore. Ora che le avete disattivate, demolite pure nel prosieguo della diciannovesima legislatura le postazioni superflue di Montecitorio. Dove, del resto, se passasse l’elezione diretta del presidente della Repubblica, come proposto per sommi capi dalla destra uscita vincente dalle urne, deputati, senatori e delegati regionali non avrebbero più motivo di ritrovarsi insieme ogni sette anni, salvo incidenti di percorso, per scegliere il capo dello Stato. 

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