Complimenti al Papa e a Fazio. Crepi pure la solita invidia…

Va bene che già Erodoto ammoniva che l’invidia è innata nell’uomo, per cui esortava praticamente i bravi, i fortunati eccetera eccetera a rassegnarvisi, ma bisogna pur cercare di praticare questo vizio con una certa decenza. Che mi sembra mancata a parecchi colleghi e simili che si sono occupati dell’intervista concessa da Papa Francesco nientemeno che a Fabio Fazio, e a Rai 3: circostanze entrambe che hanno colorito ancora più di rosso il Pontefice agli occhi di chi già lo trovava troppo di sinistra e non gliene lasciava passare una. 

Il trattamento più cortese, pur in un sottofondo critico, è stato riservato a Papa Francesco da Libero con quel titolo su Fazio che cerca di “arruolarlo” e viene “perdonato”. 

Titolo di Libero

Ma, caspita. A 83 anni suonati, dei quali più di sessanta trascorsi tra redazioni di giornali e dintorni, mi e vi chiedo, cari colleghi, veri o presunti che siate, perché vi costa tanto riconoscere ogni tanto che qualcuno è riuscito a fare di più e di meglio di noi, o di voi? 

Non sarò mai grato abbastanza a Fazio, come collega e come telespettatore, per avere strappato a Papa Francesco quella delizia umana dell’aspirazione, da bambino, a fare il macellaio vedendo quello della nonna imbottito, o quasi, di soldi nel suo quasi marsupio mentre tagliava la carne e serviva i clienti. 

La guerra fredda, anzi calda, caldissima, stellare dei grillini…

Luigi Di Maio con l’ambasciatrice Elisabetta Belloni

C’è un certo spreco di aggettivi per definire la guerra in corso sotto le cinque stelle fra Luigi Di Maio e Giuseppe Conte, in ordine cronologico di attacchi, sulla gestione della corsa al Quirinale. Che si è conclusa col ripiegamento di Conte sulla conferma del presidente Sergio Mattarella dopo avere tentato rovinosamente di lanciare la candidatura dell’ambasciatrice Elisabetta Belloni, responsabile dei servizi segreti e già segretaria generale della Farnesina. Dove Di Maio, ministro degli Esteri, ha voluto incontrarla con tanto di foto per esprimerle solidarietà e quant’altro.

Intervista di oggi alla Stampa
Titolo del Secolo XIX

Conte, il cui obiettivo prevalente era quello di impedire l’elezione di Mario Draghi sostenendone -diversamente da Di Maio- la insostituibilità a Palazzo Chigi, ritiene di avere giocato bene la sua partita. Per cui ha reagito al difetto di guida contestatogli dall’ormai rivale interno minacciando una  sostanziale resa dei conti. Alla quale l’altro, accettando la sfida, ha risposto dimettendosi dalla presidenza e dallo stesso comitato di garanzia per essere più libero di battersi. Un gesto “dovuto”, ha commentato Conte rilanciando a sua volta e rilasciando poi un’intervista alla Stampa e al Secolo XIX  per  avvertire lo sfidante che “nessuno è indispensabile” al MoVimento. Dove come capo non si lascerà “logorare”, magari in attesa di un risultato negativo delle elezioni amministrative di primavera. Che Di Maio è sospettato di aspettare per scalzarlo in tempo prima delle elezioni politiche dell’anno prossimo e della conseguente confezione delle liste dei candidati alle nuove Camere. Da cui dipenderà il controllo dei prossimi, per quanto assai ridotti gruppi parlamentari sia per il calo progressivo dei voti pentastellati nelle prove di vari livelli e nei sondaggi, sia per la forte riduzione dei seggi voluta dallo stesso MoVimento e consentito dagli alleati che si sono alternati al governo con esso in questa legislatura. 

Dal blog di Beppe Grillo

Beppe Grillo, il garante in assoluto del MoVimento per esserne il  fondatore superstite dopo la morte di Gianroberto Casaleggio, prima si è esposto a favore di Conte già durante la partita del Quirinale sostenendo la pur anomala candidatura della responsabile dei servizi segreti, senza precedenti nei paesi occidentali o liberi, almeno quelli con l’elezione parlamentare e non diretta del capo dello Stato, e ammonendo sul suo blog, con un travestimento mistico, che  “senza una unica voce restano solo voci di vanità che si (e ci) dissolvono nel nulla”. Ma poi si è messo alla finestra, da dove ha emesso un lungo post programmatico, sottraendo un pò a Conte il suo ruolo, per accelerare il passaggio del MoVimento “dagli ardori giovanili alla maturità”.

Foto “fraterna” d’archivio, molto d’archivio, di Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista

E’ una guerra “fredda”, ha scritto e titolato qualche giornale. No, “calda”, ha scritto qualche altro. No, caldissima, rovente, “stellare”, coerentemente col nome del MoVimento, ha titolato il quotidiano quasi di casa diretto da Marco Travaglio. A me semplicemente e modestamente sembra una guerra soprattutto fratricida considerando l’apporto che sta dando dall’esterno il “disiscritto” Alessandro Di Battista strizzando l’occhio, quanto meno, a Conte pur ancora troppo timido, secondo lui,  nell’azione di contenimento o contrasto a Draghi. Fratricida, ripeto, ricordando i tempi in cui Di Maio e Di Battista viaggiavano insieme come “fratelli”, appunto, o per denunciare i costi troppo alti dell’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea, con i suoi lussuosi palazzi, o per solidarizzare con i rivoltosi in giallo che mettevano a soqquadro Parigi e, più in generale, la Francia. 

Eppure la Repubblica, quella di carta, ha disegnato “la galassia” delle 5 Stelle come si faceva con la Dc e le sue correnti, con tanto di presenza dei soliti “pontieri”. Che poi decidevano il più delle volte l’esito delle partite. Magari fossimo a quei tempi…

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Si torna da Sanremo alla normalità delle batterie dei partiti…

Il festival di Sanremo
Titolo del Corriere della Sera

Terminata finalmente la distrazione di Sanremo, al cui  lungo festival canoro se non riesci neppure ad affacciarti con qualche invito, citazione, applauso a distanza non sei veramente nessuno; confortati dall’annuncio o dalla promessa militare e civile, rispettivamente del generale Figliuolo e dello scienziato Locatelli, di un ritorno o avvicinamento alla “normalità” dopo l’ennesima ondata di Covid, torniamo più o meno rassegnati all’altra normalità costituita dalla crisi politica derivante dalla confusione fra e nei partiti. Una confusione paradossalmente sopravvissuta, o persino aumentata dopo la pur confortante soluzione trovata all’ultimo momento al problema della successione al Quirinale. Dove è notoriamente rimasto per fortuna Sergio Mattarella.

Giorgia Meloni
Matteo Salvini

Basta dare un’occhiata all’ultimo sondaggio elettorale condotto per Repubblica dall’istituto Demos per capire l’entità e le ragioni della crisi fra -ripeto- e nei partiti. Che nei quattro anni di questa legislatura o sono rimasti più o meno fermi o sono dimezzati. Con una sola eccezione, d’accordo: quella di Giorgia Meloni, che con i suoi Fratelli d’Italia è passata dal 4,4 per cento dei voti del 2018 al 20,5 rasentando il pareggio o persino il sorpasso del Pd, a sua volta passato dal 18,7 al 20,8. Ma come “Giorgia”, per stare al nome che l’interessata grida orgogliosamente nelle piazze, voglia ma soprattutto possa investire il suo successo è difficile immaginare: Da sola continua ad avere troppo poco, come tutti gli altri del resto, per governare. Insieme con gli alleati del 2018 e quelli ancora operanti nelle amministrazioni regionali e comunali sembra quanto meno difficile dopo che lei stessa ha annunciato la fine del centrodestra, pur proponendosi di rifondarlo: una fine appena confermata da Matteo Salvini con l’immagine della “neve sciolta al sole”.  Che non è peraltro quello della Lega dello stesso Salvini, partita nel 2018 col 17,4 per cento dei voti, salita l’anno dopo al 34,3 delle elezioni europee e ridiscesa esattamente al 17,4 rilevato in questo mese da Demos, appunto.

Silvio Berlusconi

E a Salvini è andata pure bene nel centrodestra rispetto al partito una volta egemone di Silvio Berlusconi, sceso progressivamente dal 14 per cento del 2018 all’8,8 delle europee del 2019, al 7,7 dell’autunno scorso e al 7,6 di questo febbraio: una discesa aggravata dalla forzata rinuncia alla scalata così ostinatamente tentata dal Cavaliere al Quirinale, per fortuna neppure arrivata alla prova degli scrutini parlamentari perché non avrebbe fatto -credo- una fine diversa dalla bocciatura rimediata dalla presidente forzista del Senato Maria Elisabetta eccetera. 

Gli stracci finora volati nel centrodestra -con quell’”ingrata” appena data alla Meloni dalla senatrice di turno assistente di Berlusconi- sono niente di fronte a quelli che potranno seguire man mano che si svilupperanno col concorso diretto o indiretto dello stesso Berlusconi i lavori nel cantiere centrista, da cui “Giorgia”, ricambiata, vuole tenersi lontana.

Titolo del Fatto Quotidiano
L’editoriale del Fatto Quotidiano

Oltre al partito di Berlusconi si è dimezzato dal 2018 quello delle 5 Stelle, sceso dal 32,7 dei tempi di Luigi Di Maio al 15,6 di questo febbraio di Giuseppe Conte. Al quale lo stesso Di Maio ha contestato pubblicamente la debacle quirinalizia della candidata Elisabetta Belloni, per quanto responsabile dei servizi segreti. Un Di Maio declassato dal solito Marco Travaglio a Di Mario, nel senso di adoratore politico del presidente del Consiglio Mario Draghi. “Guerre stellari” le ha chiamate lo stesso Fatto Quotidiano nel titolo di prima pagina di oggi. 

Ripreso da http://www.startmag.it

Conte uscito indenne da Palazzo Chigi dopo un lungo incontro con Draghi

Fotografi, telecameraman, cronisti, agenti di polizia in divisa e in borghese, persino qualche passante al quale è stato consentito di fermarsi a guardare hanno garantito l’uscita indenne di Giuseppe Conte da Palazzo Chigi dopo circa un’ora di colloquio col presidente del Consiglio, e suo successore in quell’edificio, Mario Draghi. Che non gli ha proprio torto  un capello, gli ha lasciato tutti i bottoni al loro posto sulla giacca e sui pantaloni, per quanto avesse avuto la voglia di fargli chissà che cosa dopo la gara nella quale l’ospite si era misurato con Matteo Salvini, il suo ex vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno, per sbarrargli la strada del Quirinale, sino a ingoiare un altro rospo come la conferma di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica. 

Titolo del Corriere della Sera

L’abito del presidente, ora, del MoVimento 5 Stelle era del tutto asciutto, pur essendo stato rappresentato dal Corriere della Sera come l’incontro del disgelo” quello svoltosi con Draghi nella sede del governo. Di solito quando disgeli qualcosa un pò di bagnato lo procuri, o lo lasci. Conte invece era tutto asciutto, ripeto: anche nel fisico, a cominciare dai capelli. 

Fotomontaggio del Fatto Quotidiano

Draghi e i suoi collaboratori sono evidentemente dei signori davvero, magari solo perché convinti pure loro da un vecchio proverbio che il piatto della vendetta si serve e si mangia sempre freddo, a debita distanza dai torti subiti, se sono stati davvero torti e non inconsapevoli piaceri. Già, perché non è per niente detto che sia ormai cominciato l’inarrestabile declino di Draghi sognato, per esempio, dal Fatto Quotidiano, dove ancora rimpiangono Conte a Palazzo Chigi, sognano di vederne il ritorno e intanto fotomontano in prima pagina lo stesso Draghi ai ferri corti con Mattarella, con tanto di fogli stracciati del suo discorso a Montecitorio come ripresidente della Repubblica.

Dalla prima pagina del Foglio

C’è voluta solo la malizia del Foglio, che su Draghi al Quirinale ci aveva scommesso per primo e di più, pur ammirando a suo modo l’ostinazione dell’”amor nostro” Silvio Berlusconi ad aspirarvi pure lui, per rappresentare l’incontro di Conte col suo predecessore come un tentativo del primo di strappare al secondo, come pegno di una ritrovata amicizia o qualcosa del genere, la “cacciata” addirittura del ministro degli Esteri Luigi di Maio, ottenendone invece “la blindatura”. Rimane per Conte difficile pensare di liberarsi di Di Maio nel partito neppure adesso che “Giggino ‘a cornetta”, come lo chiamano al Fatto Quotidiano, non è più uno dei “garanti” del Movimento, dimessosi proprio oggi per non dare l’impressione di volersi coprire dietro questa funzione per sottrarsi alla durezza dello scontro cominciato con l’ex presidente del Consiglio, da lui accusato di avere gestito male la vicenda quirinalizia coinvolgendo fallimentarmente come candidata l’ambasciatrice Elisabetta Belloni, responsabile dei servizi segreti. Conte può solo sperare che anche Draghi si stanchi prima o poi di lui o, solo, si convinca della convenienza politica di una rottura. Ma, francamente, questa prospettiva mi sembra ancora più improbabile di una espulsione di Di Maio dal partito o, pardon, movimento di cui è stato capo prima della reggenza di Vito Crimi e della presidenza dello stesso Conte.Più improbabile, infine, anche di un passaggio di Di Maio, appeso come Tarzan ad una corda vegetale, nel vasto cantiere centrista in allestimento ad Arcore e dintorni, affollato -temo- più da capicantiere che da  muratori. Parlo di muratori veri, senza allusioni massoniche. 

La spinta di Mattarella alla riforma finalmente garantista della giustizia

Titolo del Dubbio
Dal banco del governo gli applausi a Mattarella a Montecitorio

E’ una congiunzione di tipo non astronomico ma tutto politico quella fortunatamente creatasi sulla traiettoria di una riforma garantista della giustizia fra i referendum promossi in materia dai radicali e dai leghisti, l’arrivo di Marta Cartabia alla guida del Ministero della Giustizia, i troppi veti incrociati in apertura della gara al Quirinale, la conseguente rielezione di Sergio Mattarella, l’allontanamento quanto meno dello spettro delle elezioni anticipate già nella prossima primavera, che avrebbero comportato il rinvio delle prove referendarie, e infine il forte discorso al Parlamento del presidente della Repubblica appena confermato. Il quale si è guadagnato i più intensi dei 55 applausi che ne hanno interrotto l’intervento di 38 minuti proprio nel passaggio dedicato alla necessaria riforma della giustizia per restituirle -ha detto- “credibilità”. Che si è progressivamente perduta negli ultimi trent’anni, cioè dallo straripamento giudiziario di “Mani pulite”, pur non menzionate esplicitamente dal capo dello Stato. 

Mattarella, Amato e Draghi

Un testimone di questa realtà, a suo tempo vittima politica di quel fenomeno, è il presidente della Corte Costituzionale fresco di insediamento e più volte candidato mancato al Quirinale Giuliano Amato. Da presidente del Consiglio nella primavera del 1993 egli tentò con l’allora ministro della Giustizia, il compianto Giovani Conso, un’uscita cosiddetta politica dalle già ricordate “Mani pulite” originariamente condivisa dall’allora capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro, ma contestata pubblicamente dalla Procura di Milano e sconfessata nel giro di poche ore al Quirinale. Per cui la vicenda giudiziaria proseguì sui binari della distruzione dei partiti di governo e della relativa classe dirigente, liquidata come una specie di associazione a delinquere per il pur generalizzato finanziamento illegale della politica, anticamera presuntivamente obbligata di reati come corruzione e concussione: tutti contestati ad una infinità di persone a Milano  -ricordiamolo- con indagini di sostituti procuratori che passavano per un unico giudice preliminare. Ciò è stato denunciato di recente sul Dubbio, nel silenzio più assordante della magistratura e nella incredibile distrazione dei giornaloni, da Guido Salvini. Che si vide spogliato brutalmente di un fascicolo arrivato per caso, diciamo così, nel suo ufficio e tentò inutilmente, con una protesta tutta interna al tribunale, di fermare quello scempio. 

Si dirà: acqua passata. Certo, passata. Ma che si è trascinata appresso la cosiddetta prima Repubblica, ha fatto nascere e crescere  male la seconda  e sta accompagnando la terza, se anche questa non è già morta essendo dedicata alla quarta almeno un programma televisivo di un certo ascolto. 

La vignetta di Stefano Rolli sul Secolo XIX
Titolo del Giorno, Nazione e Resto del Carlino

La forza con la quale Mattarella ha posto il problema della riforma della giustizia nel discorso di avvio del suo secondo mandato presidenziale ha sorpreso -scusate la franchezza- solo quanti non avevano voluto o saputo coglierne i chiarissimi segni di stanchezza e delusione, a dir poco, per le spalle e spallucce opposte durante il primo mandato ai suoi richiami, alle sue sollecitazioni, alle sue proteste, non tradottesi nello scioglimento anticipato del Consiglio Superiore della Magistratura, quando vi è scoppiato il bubbone delle carriere correntizzate, solo per il timore da lui avvertito -e che mi risulta quasi direttamente- di ripercorrere pratiche e formule mussoliniane. 

Ancora a Capodanno, quando già Mattarella aveva parlato più volte della necessità di una “rigenerazione” della magistratura per uscire dalle “logiche di appartenenza” correntizia e/o politica, con tutte quelle porte girevoli fra tribunali e palazzi del potere nazionale e locale, un giornale come quello della famiglia Berlusconi e il contiguo Libero contestarono a Mattarella di avere ignorato i problemi della giustizia nel messaggio televisivo a reti unificate. Ma temo che l’obiettivo non fosse il presidente uscente della Repubblica , bensì l’allora avversato, temuto e chissà cos’altro presidente confermando. Era ancora in coltivazione politica e mediatica in quei giorni la candidatura di Berlusconi, che aveva bisogno di tempo per capire la impraticabilità politica di quell’ambizione, senza le consuete e triviali offese di Travaglio e simili alla persona. 

Ora, di fronte al discorso di avvio del secondo mandato di Mattarella, consapevole di avere più forza di un presidente in scadenza, e di interloquire con un Parlamento  più disponibile, ma ancor più fiducioso del prossimo per i mutamenti in corso degli equilibri politici, il Giornale diretto dall’amico Augusto Minzolini ha aggiunto un “meglio tardi che mai” all’annuncio del Mattarella bis che “fa giustizia”. Più francamente il direttore di Libero Alessandro Sallusti si è pubblicamente scusato per avere dubitato di Mattarella sino al giorno prima, lasciandosi scappare qualche dubbio -spero infondato- solo sulla capacità di comprensione dei “Fantozzi” più o meno onorevoli che pure l’hanno così tanto applaudito: Fantozzi però che sono stati più lesti e saggi dei leader e leaderini dei loro partiti, partitini e correnti cominciando a votare Mattarella già nei primi scrutini, contro i giochi e giochetti che si svolgevano nelle segrete stanze dei gruppi e dintorni. 

Mattia Feltri sulla Stampa di ieri

Qualche dubbio sulla capacità di comprendonio o di volontà di questo e forse anche del prossimo Parlamento lo ha espresso sulla Stampa, lamentando il ”ruggito del gatto”, anche l’insospettabile Mattia Feltri, così diverso da papà Vittorio. Che nel 1992 -avendone poi il coraggio di ammetterlo- insegui come oro colato quello della Procura di Milano solo per aumentare le vendite in edicola del suo “Indipendente”, e salvarlo da una chiusura immediata. 

Persino il mio buon amico Piero Sansonetti ha ritenuto di mettere un cautelativo “forse”, in rosso, nel doveroso titolo del suo Riformista sul “risveglio” e sulle “picconate” di Mattarella alla magistratura. 

Pubblicato sul Dubbio

La riscoperta, oltre che la ricarica, di Mattarella sul fronte della Giustizia

Titolo del Fatto Quotidiano
Titolo della Verità

Oltre e più ancora della “ricarica” che ha acceso la fantasia del manifesto nel felice titolo copertina di prima pagina, si può definire riscoperta, o scoperta in assoluto, quella che i giornali e, per alcuni di essi, le loro aree politiche di riferimento hanno fatto di Sergio Mattarella col passaggio del suo tranquillo e forte discorso di presidente rieletto della Repubblica riguardante la necessaria riforma della giustizia. Solo la nera, nerissima Verità di Maurizio Belpietro, spesso più a destra che non si può, anche a costo di ritrovarsi paradossalmente coll’opposto Fatto Quotidiano di Marco Travaglio, ha salutato e riassunto la partenza del Mattarella bis denunciandone “luoghi comuni e ipocrisie”. Cui andrebbero ricondotti i 55 applausi rimediati dal capo dello Stato in 38 minuti di discorso, “soprattutto contro i giudici”, ha lamentato appunto IlFatto Quotidiano di Marco Travaglio. 

Travaglio sul Fatto Quotidiano
La vignetta di Mannelli sul Fatto

Quest’ultimo ha sostenuto personalmente nell’editoriale, scritto col testo in mano del discorso di Mattarella, che la vera riforma della giustizia era stata praticamente già fatta dall’ex guardasigilli grillino Alfonso Bonafede cancellando dal 2020 la prescrizione, reintrodotta invece da Marta Cartabia con la cosiddetta improcedibilità dopo un certo numero di anni trascorsi senza una sentenza definitiva. Ma leggete con me, testualmente, Travaglio sul monito del presidente della Repubblica che “i cittadini non devono avvertire timore per decisioni arbitrarie o imprevedibili in contrasto con la certezza del diritto”: Capita ancora -ha  replicato il direttore del Fatto- che qualche potente venga disturbato da indagini e condanne senza prescrizione e che qualche poveraccio venga assolto, ma la Cartabia ci sta lavorando. E in linea con questo ragionamento nella vignetta di prima pagina del Fatto è stato dato del “recidivo” al Presidente che si è permesso di parlare dei magistrati senza inginocchiarsi davanti a loro, ma con la posa di un re che intende metterli in riga. 

Titolo del Giornale
Alessandro Sallusti su Libero

Il Giornale della famiglia Berlusconi, che pare voglia ora venderlo alla famiglia Angelucci, ha dovuto più o meno a malincuore titolare che “Mattarella fa giustizia” dopo averlo accusato, quando Berlusconi era ancora contrario ad una rielezione, di avere ignorato il problema nel messaggio televisivo di Capodanno. “Meglio tardi che mai”, ha solo aggiunto, o premesso, in rosso il Giornale con una vena ancora polemica. Più onestamente, o meno maliziosamente, il direttore di Libero Alessandro Sallusti ha formulato “le scuse al Presidente per aver ieri dubitato che avrebbe messo al centro del nuovo mandato la riforma della giustizia. Lo ha fatto con forza e lo ringraziamo”. Ma “il punto è -ha aggiunto Sallusti dubitando evidentemente sia del Parlamento in scadenza sia di quello che verrà eletto l’anno prossimo- se i nostri cari Fantozzi, oltre ad applaudirlo, lo hanno pure capito”. 

Titolo della Stampa

Uno scetticismo analogo ha espresso sulla Stampa il pur buon Mattia Feltri liquidando come “ruggito di gatto” l’apparente “boato” delle Camere con quel lungo e nutrito applauso al passaggio del discorso presidenziale  sulla credibilità ormai perduta dai magistrati con le loro decisioni spesso “arbitrarie e imprevedibili”. 

Titolo del Riformista

Un pò di scetticismo, ma questa volta proprio sul presidente della Repubblica, ripetutamente accusato del mancato scioglimento del Consiglio Superiore della Magistratura dopo il mercato correntizio delle nomine emerso dalla vicenda giudiziaria di Luca Palamara, lo ha espresso anche Il Riformista di Piero Sansonetti con quel “forse”, ben in vista in rosso, in mezzo al lungo titolo nero sul “risveglio” del capo dello Stato, appunto, e sulle sue “picconate sulla magistratura”: quasi, ma molto quasi come quelle della buonanima di Francesco Cossiga dal Quirinale. 

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Gli applausi sono durati più del discorso di Mattarella a Montecitorio

Dopo il giuramento Mattarella torna al Quirinale

Come già nella brevissima dichiarazione di sabato sera al Quirinale, dopo avere ricevuto dal presidente della Camera la notifica della rielezione, il presidente della Repubblica ha riproposto nel discorso al Parlamento in seduta comune successivo al giuramento le emergenze “sanitaria, economica e sociale” che attanagliano l’Italia. Ed hanno certamente contribuito alla responsabile decisione di obbedire ai senatori, deputati e delegati regionali che lo hanno confermato.Egli ha in un certo senso graziato la politica non aggiungendo la sua emergenza alle altre. Che è stata invece la più macroscopica emersa dalle sette votazioni inutili svoltesi prima dell’ottavo e decisivo scrutinio, preceduto da quel rito della resa dei partiti, i cui leader d’altronde Mattarella non ha neppure voluto ricevere al Quirinale per raccogliere l’appello generale ad accettare la conferma, esclusa solo la componente di destra dei “fratelli d’Italia”. Egli ha preferito ricevere e accogliere una simile richiesta formulata dai gruppi parlamentari. 

Il ritorno al Quirinale

Della centralità del Parlamento il capo dello Stato ha parlato proprio nella parte iniziale del discorso a Montecitorio lamentando come più chiaramente non poteva -fra gli applausi scroscianti levatisi da ogni settore dell’aula- le ristrettezze impostegli col percorso troppo accelerato di tante leggi, a cominciare da quelle del bilancio. Mancava solo che dicesse papale papale, a costo di umiliare i presidenti delle assemblee legislative che lo affiancavano: “Non si ripeta più”.

Da vecchio, consumato, navigato parlamentarista, e professore di diritto parlamentare, Mattarella ha pronunciato un discorso studiato apposta per non sfuggire a nessuno, ma proprio a nessuno degli argomenti di cui dovranno occuparsi le Camere e i governi che prima o dopo succederanno a quello in carica presieduto da Mario Draghi. Cui il capo dello Stati intanto ha voluto rivolgere un ringraziamento e un augurio a conferma del rapporto fiduciario instauratosi l’anno scorso, con la chiamata a Palazzo Chigi di ratificata con la larga fiducia parlamentare che non gli è mai venuta meno sino ad ora, per quante insofferenze partitiche si siano avvertite, anche nelle ultime ore. 

In nome della “dignità” -parola quasi magica alla quale egli ha voluto ricorrere-  Mattarella ha toccato tutti i problemi sul tappeto sollecitandone la soluzione perché, in effetti, ogni diritto mancato o violato è un vulnus alla dignità di ciascun cittadino sofferente e del Paese nel suo insieme. 

Questa volta spero che nessuno contesti a Mattarella-  come purtroppo accadde sui giornali di area del centrodestra in occasione del suo messaggio televisivo di Capodanno, che doveva essere l’ultimo della sua esperienza al Quirinale- di non avere affrontato il tema della giustizia. Eccome l’ha affrontato, insistendo con forza sulla necessità di una “riforma” che restituisca finalmente “credibilità” ad una magistratura che evidentemente l’ha perduta, anche con le sue decisioni “arbitrarie e imprevedibili”. 

Nel cortile del Quirinale

E’ vero -.prevengo qualche ipercritico- che il presidente della Repubblica non ha ripetuto nel discorso di insediamento l’esortazione alla “rigenerazione” dell’ordine giudiziario più volte evocata in incontri al Quirinale con toghe di ogni tipo e nel Consiglio Superiore della Magistratura. Ma è come se lo avesse fatto quando ha detto praticamente che il recupero della credibilità presso i cittadini non può prescindere dalla rinuncia dei magistrati a “logiche di appartenenza”. Che sono tali sia quando le carriere si sviluppano per correnti sia quando le inchieste si conducono, e persino le sentenze vengono emesse, con spirito di parte. 

La figlia di Mattarella in tribuna a Montecitorio

L’applauso che ha accompagnato la parte del discorso di Mattarella sui problemi della giustizia è stato il più lungo e nutrito -o tale mi è apparso- dei tanti che hanno interrotto l’intervento del presidente rieletto della Repubblica: applausi che nel complesso sono durati, compreso quello finale, più di tutto il discorso, a dimostrazione della particolare e fortunata sintonia che si è creata fra il capo dello Stato e gli italiani, e viceversa. 

A ciascuno il suo messaggio: da Mattarella a Salvini e a Grillo

A ciascuno il suo messaggio, in attesa di quello odierno che Sergio Mattarella sta per rivolgere al Paese, in diretta televisiva, col discorso alle Camere in seduta congiunta dopo il giuramento di avvio del suo secondo mandato di presidente della Repubblica.

Mario Draghi

Matteo Salvini, nel suo piccolo di leader uscito peggio -credo- dalle elezioni presidenziali per avere perduto anche la leadership del centrodestra conquistata col sorpasso elettorale su Forza Italia nel 2018, o averlo probabilmente affossato fra il sollievo forse dello stesso Silvio Berlusconi, stanco di esserne o apparirne il garante con gli amici del Partito Popolare Europeo, ha appena lanciato contro il governo di Mario Draghi quello che vedremo come definire: un siluro o un getto di malumore. 

Titolo del Fatto Quotidiano

Naturalmente fra i grillini, insofferenti di Draghi ben prima dei leghisti e lacerati sulle sue prospettive di durata a Palazzo Chigi, dove comunque sono riusciti a trattenerlo evitando che salisse al Quirinale, hanno subito festeggiato con quel “governo morente” annunciato sul Fatto Quotidiano riferendo delle distanze prese da Salvini dalle ultime decisioni del Consiglio dei Ministri in materia di pandemia. “Morente” forse è un pò troppo ma dà bene l’idea dei sentimenti prevalenti sotto le cinque stelle contro il presunto autore, o comunque beneficiario, del famoso “Conticidio”. Che potrebbe essere compensato, secondo Conte, solo con un “Draghicidio”, come lo chiamano al Foglio con orrore, tanto sono sicuri dei suoi eventuali effetti interni e persino internazionali. 

Nel perseguimento di questa sua intima, e neppure tanto nascosta, aspirazione ritorsiva Conte deve avere pensato di avere trovato finalmente una sponda addirittura in Beppe Grillo: il fondatore, il garante, l’Elevato e non so cosa e quant’altro del MoVimento 5 Stelle. Di cui l’ex presidente del Consiglio si è affrettato ad apprezzare telematicamente il messaggio più o meno in bottiglia che Grillo ha mandato dalla sua crociera giudiziaria con l’amico armatore Vincenzo Onorato. Su una delle cui navi metaforiche il conico si è travestito addirittura da Gesù per fare un sermone copiato però da Gandhi. E che Conte ha scambiato, vedremo se a torto o a ragione, come una tirata d’orecchie, una sculacciata e simile a Luigi Di Maio, riuscito a scavalcare lo stesso Grillo nel sostegno a Draghi imposto l’anno scorso. 

Beppe Grillo sul suo blog

Convinto di essere non un “padre padrone” ma un papà generoso che ha dato ai figli tutto quello che poteva per aiutarli nel “passaggio dall’impossibile al necessario”, Grillo ha scritto che il necessario, appunto, è “saper rinunciare a sé per il bene di tutti, che è anche poter parlare non la forza di una sola voce”. Mancando la quale, contro “ruoli e regole” faticosamente scritte da Conte nella rifondazione del MoVimento -per cui lo stesso Conte si è considerato evidentemente beneficiario del messaggio di Grillo contro l’ormai troppo draghiamo Di Mario, o “Giggino‘a cornetta”, come lo chiamano al Fatto Quotidiano- “restano solo voci di vanità che si (e ci) dissolvono nel nulla”.

Dal Corriere della Sera
Achille Lauro a Sanremo

Di fronte a tanta apparente saggezza, mi sono ritrovato questa mattina a prendere “il caffè” sul Corriere della Sera con Massimo Gramellini per quel suo “Pietà, il Grillo Mistico no”: superato nella sua “trasgressione” da “quel cantante stonato che si è battezzato da solo sul palco di San Remo”, omonimo di quell’incolpevole buonanima di Achille Lauro

Il Mattarella usa e getta dei nemici irriducibili di Draghi

Titolo del Dubbio

Non basta applicare il passato remoto alla cronaca per farla diventare storia e raccontarla con la presunzione di un Tacito, senza averne peraltro la capacità di sintesi. Così ha fatto invece Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano ricostruendo a suo modo la vicenda di Mario Draghi mandato un anno fa da Sergio Mattarella a Palazzo Chigi per consumare l’ormai noto “Conticidio”, rivelarsi  più o meno rapidamente inferiore alle esigenze, proporsi furbescamente o disinvoltamente di fuggire addirittura al Quirinale, raccogliere non più di quei 5 miseri e miserabili voti contati dagli scrutatori, per quanto avessero lavorato per lui tantissimi infiltrati in vari partiti della maggioranza, compreso quello grillino, e infine rimanere dov’era in condizioni peggiori di prima. Condizioni dalle quali trarrà i maggiori benefici la destra di Giorgia Meloni, destinata a raccogliere, quando si riuscirà finalmente ad andare alle urne, il 30 per cento dei voti profetizzato proprio sul Fatto Quotidiano in una intervista da Vittorio Feltri, non so se in veste più di direttore editoriale di Libero, se lo è ancora dopo la nomina di Alessandro Sallusti a direttore responsabile, o di consigliere comunale di quella destra a Milano. 

    Dopo essersi compiaciuto, a botta calda, del contributo decisivo, credo, dato da Mattarella alla sconfitta di Draghi accettando di essere confermato, rieletto o solo “votato”, come l’esimio professore e presidente emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky ha cercato di ridimensionare su Repubblica, il tacitiano Travaglio ha buttato giù dal podio il presidente  uscente e confermato della Repubblica liquidandolo come “un Napolitano qualsiasi”. Che nel 2013 si lasciò rieleggere dopo avere negato anche lui la disponibilità a restare, ma in realtà -ha più volte scritto lo stesso Travaglio a proposito di quel passaggio- manovrando perché le cose andassero in quel modo. 

Travaglio sul Fatto di ieri

           Tra “rinnego della parola data” anche questa volta, “la presidente del Senato ridicolizzata in diretta tv” col suo tonfo di candidata del centrodestra al Quirinale, “ la direttrice” dei servi segreti “impallinata da Letta jr, Di Maio, Forza Italia e frattaglie varie (e screditata dalla foto con Giggino”), come al Fatto Quotidiano chiamano il ministro degli Esteri, “la maggioranza in frantumi”, “le coalizioni e i partiti in pezzi”, “l’antipolitica ai massimi storici”, come se il suo giornale non vi avesse contribuito, “il nuovo boom dell’’astensionismo” e la sola Meloni dall’opposizione che “ci lucra”, sono tutti “bei pirla”, ha chiuso e certificato Travaglio. Proprio “tutti”, compreso quindi Mattarella col suo già appassito alloro antidraghiano, escluso solo il solito Conte, che al Fatto e dintorni rimpiangono ancora alla guida del governo e vorrebbero ora aiutare a liberarsi finalmente di Luigi Di Maio,  non più con le buone ma con le cattive, costi quel che costi, anche la dissoluzione completa del MoVimento uscito nel 2018 dalle urne come solo la Dc sapeva fare negli anni d’argento, se non in quelli d’oro di Alcide De Gasperi.

Bella concorrenza tra il festival di Sanremo e la politica

Il festival di Sanremo
Dal Riformista

C’è chi preferisce lo spettacolo canoro, ma non solo canoro, di Sanremo succeduto mediaticamente a quello politico di Montecitorio, che cercherà di riprendersi domani la scena con la cerimonia del giuramento e del messaggio del rieletto presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e chi invece preferisce pur procurandosi ulteriori sofferenze, come Fausto Bertinotti sul Riformista,  “lo spettacolo di una politica subalterna” a tante altre cose che non dovrebbero riguardarla. Delle quali sarebbe espressione,  volente o nolente, il presidente del Consiglio in carica Mario Draghi. 

Titolo del manifesto
Dal blog di Beppe Grillo

Subalterna o no, la politica si è ritrovata nelle ultime ore negli spettacoli del Carroccio e dello “Stillicidio”, come lo ha brillantemente definito nel suo titolo di copertina il manifesto riferendo dei tentativi di Giuseppe Conte e di Luigi Di Maio di eliminarsi o comunque danneggiarsi a vicenda. E ciò sotto gli sguardi lontani di un Beppe Grillo che ricorda ad entrambi sul suo blog come anche i cavernicoli riuscissero a curarsi fra loro, persino della rottura così dolorosa del femore.

Diversamente da quello pentastellato, tutto in corso dietro le quinte, con spezzoni di tweet, dichiarazioni, foto e altro, lo spettacolo del Carroccio  si è svolto con tanto di assemblea e di documento approvato dal Consiglio federale. Al quale Matteo Salvini si è recato in mezzo alla solita selva di microfoni e telecamere, davanti a cui il “capitano” finisce, volente o nolente, sempre per abbandonarsi a gesti e pose da lotta, di chi riesce a farlo grosso così a chiunque, dentro e fuori casa. 

Titolo di Libero
Titolo del Messaggero

Può darsi che Libero, un pò specialista del Carroccio come Il Fatto Quotidiano delle 5 Stelle, abbia avuto ragione a titolare sulla Lega che “salva Salvini”. Il quale con quel cognome che porta potrebbe pensare di avere la salvezza incorporata, nonostante Gorgia Meloni -a leggere Alessandra Ghisleri sulla Stampa– gli abbia appena soffiato in un sondaggio quasi due punti in due settimane, passando al 21,1 per cento dei voti e lasciando retrocedere la Lega al 16,7. Ma ho qualche difficoltà a comprendere, e tanto meno a condividere, il titolo col quale Il Messaggero gli ha attribuito il merito di avere “spiegato ai suoi il voto sul Colle”. 

Titolo del Fatto Quotidiano

Sì, certo, Salvini ha confermato di avere ripiegato ad un certo punto pure lui sulla conferma di Sergio Mattarella a lungo contrastata prima e durante le elezioni presidenziali, ritrovandosi alla fine in compagnia dell’alleato di centrodestra Silvio Berlusconi, appena “riabbracciato” peraltro ad Arcore, e litigando abbastanza furiosamente con l’altra alleata, o ex ormai, Giorgia Meloni. Ma il capitano si è guardato bene sia dall’evocare sia dallo spiegare  ai “suoi” le ragioni per cui si era prima ritrovato in un rapporto, diciamo così, privilegiato con Giuseppe Conte: sì, quello che l’aveva processato in Senato nel 2019 incitando poi i parlamentari grillini a farlo processare anche in tribunale per le navi e gli immigrati bloccati nei porti, o al largo. Salvini non ha per niente spiegato insomma il sostegno alla candidatura della regina degli 007 al Quirinale, senza soluzione di discontinuità fra i due ruoli, in un intreccio anomalo di situazioni cui non ha potuto reggere il segretario del Pd Enrico Letta. Per cui la faccenda è finita come doveva, cioè nel nulla. Anzi, nel ritorno della regina degli 007, l’ambasciatrice Elisabetta Belloni, a pranzo col “fratello” ritrovato Di Maio – “Giggino ‘a cornetta”, come lo sfottono sul Fatto Quotidiano- che ha rotto con Conte proprio per avere esposto l’ex segretaria generale della Farnesina a quella rischiosa avventura. 

Potenza degli spettacoli che sa dare la politica, subalterna o no. Altro che Sanremo con Amadeus e tutti i suoi ospiti o comprimari, maschi e femmine. 

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Blog su WordPress.com.

Su ↑