Le scuse mancate di Borrelli al giudice Guido Salvini

         Il magistrato Guido Salvini può ben essere considerato, per serietà e competenza dimostrate nel suo lavoro, e anche per i problemi che gli è toccato di avere con i suoi colleghi di toga, il Giovanni Falcone dell’antiterrorismo.

         La storia dei suoi rapporti con la Procura di Milano, che ha raccontato in una lunga intervista a Il Dubbio commentando l’epilogo, finalmente, delle indagini e dei processi sulla strage di Brescia, fa venire francamente i brividi.

         Quanto è stata solerte la Procura ambrosiana negli anni Novanta -gli anni “terribili” di Tangentopoli, per dirla con Matteo Feltri, che li ha scandagliati con impietosa obiettività nei riguardi dei vari Francesco Saverio Borrelli, Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo e altri- tanto è stata a dir poco zoppicante negli anni Settanta e Ottanta, quando l’emergenza era purtroppo il terrorismo.

         Ebbene, il povero Guido Salvini incontrò come giudice istruttore difficoltà indicibili più fra i colleghi magistrati, per gelosie, incompetenze e quant’altro, che fra gli inquisiti di una stagione di sangue. Che fu ben più grave e pericolosa di quella dei furti, come vennero sbrigativamente liquidati tutti gli episodi, veri ma anche presunti, del complesso e generalizzato fenomeno del finanziamento illegale della politica.

         A Salvini toccò, fra l’altro, di vedersi assegnati nella conduzione delle indagini colleghi a dir poco non sufficientemente attrezzati per competenze e carattere al compito immane di smascherare assassini e trame, e di essere alla fine costretto anche a difendersi per ben sette anni davanti al Consiglio Superiore della Magistratura per presunta incompatibilità ambientale: una vicenda che – ha giustamente osservato il giudice- avrebbe sfiancato chiunque. Un’esperienza, aggiungo, in qualche modo già provata dal povero Falcone per il suo lavoro anti-mafia a Palermo, quando fu chiamato a giustificarsi degli sciagurati sospetti di Leoluca Orlando e amici di coprire responsabilità eccellenti, cioè politiche, nelle inchieste di mafia.

         Salvini non solo è fortunatamente sopravvissuto fisicamente alle difficoltà, ma ne è uscito a testa tanto alta da potere oggi giustamente reclamare le scuse mai chiestegli da Francesco Saverio Borrelli. Che a furia di “resistere, resistere, resistere”, come disse a conclusione della sua carriera, resisterà -temo- anche a questa sacrosanta richiesta.

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