Non ci crederete ma c’è un magistrato, per giunta pubblico ministero, che è riuscito a scandalizzare il giornale dove la parola di un rappresentante dell’accusa di solito è sacra, non si discute se non dopo essersi sciacquata la bocca ed essere stati visitati da uno psichiatra che certifichi la vostra sanità mentale.
Il giornale si chiama naturalmente Il Fatto Quotidiano, fondato nel 2009 da Antonio Padellaro, diretto da due anni da Marco Travaglio, reduci entrambi dall’Unità, la storica testata di quello che fu il Partito Comunista Italiano. La sede si trova in una strada romana -Via Sant’Erasmo- che le mappe consultate via internet attribuiscono al rione, o quartiere, Celio. Per cui mi pare che, salvo errori altrui, si possa parlare di miracolo al Celio, versione ridotta, molto ridotta, del più celebre miracolo a Milano portato felicemente sugli schermi cinematografici nel 1951 dall’indimenticabile Vittorio De Sica, e ispirato da Cesare Zavattini.
Il pubblico ministero che ha fatto perdere la testa a quelli del Fatto Quotidiano –uscito in edizione quasi straordinaria con una pagina nera anche di umore perché si potesse meglio leggere un titolone bianco ispirato a un altro celebre film: Assassinio sull’Etruria Express, anziché sull’originale Orient Express- si chiama Roberto Rossi. E lavora ad Arezzo, dove indaga sul dissesto della Banca Etruria col conforto del Consiglio Superiore della Magistratura, investita a suo tempo da contestazioni a suo carico. Ebbene, egli ha riferito alla commissione parlamentare d’inchiesta sui dissesti bancari, presieduta da Pier Ferdinando Casini, due cose che a Travaglio ed amici non tornano. Ma tornano invece al Pd dell’odiatissimo Matteo Renzi, che sembra ne sia rimasto felicissimo.
La prima cosa sgradita che il pubblico ministero ha riferito ai commissari parlamentari è l’estraneità di Pier Luigi Boschi -già consigliere d’amministrazione e poi vice presidente della Banca Etruria, ma soprattutto padre di Maria Elena, prima ministra di Renzi e poi sottosegretaria di Paolo Gentiloni a Palazzo Chigi- a tutti i finanziamenti concessi da quell’istituto di credito con allegra spensieratezza, diciamo così. Una spensieratezza tale da avere portato la banca al dissesto, grazie anche ad una vigilanza a dir poco zoppicante da parte di chi vi doveva provvedere.
La seconda cosa sgradita riferita dal pubblico ministero ai commissari o inquirenti parlamentari è che la Banca d’Italia prima di procedere al commissariamento dell’Etruria aveva fortemente cercato di aggregarla alla Banca Popolare di Vicenza, con quanta competenza e previdenza è facile capire sapendo che anche questo istituto ha fatto una misera fine, a spese dei risparmiatori e dei contribuenti.
La Banca d’Italia ha opposto smentite che saranno valutate dalla commissione parlamentare d’inchiesta. Intanto un giornale insospettabile come la Repubblica, insorto al pari del Fatto Quotidiano quando il segretario del Pd Renzi fece proporre in Parlamento dai propri deputati di non rinnovare alla scadenza dei sei anni il mandato di Ignazio Visco al vertice del prestigioso istituto di via Nazionale, ha commentato le novità emerse dalle indagini scrivendo di un “governatore dimezzato”: confermato a furore istituzionale ma già dimezzato.
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