L’inferno di fine legislatura prodotto dai risultati delle elezioni amministrative

Titolo di Repubblica
Titolo del Fatto Quotidiano

Rimosso con un fantomatico carro attrezzi della Protezione Civile il carro funebre del referendum, immaginando i cinque sui temi della giustizia accomunati a torto o a  ragione in una sola cassa, del turno elettorale di domenica 12 giugno ci rimangono i risultati dei partiti misuratisi nel rinnovo delle amministrazioni comunali. Per una volta possiamo fidarci anche dei fotomontaggi e dei titoli del Fatto Quotidiano, uguale -pensate un pò- alla sintesi di Repubblica, che accomuna nella sconfitta, come dato essenziale o finale di almeno il primo turno del voto comunale, Matteo Salvini nel centrodestra e Giuseppe Conte nel centrosinistra. O “campo largo”, come preferisce ancora chiamarlo il segretario del Pd Enrico Letta con antica astuzia democristiana, cioè segretamente confortato dalle perdite che subisce il troppo ingombrante alleato. 

Titolo del manifesto

“Spopolati”, ha definito Salvini e Conte con la solita efficacia verbale il manifesto. Dove debbono avere riso di cuore scrivendone, diversamente dal Fatto Quotidiano, dove Conte, pur ridotto così male per dolorosa ammissione, viene ancora considerato il meglio che sia rimasto del MoVimento 5 Stelle, cui il giornale di Travaglio ha cercato di fare da scuola, pur non nascondendo le troppe delusioni via via riservategli da Beppe Grillo in persona.che ora nella “sua” Genova si deve accontentare di meno del 5 per cento dei voti, dal 30 e più degli anni migliori. E’ un pò come il 6 per cento della Lega rimasto a Salvini nel Veneto.

Conte, quindi, questo “avvocato del popolo” già iscritto all’anagrafe degli uccisi da Travaglio l’anno scorso, alla fine pasticciata e ritardata del suo secondo governo; questo emulo del conte Camillo Benso di Cavour, ora appeso anche al giudizio di una sezione civile del tribunale di Napoli per liti un pò da condominio partitico, entra sfiancato nella fase conclusiva di questa legislatura, come il suo ex e ritrovato alleato Salvini. Che pure nel 2019 egli aveva ritenuto di avere liquidato per sempre dalla sua strada processandolo in diretta nell’aula del Senato come un incontinente della prepotenza, alla ricerca dei “pieni poteri” in un turno anticipato di elezioni politiche che Matteo Renzi, ancora per pochi giorni nel Pd, riuscì a sventare buttando via tutti i pop corn che gli erano rimasti godendosi dall’opposizione lo spettacolo del governo gialloverde. 

Titolo di Libero

Per Mario Draghi la fine della legislatura è “una grana”, come giustamente osserva Libero sottolineando la “incontrollabililità” dei “grillini agonizzanti”. Ma è ancor più una grana proprio per Conte, specie se dovesse cedere al consiglio appena formulatogli  televisivamente dal suo estimatore Travaglio di portar via il partito dal governo prima delle elezioni. Come nel centrodestra Giorgia Meloni, ormai prevalente su tutti gli alleati nei sondaggi e anche nelle urne, suggerisce a Salvini e a Berlusconi.  

A proposito delle grane di Draghi, che è chiamato in questi giorni con un bel pò di viaggi ad affrontare quelle di natura internazionale, le più pericolose anche per i riflessi sulla situazione economica del Paese, può sembrare paradossale -e un pò lo è davvero- l’aiuto giuntogli su questo terreno dai risultati elettorali di domenica. Essi hanno infatti penalizzato i due partiti che nella maggioranza gli hanno procurato i maggiori problemi di politica estera, con particolare riferimento alla prima emergenza del momento che è la guerra in Ucraina. Sono i partiti appunto di Salvini e di Conte.

Titolo della Stampa

Per fortuna -lasciatemolo dire pur con tutto il rispetto dovuto ad una figura come quella del Pontefice di Santa Romana Chiesa-  le urne si sono richiuse in tempo prima che Papa Francesco si lasciasse andare a quel soccorso -pure lui- a Putin, e in fondo a quel “chierichetto” del Cremlino giù indicato nel Patriarca di Mosca Cirillo, tornando a lamentare “le provocazioni” della Nato alla Russia. 

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Il referendicidio compiuto alla luce del sole, e nell’indifferenza generale

Titolo di domenica su Domani
Titolo di ieri su Repubblica

Magari si potesse liquidare il naufragio dei referendum sulla giustizia nell’astensionismo, per la mancata affluenza alle urne della metà più uno degli elettori aventi diritto al voto come frutto inevitabile del “cinismo” e dei “pasticci” della Lega.Lo hanno fatto anche il nuovo e il vecchio giornale di Carlo De Benedetti: Domani prevedendo di domenica il risultato e Repubblica commentandolo lunedì. 

La Lega, in effetti, sin dal primo momento era apparsa una curiosa alleata dei radicali di consolidata tradizione garantista – tradita solo nella campagna del 1978 contro Giovanni Leone al Quirinale- nella promozione dei quesiti abrogativi e nella raccolta delle firme. Alle quali peraltro, quasi per diminuirne l’importanza o per timore che non potessero risultare valide abbastanza, i leghisti preferirono l’anno scorso, per il deposito alla Cassazione, le richieste abrogative formulate dalle regioni governate da un centrodestra neppure compatto nel contestare le norme e leggi prese di mira dall’iniziativa referendaria. 

La destra di Gorgia Meloni, che peraltro contende ormai la guida della coalizione alla Lega in retrocessione, non se l’è notoriamente sentita di contestare anche la  cosiddetta legge Severino, pur costata il seggio del Senato al Cavaliere nel 2013 per la condanna definitiva ma contestata per frode fiscale, e le norme sulla “custodia cautelare”, cioè sulle manette, nella fase delle indagini preliminari. 

Magari, dicevo, potessimo liquidare il naufragio referendario attribuendone la colpa al Carroccio e a Salvini in persona -aggiungo- per le troppe cause disinvoltamente sostenute negli ultimi mesi, fra cui il velleitario e confuso progetto di viaggio a Mosca, con tanto di assistenza anche economica dell’ambasciata russa a Roma, per sorpassare di fatto il governo Draghi nei contatti con Putin. Dal quale è incontrovertibilmente partita la guerra di aggressione all’Ucraina secondo valutazioni condivise in Parlamento anche dalla Lega e servite per partecipare agli aiuti militari occidentali a Kiev. 

I referendum sulla giustizia non c’entrano, d’accordo, col pacifismo avvertito e cavalcato da Salvini, ma -ripeto- qualche ricaduta su di essi non può essere esclusa per la ridotta credibilità di un leader che si stenta francamente a inseguire all’interno del suo stesso partito, tanto fitte sono le sue agende, a dir poco. 

Dalla prima pagina del Dubbio

La verità è che -per fortuna della magistratura più politicizzata interessata a proteggere le sue abitudini di lavoro e le sue prerogative anche dall’abrogazione popolare delle norme che le tutelano- i referendum sono stati ormai uccisi in via generale dall’astensionismo. Si è consumato domenica un referendicidio, ormai. Se lo metta in testa anche Matteo Renzi, che pensa di praticare questa strada anche contro il reddito di cittadinanza, visto l’uso che se n’è fatto. 

Da pagina 4 del Dubbio

Quella metà più uno degli elettori partecipanti al voto come condizione di validità del risultato di una prova referendaria abrogativa era logica, naturale più di 70 anni fa, quando fu messa nella Costituzione e l’affluenza alle urne nelle elezioni di ogni tipo, dopo più di vent’anni di dittatura, e nelle condizioni persino emotive di mobilitazione   popolare nel primo dopoguerra, era generalmente di oltre l’80 per cento, e persino 90. Oggi per demerito della politica, ma anche per una lunga, naturale evoluzione dei costumi, laica potremmo dire se della stessa politica si avesse una concezione quasi religiosa, quelle percentuali sono semplicemente da sogno. E così pure il quorum dei referendum abrogativi, di cui non a caso si è progettata -senza riuscire, come al solito, a realizzarla- una modifica costituzionale per rapportarlo alla media di affluenza alle urne delle ultime tornate elettorali politiche.

Sino a quando non si farà un cambiamento del genere, sarà semplicemente inutile puntare sui referendum abrogativi, nonostante i grandi servizi resi da essi nella causa del divorzio, nel 1974, o nello stesso campo della giustizia nel 1987, con un risultato sulla responsabilità civile dei magistrati scandalosamente tradito in pochi mesi dalle Camere con una nuova legge. Bisognerà puntare solo sulla capacità riformatrice del Parlamento. Ma al solo pensarci mi viene l’orticaria, nella confusione politica che temo cominci a far paura anche a uno della solidità di nervi come Mario Draghi. 

Pubblicato sul Dubbio

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