Chissà se i putiniani più o meno di complemento in servizio anche in Italia, o gli antiatlantisti che reclamano di non essere confusi con i putiniani perché dà fastidio anche a loro, grazie a Dio, il successore di Stalin più che di Pietro il Grande cui l’uomo del Cremlino vorrebbe somigliare, troveranno qualcosa da dire e scrivere anche contro l’imminente tappa romana del viaggio del presidente ucraino Zelensky in Europa. Che incrocia notizie e voci sulle iniziative di pace alle quali, per quanto smentite o ignorate a Mosca, sta lavorando il Papa in persona. Il quale non sta certo a Palazzo Chigi o al Quirinale, ma a poca distanza in fondo dall’uno e dall’altro, con cui comunque ha buone relazioni, a dir poco.
Il Pontefice avrà sicuramente riso di cuore alla vignetta in cui oggi Stefano Rolli sulla prima pagina del Secolo XIX immagina il presidente ucraino deciso a chiedere aiuti militari anche alla Santa Sede, accontentandosi delle ben poco armate Guardie Svizzere.
L’imbarazzo della scelta per la migliore rappresentazione delle polemiche -per ora nulla di più, in attesa di un progetto ben definito del governo- sul cantiere della riforma costituzionale aperto da Giorgia Meloni consultando le opposizioni è fra un commento di Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera e una vignetta del Foglio, entrambi in prima pagina.
L’incipit del commento di Cazzullo sembra un controcorrente dell’indimenticabile Indro Montanelli , un pò più lungo del solito, ai tempi ormai lontani del Giornale da lui fondato nel 1974 lasciando proprio il Corriere spostatosi troppo a sinistra con la direzione di Piero Ottone. “Quando Charles de Gaulle -racconta Cazzullo- impose alla Francia la svolta presidenzialista uscì un pamphlet che monopolizzò la discussione pubblica. Si intitolava “Le coup d’Etat permanent”. L’autore considerava la riforma come un golpe ripetuto tutti i giorni, e giudicava i nuovi meccanismi costituzionali incompatibili con la democrazia. Il suo nome era Francois Mitterrand, e grazie a quella riforma e a quei meccanismi sarebbe stato presidente della Francia per quattordici anni”.
La vignetta del Foglio è ispirata non dal commento di Cazzullo, ancora sconosciuto a Makkox mentre la confezionava, ma dalla Meloni stessa, che il giorno prima aveva detto alla segretaria del Pd Elly Schlein di aspettarsi i ringraziamenti per la strada che le stava spianando con un lavoro paradossalmente sporco, utile più al futuro della sua concorrente che al proprio presente. Il vignettista ritrae la presidente del Consiglio, in abito una volta tanto tutto femminile, non certo in tenuta militare di degaulliana memoria, sfinita di questo e di altri lavori ancora e scettica dell’opportunità di spianare così tanto, garantendole “più poteri”, la strada al premerosà” inteso come premier rosa: la Schlein, appunto. Che in teoria dovrebbe aspirare a succederle nel 2027, essendo davvero improbabile un turno di elezioni anticipate, per quanti errori dovesse o addirittura volesse compiere l’attuale inquilina di Palazzo Chigi vanificando la maggioranza conquistata nelle urne il 25 settembre scorso.
Di fronte sia al commento di Cazzullo sia alla sua mezza traduzione o imitazione sul Foglio fa ridere davvero la vignetta del Fatto Quotidiano contro “la sora Costituente” Meloni, disegnata da Riccardo Mannelli alla presa sfottente con i suoi critici e avversari. E ancora più da ridere fa la serietà, gravità e quant’altro di Barbara Spinelli. Che sullo stesso Fatto, sempre in prima pagina, ammonisce che “la democrazia decidente” invocata dalla Meloni con la sua riforma costituzionale è “una trappola”, non un trappolone forse solo per ragioni grafiche, o di spazio.
Lo stesso si può dire e scrivere del “presidenzialismo tecno-populista” lamentato, denunciato e quant’altro sulla Stampa da Daniela Padoan, esperta dichiarata su Wikipedia di razzismo e totalitarismi del Novecento, e secolo evidentemente successivo.