
A vedere e sentire un bel po’ di parlamentari grillini alle prese con microfoni e telecamere in questi giorni di grande tensione sotto le cinque stelle, Luigi Di Maio avrebbe infangato il MoVimento presieduto da Giuseppe Conte attribuendogli dalla postazione addirittura di ministro degli Esteri un “disallineamento” dalla Nato e dall’Unione Europea. Questo sarebbe in effetti il tentativo di bloccare gli aiuti militari all’Ucraina aggredita e invasa dai russi. O di condizionare altri aiuti ad apposite autorizzazioni del Parlamento, non valendo più la sostanziale carta bianca ottenuto dalle Camere dal governo per tutto l’anno in corso all’inizio del conflitto.
Proprio come denigratore il titolare della Farnesina si sarebbe meritato già l’avvio della procedura di espulsione se Conte, non si sa se di sua spontanea volontà o su consiglio di Beppe Grillo nella doppia veste di garante e di consulente per l’immagine del movimento e la comunicazione, non avesse un pò frenato sulla strada della rottura.
Di Maio, accusato peraltro di avere diffuso o fatto diffondere le bozze di un documento riservato di senatori pentastellati decisi a presentarlo comunque a Palazzo Madama, per cautelarsi da testi non sufficientemente chiari contro altre armi all’Ucraina concordati dai capigruppo della maggioranza in vista delle comunicazioni del presidente del Consiglio e del voto conclusivo del dibattito, ha trovato il trattamento riservatogli da critici ed avversari interni un arretramento del movimento verso derive di “odio”. Egli ha dovuto parlare fuori dai denti, e spifferare anche cose sgradite, non esistendo ormai una democrazia dalle sue parti.

Non ci crederete, ma una mano nella sua difesa il ministro degli Esteri l’ha avuta a sorpresa dall’insospettabile Marco Travaglio, che pure gli aveva cambiato il cognome -come nelle sue abitudini di polemista- chiamandolo nel titolo di un editoriale “Di Mario”. Cioè, una prolunga, un affiliato e simili di Mario Draghi, l’odiato presidente del Consiglio di cui il direttore del Fatto Quotidiano contesta da qualche tempo anche le competenze economiche e finanziarie riconosciutegli all’inizio della sua esperienza a Palazzo Chigi. O all’atto del famoso “Conticidio” per mano addirittura del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Un Conticidio che griderebbe ancora vendetta dopo tutti i servizi resi all’Italia dall’ex presidente del Consiglio durante la pandemia, quando si rivelò -non sto esagerando- “il migliore capo del governo” capitatoci forse nell’intera storia unitaria del Paese, persino rispetto all’altro conte Camillo Benso di Cavour.
Come capita anche ai polemisti più agguerriti, cedendo a un momento di distrazione a Travaglio è sfuggito ieri di dire, anzi gridare ad alta voce la verità opposta a quella d’ufficio di un Di Maio cinico e baro. Che pur di fregarlo si inventa un Conte smanioso di mettere nel classico angolo il suo successore, magari costringendolo alle dimissioni e alla formazione di un altro governo al quale opporsi in modo ancora più evidente e forse promettente sul piano elettorale, anche se gli analisti stentano un pò tutti a immaginare un MoVimento 5 Stelle a due cifre nelle prossime elezioni politiche.

Con un titolo di prima pagina che ormai non può più né modificare né interpretare chissà in quale modo fantasioso perché dannatamente “scripta manent”, come si diceva in latino, Il Fatto Quotidiano ha rappresentato quello in programma fra oggi al Senato e domani alla Camera come uno “scontro Draghi-Conte” sulle armi. Di Maio è solo un personaggio di seconda fila, “sempre più solo” sotto le cinque stelle, “per ora” risparmiato alla pratica dell’espulsione.
Beh, una volta tanto si può pure ringraziare Travaglio per il contributo dato -temo involontariamente- alla rappresentazione della realtà. Forse non gliene saranno molto grati lo stesso Conte e il laboriosissimo portavoce Rocco Casalino.
Pubblicato sul Dubbio
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