Peggiore di un incidente lo scontro di Silvio Berlusconi con Giorgia Meloni

Più ancora di quel foglio scritto a mano da Silvio Berlusconi con pesanti giudizi, a dir poco, su Giorgia Meloni, pur definita qualche giorno prima in una intervista al Giornale di famiglia “determinata” e “lucida” abbastanza per guidare il governo, colpisce la serie di foto scattate la mattina del 13 ottobre sulla postazione del Cavaliere al Senato. Dove l’ex presidente del Consiglio sottopone quel foglio alla vista di Licia Ronzulli distratta in quel momento da una conversazione con la vicina di banco. Ma poi ripresa a leggere l’appunto di Berlusconi seguendone il dito indicatore dei vari passaggi in cui la candidata a Palazzo Chigi viene definita arrogante, prepotente e via via insultando.

Titolo di Libero

Più si guardano quelle immagini, scattate da un fotografo di Repubblica immagino quanto orgoglioso della sua giornata di lavoro nelle tribune affacciate sull’aula di Palazzo Madama nel primo giorno della nuova legislatura, e più riesce francamente difficile condividere l’accusa di furto lanciata da Libero in difesa del Cavaliere. Che non può essere scambiato, con l’esperienza che ha in materia di comunicazioni, per uno sprovveduto incapace di valutare la esposizione sua e dei suoi documenti ad una postazione fotografica. Altro che “rubate”, quelle immagini sembrano esibite.

Berlusconi e La Russa

Trovo inoltre singolare, a dir poco, che di questa vicenda abbia voluto parlare con i giornalisti il presidente del Senato in persona, Ignazio La Russa. Che, anziché disporre accertamenti forse dovuti sulla regolarità di quelle riprese, chiamiamole così, ha praticamente sfidato Berlusconi a smentire l’autenticità di quel documento così poco amichevole verso la leader della destra italiana. Che, dal canto suo, ha rivendicato il diritto di essere quanto meno riconosciuta come “non ricattabile” dal suo censore.

Massimo Gramellini sul Corriere della Sera

Si era capito già da tempo, in campagna elettorale, che Berlusconi avrebbe avuto qualche problema a considerarsi a proprio agio in un centrodestra guidato con tanta nettezza dalla “signora Meloni”, come la chiamava. Ma francamente non si poteva immaginare che l’insofferenza, a dir poco, avrebbe potuto raggiungere il livello raggiunto in questi giorni. E che ha fatto appena scrivere a Massimo Gramellini di Silvio Berlusconi sulla prima pagina del Corriere della Sera: “Di un uomo non disposto a obbedirgli avrebbe detto che era ingrato, frustato, fallito: quello che disse di Fini, in fondo. Ma se una donna osa contraddirlo, significa che è supponente e arrogante. In realtà Meloni è la sua Nemesi: la dea greca del contrappasso, arrivata apposta per lui dall’Olimpo della Garbatella”. 

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Troppo piccolo Matteo Renzi per potersi intestare l’operazione La Russa

Titolo del Dubbio

 Il guaio di Matteo Renzi, nell’affaraccio del Senato, dove una ventina di esponenti delle varie opposizioni hanno aiutato Ignazio La Russa nell’elezione a presidente osteggiata da forzisti, è forse quello di non potersi aggiudicare tutto il merito dell’operazione. I parlamentari di cui egli dispone con Carlo Calenda a Palazzo Madama sono soltanto nove. Se ne avesse avuti abbastanza per intestarsi da solo il colpaccio se ne sarebbe forse vantato, adducendo magari come motivo -che non sarebbe poi stato peregrino- la disponibilità annunciata già in campagna elettorale, pur nell’ambito di un’opposizione al centrodestra, a contribuire alla “riscrittura delle regole”, come lui la chiama. E che forse è stato anche l’oggetto di un colloquio avuto proprio con La Russa nei giorni scorsi.

Nella impossibilità aritmetica di attribuirsi tutta la paternità dell’operazione, Renzi si è toscanamente divertito, dietro la facciata della solita, spavalda smentita d’ufficio, gonfiando il petto e strabuzzando gli occhi, a fare sospettare di complicità con lui  la maggior parte possibile di persone o forze politiche. 

Dario Franceschini

Così il ministro ancora per qualche giorno Dario Franceschini, decisosi ad approdare al Senato dopo avere a lungo inseguito nella sua esperienza politica la presidenza della Camera, si è visto assegnare dal suo ex collega di partito, peraltro, la “intelligenza” adatta a movimentare l’avvio della diciannovesima legislatura nell’aula di Palazzo Madama. D’altronde, nel Pd la situazione è talmente fluida, a dir poco, che tutto è possibile immaginare e attribuire. 

Maria Teresa Meli ieri sul Corriere della Sera

Anche la parte dell’opposizione dalla quale si è levata per prima, alta e forte, cioè quella pentastellata, la protesta contro il soccorso fornito al nuovo presidente del Senato, non può considerarsi per ciò stesso esente da sospetti. La brava Maria Teresa Meli sul Corriere della Sera ha riferito, per esempio, di “un gruppo di senatori grillini”  sorpresi  in “un brindisi a base di spriz” dopo l’elezione di La Russa a dispetto di un Berlusconi fuori dalla grazia di Dio, ma curiosamente accorso a votare chissà come all’ultimo momento, dopo avere fatto astenere i suoi. Uno spettacolo francamente surreale di fronte al quale forse l’unica cosa seria da fare è  disconnettersi. 

Pier Luigi Bersani

D’altronde, il povero Pier Luigi Bersani, a distanza di nove anni dall’accaduto, quando le Camere non erano state ancora ridotte ai seicento parlamentari elettivi di oggi, non   conosce l’identità di quei cento e più compagni o amici di partito che impedirono l’elezione al Quirinale prima di Franco Marini e poi di Romano Prodi. Lui, già ammaccato come presidente del Consiglio incaricato sulla strada di un governo “di minoranza e di combattimento” basato sulla benevolenza di Beppe Grillo, dovette dimettersi da segretario. E già allora, pensate un pò, qualcuno avvertì lo zampino di Matteo Renzi, che pure non era parlamentare. Si allenava come esterno, da sindaco di Firenze, al ruolo di rottamatore. 

Pubblicato sul Dubbio

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