Meloni convoca le opposizioni per la riforma costituzionale e la Repubblica di carta insorge

Non arrivo a ripetere ciò che una volta Indro Montanelli, in uno dei suoi fulminanti corsivi di prima pagina sul Giornale, scrisse dell’allora segretario della Dc Flaminio Piccoli -“diavolo di un uomo, riesce a perdere anche quello che non ha: la testa”- ma colpisce il modo in cui la Repubblica ha sparato su tutta la sua prima pagina di oggi contro una notizia data con una certa parsimonia dal Corriere della Sera, e declassata dall’insospettabile Fatto Quotidiano a tal punto da finire solo all’interno. E’ la convocazione delle opposizioni da parte della premier Meloni per martedì prossimo allo scopo di confrontarsi sulla riforma costituzionale contenuta nel programma di governo. “Sfida alla Costituzione”, ha gridato il giornale fondato dal compianto Eugenio Scalfari. Quella “sfida alla Costituzione”, corredata con una vignetta di Altan su una Meloni smaniosa di “spezzare le reni” a tutti, e non solo alla Francia nell’ennesimo caso scoppiato fra i due paesi vicini e alleati, è contraddetta persino dall’editorialista della stessa Repubblica Stefano Cappellini. Che, sia pure sotto un titolo sull’”azzardo presidenzialista”, definisce “lodevole” l’’iniziativa della premier di consultare le opposizioni perché -scrive- “troppo spesso negli ultimi anni i cambiamenti delle regole comuni sono partiti e arrivati con spudorati blitz di parte”.

Più di questa osservazione di Cappellini ha evidentemente influito sulla linea e sulla titolazione generale del giornale l’allarme dell’illustre collaboratore e presidente emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky contro “il piano di Meloni”, che “esalta l’odio sociale” e “divide il Paese”. “A me pare – dice il professore a Repubblica– che i presidenzialismi stiano dando pessima prova anche in Francia e negli Stati Uniti. E non è certo una soluzione per il nostro paese. Ci lamentiamo dell’odio sociale che pervade la società italiana. Il presidenzialismo, fondato sulla spaccatura del corpo elettorale in due fronti avversi, sembra fatto apposta per esaltare l’aspetto distruttivo. Una riforma costituzionale in questa direzione potrebbe alimentare un humus pericoloso”, che si avverte anche nell’”enfasi” della premier di destra “sulla parola nazione, l’uso martellante del termine italiani al posto di cittadini”. Zero, insomma, all’esame sommario cui è stata sottoposta la premier sostenitrice dell’elezione diretta o del presidente della Repubblica o del presidente del Consiglio. 

Ma oltre che con la Meloni, i suoi ministri, i suoi alleati, e i suoi elettori, Zagrebelsky se la prende con i propri colleghi costituzionalisti, colpevoli già dai tempi di Bettino Craxi a Palazzo Chigi e di Francesco Cossiga al Quirinale di avere abbassato la guardia democratica e culturale e di essere diventati “costituzionisti”. Che sono quelli -bacchettati da Zagrebelsky anche in in libro- al sostanziale servizio dei politici ponti a sacrificare la democrazia sull’altare della “governabilità”. 

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakrmag.it

Quel debole di Berlusconi, sotto sotto, tra simpatia e paura, per Vittorio Sgarbi….

Ospite a Stasera Italia, su Rete 4,  di una disincantata Barbara Palombelli -con un Alessandro Sallusti neppure lui sorpreso, ma curioso solo di sapere che cosa ne potesse pensare un ucraino sotto le bombe o in trincea- la bella Luisella Costamagna non credeva ai suoi occhi e alle sue orecchie vedendo e sentendo il sottosegretario Vittorio Sgarbi disinvoltamente d’accordo, da remoto, con l’assente e comune amico Michele Santoro contro la prosecuzione degli aiuti militari al Paese europeo aggredito dalla Russia di Putin. 

Non era la prima volta, l’altra sera, che Sgarbi prendeva quella posizione, anche a costo di rimediare qualche telefonata delle sue dalla premier Giorgia Meloni, che tanto lo volle in ottobre scorso nel proprio governo, pur conoscendone l’imprevedibilità sperimentata da chi lo aveva preceduto, con Silvio Berlusconi presidente del Consiglio, al Dicastero dei Beni Culturali: il povero Giuliano Urbani, rimastone letteralmente scioccato come ministro.  Mi dicono che ancora ora il professore ne parli, quando gli capita, mettendosi le mani nei pochissimi capelli rimastigli. 

L’altra sera però Sgarbi, più che mettersi sulle orme di Santoro contro la guerra in Ucraina che l’Italia e gli altri paesi occidentali, Stati Uniti in testa, starebbero prolungando troppo, con poche speranze peraltro di vincerla davvero, penso che avesse voluto mettersi in sintonia con Silvio Berlusconi. Del quale sono arcinote le sortite polemiche verso l’Ucraina e comprensive delle ragioni di Putin per essere qui inutilmente ripetute.  Una sintonia, questa con Berlusconi, pari alla concordanza di idee e di linguaggio appena verificata nei dovuti modi dal ministro degli Esteri Antonio Tajani prima di  protestare contro il ministro francese degli Interni, che aveva attaccato il governo italiano sul fronte dell’immigrazione. E di rinunciare clamorosamente per ritorsione ad un incontro di routine che avrebbe dovuto svolgersi dopo qualche ora a Parigi con l’omologa francese. Che, non potendosi scusare pubblicamente per l’imprudenza, a dir poco, del suo collega di governo, di cui riteneva che dovesse più opportunamente occuparsi il presidente Macron in persona, ha compreso la reazione di Tajani augurandosi di poterlo incontrare al più presto, ad incidente chiarito e composto. 

Andreottianamente convinto anche questa volta che a pensare male si fa peccato ma s’indovina spesso, se non sempre, ho avuto la sensazione -avvertita tuttavia da qualche tempo anche da buoni amici di Berlusconi di cui non faccio i nomi per non perderne la frequentazione- che Sgarbi sotto sotto sia un concorrente di Tajani nella successione al Cavaliere alla guida di Forza Italia. Naturalmente il più tardi possibile, come si dice in queste occasioni, sapendo che l’ex presidente del Consiglio sta sicuramente meglio, come dicono tutti, medici e visitatori, ma pur sempre ospedalizzato, almeno sino al momento in cui scrivo. Di suo è atteso, sempre mentre scrivo, non più di un messaggio da remoto alla fine della manifestazione elettorale di Forza Italia promossa dallo stesso Tajani in vista delle elezioni amministrative di questo mese. 

Ancora ieri sul giornale di Carlo De Benedetti  ottimisticamente chiamato Domani il politologo Piero Ignazi dedicava il suo editoriale al “declino di Berlusconi” e al suo “impatto sul governo” scrivendo, fra l’altro, con impietosa durezza che il suo partito “rischia una cannibalizzazione  interna a causa di uno scatenamento delle fiere della vanità”, non potendo “nessuno vantare un pedigree o un’autorevolezza tali da renderlo favorita/o”. Beh, Tajani con le cariche che ha, nel governo e nel partito, e con le ossa internazionali fattesi alla presidenza del Parlamento Europeo e nella Commissione di Bruxelles, non mi sembra francamente messo tanto male per una successione. Che avrebbe peraltro il vantaggio di essere tutta interna al partito fondato quasi 30 anni fa da Berlusconi per candidarsi alla guida di un governo dichiaratamente di centrodestra.  

Quella di Sgarbi, per tornare alla malizia o al retroscena di prima, sarebbe invece una successione da “Papa esterno”, essendo il percorso politico del celebre critico d’arte alquanto variopinto, pur nella indubitabile realtà di una lunga esperienza parlamentare cominciata con l’allora esistente Patito Liberale ma poi proseguita sempre con lo zampino, a dir poco, di Berlusconi. Che di Sgarbi personalmente non ho mai capito se lo ami di più per la simpatia che è riuscito a guadagnarsi o lo tema per le sorprese che sa riservare. 

Nella voce o capitolo “affiliazioni politiche” del mio amico Vittorio -a parte una lite che avemmo quando insultò in aula alla Camera la presidente di turno Mara Carfagna- ho trovato su Wikipedia 17 voci, compreso il “partito del Rinascimento” da lui creato nel 2007 con Mario Tremonti. Undici sono invece le condanne definitive da lui rimediate nell’esercizio della sua “irascibilità”, come la definisce sempre Wikipedia, due le assoluzioni e solo uno -incredibile- il procedimento giudiziario in corso. E tutto questo, senza contare tutti gli incarichi ricoperti come politico nazionale, amministratore locale e dipendente pubblici, all’età di soli 71 anni che compirà dopodomani, 8 maggio. Auguri, Vittorio. 

Pubblicato sul Dubbio

Ripreso da http://www.startmag.it il 7 maggio

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