I 45 giorni che hanno cambiato il mondo di Silvio Berlusconi

Berlusconi commosso dai sostenitori”, titola Il Giornale riferendo del suo primo giorno di nuovo a casa, dopo i 45 trascorsi nell’ospedale San Raffaele, e della voglia comprensibile di tornare alla normalità. Comprensibile, ripeto, ma destinata  a fare i conti con ciò che è cambiato nel frattempo nella politica alla quale di recente un commosso -anche lui- Claudio Martelli, ospite di un salotto televisivo di Mediaset, ha scoperto quanto si sia appassionato: lui che  pure una trentina d’anni fa la considerava un fastidioso e sotto certi aspetti anche tragico “teatrino” da chiudere. E da sostituire con un teatro, anzi un teatrone, una specie di auditorium “del fare”, in cui sostituire alle parole i fatti, alle chiacchiere le realizzazioni, ai comunisti che avevano solo cambiato i simboli e i nomi del loro partito gli anticomunisti, ai falsi o elitari liberali i veri liberali, sorprendentemente “di massa”, come li definivano, immaginavano e quant’altro i professori Antonio Martino e Giuliano Urbani.

Tanto è cambiato non solo nella politica interna, con una premier alleata ma sempre più sicura di sé, tanto da avere già imposto un cambiamento di rotta a Forza Italia, non del tutto eseguito, per non disturbare la guida del governo, ma anche o soprattutto nella politica internazionale. Di cui Berlusconi ha continuato a sentirsi non dico protagonista ma quanto meno attore anche dopo che, dismessi i panni e il ruolo del presidente del Consiglio, non ha potuto più partecipare ai summit internazionali. Che spesso   egli agitava  più del dovuto o del desiderato da parte di altri. Persino la compianta Regina Elisabetta d’Inghilterra s’infastidì del suo entusiasmo mentre chiamava il presidente americano Obama in un salone di Backingham Palace. Non parliamo poi dell’allora cancelliera tedesca Angela Merkel stanca di aspettare su un prato ch’egli smettesse di parlare al telefono col lontano Erdogan, sia pure per convincerlo a dire o a fare una cosa che alla stessa Merkel in fondo premeva in quel momento. 

Prima di quei 45 giorni trascorsi in ospedale Berlusconi non si lasciava scappare occasione, pubblica o privata che fosse, per dolersi di “quel signore”, come lui chiamava il presidente ucraino Valdymir Zelensky, troppo ascoltato, protetto, inseguito e preferito al suo vecchio amico Putin. Che, per quanto avesse potuto esagerare  e farsi prendere la mano da qualche imprudente consigliere, in fondo voleva chiudere la partita ucraina in pochi  giorni e senza tante vittime, forse senza neppure uccidere Zelensky e qualcuno dei suoi ministri troppo “nazificati”, come si diceva a Mosca, bastandogli sostituirli con un pò di “persone perbene”. Ora Zelensky di qua e di là, vola dalla terrazza romana del Vittoriano al G7 in Giappone. Dove è stato “incoronato”, ha titolato il manifesto, ed è passato dalle braccia di Biden a quelle della Meloni. Che probabilmente lo ha già invitato al prossimo G7 che le toccherà organizzare in Italia l’anno prossimo, in Puglia.

Ripreso da http://www.policymakermag.it

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