Fa purtroppo parte della serie “se la va a cercare” anche la faccia che il risegretario del Pd Matteo Renzi ha perso -inesorabilmente perso, credo- con la riscomparsa dalle edicole dell’Unità, il giornale storico non solo del Pci, fondato da Antonio Gramsci nel 1924, due anni prima di essere arrestato dai fascisti, ma di tutta la sinistra italiana. Che già dal 1896 poteva contare sull’altrettanto storico giornale socialista Avanti!, fondato da Leonida Bissolati.
Definirei un atto impietoso di accusa quello strappato da Luca Telese al vecchio, arrabbiatissimo Sergio Staino, chiamato dallo stesso Renzi l’anno scorso alla direzione del giornale per rivitalizzarlo -gli disse- “non schiacciandolo sul governo”, che lo stesso Renzi allora dirigeva, impegnatissimo nella campagna referendaria sulla riforma costituzionale. Che Staino, dividendosi da appassionato militante della sinistra fra le vignette e gli editoriali, sostenne con coraggio e insieme astuzia, scontrandosi duramente peraltro con l’allora vice direttore Andrea Romano, contrario alla pubblicazione di un articolo di Marcelle Padovani -mica l’ultima arrivata- per un sì alla riforma preceduto però da qualche critica al presidente del Consiglio e segretario del partito.
Allora fu il deputato Andrea Romano, onnipresente nei salotti televisivi per conto di Renzi, a prenotarsi la rimozione, seguita qualche mese dopo. Ora è toccato al povero Staino, andato e tornato alla direzione nella nuova, ciclica crisi dell’Unità, ad avere perduto il giornale per il rifiuto del costruttore Massimo Pessina di continuare a finanziarlo: un rifiuto, debbo dire, in qualche modo incoraggiato o addirittura provocato anche dal concorrente Fatto Quotidiano di Marco Travaglio con una campagna sulle contropartite economiche che Renzi avrebbe promesso, e non sarebbe stato quindi più in grado di assicurare di fronte al clamore dello scandalo, vero o presunto che fosse.
Per nulla pentito del suo sì alla riforma costituzionale bocciata nel referendum del 4 dicembre scorso, e neppure delle critiche mosse in quella e anche in altre, più recenti occasioni al maggiore sindacato italiano, la Cgil, troppo “retrogrado e o oscurantista” per difendere davvero i lavoratori, Staino non perdona a Renzi di averlo lasciato solo nell’ultima crisi dell’Unità, di essersi comportato anche con lui come “un bugiardo seriale”, di averne tradito la buona fede, di privilegiare chi “gli lecca il culo” –chiedo scusa dell’espressione per lui- e di essere votato, per la sua mania di grandezza e la mancanza di cultura, specie politica, alla sconfitta. Che sarà però -ha ammonito Staino recitando in prima persona e direttamente il Bobo delle sue argute vignette- “la sconfitta di tutti”, intendendo per tali quanti davvero credono alla capacità della sinistra di essere al passo coi tempi senza confondersi con la destra, o perdersi nel rimpianto delle cose che furono. E che, peraltro, non furono sempre belle per la stessa sinistra, anche se Staino si è dimenticato di aggiungerlo, o il suo intervistatore di registrarlo.
Pur al netto degli elementi certamente personali della polemica, essendosi Staino sentito offeso da quel “gran cafone” che del resto ha dato direttamente e impietosamente a Renzi, è francamente difficile dare torto, spero, non all’ultimo direttore dell’Unità, convinto come sono che la scomparsa di un giornale è sempre una brutta, anzi una pessima notizia per la democrazia. Così come lo è il boicottaggio di un ritorno o di ogni nuova testata che si affaccia sul panorama della stampa, fra edicole che chiudono insieme con i giornali e con il calo progressivo delle vendite di chi ancora resiste alla crisi.
Scusate se scomodo addirittura il Talmud con l’emozionante richiamo al dovere di salvare una vita per salvare il mondo intero, ma pure chi salva un giornale salva la libertà, anche quando quel giornale non gli dovesse piacere. Ma a me l’Unità di Staino francamente piaceva, a dispetto di tutte le polemiche che ho potuto fare o subire dal giornale dell’allora Pci negli anni della sua maggiore diffusione.
Pure i grillini, che insensatamente processano i giornali che non ne condividono le iniziative, tutte o in parte, finiscono sempre col contraddirsi, fortunatamente, e per riconoscerne l’utilità. Lo ha appena fatto, con una svolta una volta tanto positiva, la sfortunata sindaca di Roma Virginia Raggi affidando ad un giornale come Il Messaggero, con i cui redattori e il cui editore il movimento delle 5 stelle ha avuto polemiche furibonde, una lettera di consuntivo del suo primo anno alla guida della città e di impegno, diciamo così, perché quelli successivi siano migliori: cosa che ovviamente dipenderà solo dalla sindaca e dal movimento che le è alle spalle, o di lato, spesso aiutandola purtroppo più a sbagliare che a correggersi. Ma questa, naturalmente, è un’altra storia.