La strana metamorfosi di Giorgio Napolitano

Capisco sempre meno la metamorfosi di Re Giorgio, come un po’ per scherzo e un po’ per simpatia, ma qualcuno anche con spirito per niente amichevole, ci eravamo abituati a chiamare Napolitano durante il mandato settennale di presidente della Repubblica, e i due anni supplementari del secondo, guadagnatosi nel 2013 nel bel mezzo di una crisi di governo. E dell’esordio di una legislatura che aveva fatto perdere la testa un po’ a tutti. A cominciare dall’allora segretario del Pd Pier Luigi Bersani, che si era messo in testa di formare un curiosissimo governo “di minoranza e di combattimento insieme”, appeso alle cinque stelle, cioè alle paturnie di Beppe Grillo. Che avrebbe potuto riempirlo di risate e di insulti più facilmente che di apprezzamenti e incoraggiamenti se Napolitano avesse perso la testa pure lui e ne avesse consentito la formazione.

         Ora il presidente ormai, e forse fortunatamente, emerito della Repubblica non si lascia scappare occasione per deplorare l’ipotesi di elezioni anticipate, sia pure di qualche mese soltanto rispetto alla scadenza ordinaria. Lui, poi, che eletto nel 2006, anche a costo di delegittimare i suoi stessi “grandi elettori”, sciolse anticipatamente le Camere dopo appena due anni, a causa della repentina caduta del secondo governo di Romano Prodi, finito male esattamente come l’altro, dieci anni prima. E avrebbe rischiato di sciogliere daccapo le Camere dopo tre anni se non avesse trovato l’espediente tecnico, e non so più se fortunato e avveduto, del governo di Mario Monti, premiato peraltro in anticipo con un laticlavio di assai dubbia opportunità, visto l’uso fattone dall’interessato improvvisando un partito per partecipare alle elezioni ordinarie di un anno e mezzo dopo: un partito peraltro sciolto poi come neve al sole.

         A questo punto l’ostinazione di Napolitano contro le elezioni brevemente anticipate che stanno maturando con la riforma elettorale in cantiere alla Camera diventa persino paradossale, a dir poco, per la riduzione ad una specie di accozzaglia di interessi di parte, o persino personali, di quella larghissima maggioranza con la quale la nuova legge elettorale sta procedendo verso l’approvazione. Detto tutto questo poi da lui, che le larghe maggioranze quand’era al Quirinale le chiedeva in ogni momento di ogni giorno.

         L’ultima sortita dell’ex Re Giorgio ha avuto anche l’inconveniente di spazientire forse il suo successore al Quirinale, dove Marzio Breda, abituato a raccogliere anche umori e sospiri dell’inquilino di turno, ha appena scritto per il Corriere della Sera che Mattarella è pronto a prendere atto della situazione e preferisce che si faccia addirittura più presto di quanto vogliano dalle parti del Nazareno. Non era difficile prevederlo, come mi è accaduto.

 

 

 

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Il fratello di Borsellino fra stelle e cambiali

         Fra tutte le reazioni alla porta lasciata in qualche modo socchiusa dalla Cassazione alla possibilità che Totò Riina, ammalato di tumore e altro, non finisca i suoi giorni in carcere, come pure dovrebbe per gli ergastoli che si è meritato, ma in qualche ospedale, se non addirittura a casa, dove però mi sembra francamente difficile che qualcuno voglia davvero mandarlo sfidando il buon senso, oltre che l’impopolarità, la più stravagante mi è apparsa quella di Salvatore Borsellino.

         Il fratello minore del mai abbastanza rimpianto magistrato Paolo, trucidato con la sua scorta dalla mafia il 19 luglio di 25 anni fa, meno di due mesi dopo l’eccidio di Capaci, dove erano stati uccisi, sempre dalla mafia, l’amico e collega Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e mezza scorta, ha accusato la Cassazione di stare pagando “una cambiale” dello Stato risalente alle famose, ma finora solo presunte trattative fra lo stesso Stato e la mafia per fermarne le stragi.

         Il processo per quelle presunte- ripeto- trattative è in corso da quattro anni a Palermo, in prima istanza. E Riina, arrestato nel gennaio del 1993, segue scrupolosamente quel processo, in collegamento dalle varie carceri dove è stato detenuto, beffardemente convinto, secondo Salvatore Borsellino, di riscuotere prima o dopo la cambiale che grazie a qualche delazione lo portò in prigione. E che, sempre secondo la sua visione di quelle -ripeto ancora- presunte trattative non fu rilasciata invece per la sorte del suo compagno di mafia Bernardo Provenzano, morto in carcere per quanto ammalato peggio, molto peggio del capo dei capi.

         Si dà il caso che mentre Salvatore Borsellino spiegava al Corriere della Sera la sua teoria della cambiale, annunciando per protesta la rinuncia a organizzare e forse anche a partecipare alle celebrazioni del venticinquesimo anniversario della strage palermitana in via D’Amelio, dove venne assassinato il fratello, il generale dei Carabinieri Mario Mori, uno degli imputati a Palermo per le presunte -ripeto ancora- trattative con la mafia, pur essendo stato già assolto per gli stessi fatti in un altro procedimento, ha scritto una lettera ad un giornale per criticare l’uscio socchiuso dalla Cassazione a Riina. Eppure, secondo il teorema del fratello di Paolo Borsellino, quella cambiale avrebbe dovuto firmarla in qualche modo proprio lui, Mori. O quanto meno sarebbe passata per le sue mani, diciamo così.

         Già di professione ingegnere, Salvatore Borsellino ha cambiato praticamente mestiere dalla tragica morte del fratello. E’ diventato “attivista italiano”, come si legge nelle sue biografie navigando in internet. Promotore, fra l’altro, del Movimento delle agende rosse, in memoria di quella che il fratello portava sempre con lui e scomparve dalla borsa prima trafugata e poi rimessa nella macchina di servizio saltata in aria dopo averlo portato all’appuntamento con la morte davanti alla casa della madre, Salvatore Borsellino partecipò nel 2013 all’avventura politica della “Rivoluzione civile” di Antonio Ingroia, pur litigando e poi riconciliandosi con lui. Ora frequenta ambienti e manifestazioni dei grillini.

         Si può ben dire, senza volere offendere nessuno, per carità, che il settantacinquenne Salvatore Borsellino è stato il fratello tanto minore quanto diverso del povero Paolo. Al quale, determinato e sensibile insieme, piaceva contemplare le stelle, nei momenti belli e angosciosi della sua vita. Ma dubito che avrebbe contemplato le cinque di di Grillo.

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