Conte non vuole confondersi con la Schlein alla manifestazione sindacale contro il decreto lavoro

Tornato ormai alla sua pochette, anche nei cinque minuti dedicatigli ieri sera da Bruno Vespa dopo il Tg1, Giuseppe Conte tiene a smarcarsi più che a confondersi con la nuova segretaria del Pd Elly Schlein. Che non lo troverà al suo fianco, ma neppure a distanza, nella manifestazione sindacale di dopodomani a Bologna contro il “decreto lavoro” approvato dal governo il 1° maggio. “Salta la foto con Schlein”, titola oggi all’interno la Repubblica dopo avere annunciato in prima pagina il rifiuto dell’ex presidente del Consiglio di partecipare personalmente al raduno.

Il MoVimento 5 Stelle dovrebbe essere rappresentato a livello minore. E neppure sul palco, avendo il segretario generale della Cisl Luigi Sbarra tenuto a raccontare ieri, in una intervista alla stessa Repubblica, che “quando abbiamo programmato la mobilitazione, abbiamo concordato unitariamente che vi saliranno solo i sindacalisti”. Niente politici, quindi, perché il sindacato -ha dovuto precisare anche il segretario generale della Cgil Maurizio Landini- non fa parte dell’opposizione al governo, di cui pure contesta il decreto, secondo lo stesso Landini, non del lavoro ma della precarietà, dell’arroganza e altre nequizie. 

Conte, la cui civetteria o eleganza- come la chiamano gli estimatori- non è ancora arrivata al punto di fornirsi di un armonocromista, né uomo né donna, come la nuova segretaria del Pd, ha capito che -con questa storia appunto raccontata dall’interessata alla rivista di moda Vogue, pur nel contesto di una lunghissima intervista notata anche politicamente solo per questo passaggio glamour- a sinistra con la Schlein non andrebbe lontano. Egli alterna tentazioni di scavalcarla in quella direzione, come ha già fatto sul terreno della politica estera e, più in particolare, della guerra russa ad una Ucraina che non andrebbe più aiutata a resistere, o di riposizionare il MoVimento 5 Stelle persino verso il centro. Come qualche giorno fa lo ha considerato capace di fare uno storico e un politologo di una certa competenza come Paolo Mieli sul Corriere della Sera. 

D’altronde, da quelle parti convinzioni molto radicate o fideistiche non sono mai state nutrite, viste le opposte alleanze praticate nella scorsa legislatura. Basta affacciarsi oggi, come ho appena fatto, al blog personale di Beppe Grillo, garante e al tempo stesso consulente retribuito del MoVimento da lui stesso fondato nel 2009, per trovare una vignetta del solito Davide Charlie Ceccon in cui si consiglia, fra l‘altro, a chi ha fede “una tac al cranio per vedere se ha il cervello”. Ma in caso di referto positivo a considerare quella tac come “una colonscopia”. 

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Renzi piega il Riformista alla sua persona correggendone la testata

Sotto quel “viso aperto”con cui Matteo Renzi ha voluto titolare il suo primo editoriale del giornale affidatogli dall’editore Alfredo Romeo -napoletano come il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, poi vi dirò perché- c’è un decalogo del riformista, al minuscolo, che mi ha ricordato la celebre poesia di Rudyard Kipling tenuta sempre da  Indro Montanelli nei cassetti della sua scrivania, a volte anche sopra per ispirarvisi meglio. Si chiama If, il se inglese, ed elenca le condizioni alle quali uno che la legge può considerarsi un uomo, “figlio mio”, conclude l’autore. 

Anche il riformista di Renzi -parafrasando un pò Kipling- potrà sentirsi tale se saprà, fra l’altro, “sognare senza fare del sogno il suo padrone,  se saprà pensare senza fare del pensiero il suo scopo, se potrà confrontarsi con Trionfo e Rovina e trattare allo stesso modo questi due impostori, se riuscirà a sopportare di sentire le verità che ha detto distorte dai furfanti per abbindolare gli sciocchi…

Sicuramente Renzi riuscirà a sorprendere anche nella sua avventura giornalistica, peraltro consequenziale all’avventura politica. Già egli deve avere sorpreso l’editore ritoccando la testata per adattarla meglio a se stesso con quella erre sbilenca e rossa al posto di quella nera e dritta delle origini: una erre più come Renzi, appunto, stampato sotto con tanto di nome e qualifica. Ma non vorrei che strada facendo Romeo facesse come il suo già ricordato conterraneo Napolitano. Che al Quirinale, pur apprezzando la riforma costituzionale varata da Renzi alla guida del governo, si mise le mani fra i capelli che non aveva assistendo alla gestione personalissima -o personalistica, come preferite- della campagna referendaria sfociata nella bocciatura. Alla quale contribuirono personalità che più diverse fra loro non potevano essere: da Silvio Berlusconi a destra, o al centro, come preferite, a Massimo D’Alema a sinistra. Che però -va riconosciuto anche questo- si erano già trovati a convergere ai tempi di una delle tante commissioni bicamerali sulle riforme costituzionali.

Renzi è uomo di grandi svolte e controsvolte rottamatrici. Ne sa qualcosa l’ancora stordito -penso- Giuseppe Conte, da lui aiutato nel 2019 a sottrarsi al bagno delle elezioni anticipate, perseguito dall’allora alleato leghista di governo Matteo -pure lui- Salvini, ma spinto già l’anno dopo verso la crisi che gli avrebbe fatto perdere Palazzo Chigi a vantaggio di Mario Draghi. Cerca di tenergli testa, sulla strada delle sorprese, e nella gestione del cosiddetto terzo polo, il suo ex ministro, ambasciatore e non so cos’altro Carlo Calenda. Ma temo, per quest’ultimo, con poche possibilità di uguagliarlo davvero, o addirittura superarlo, specie ora che Renzi col suo Riformista, e con quella erre piegata verso il suo nome, riuscirà a far parlare ancora più di sé. E a lasciare gli altri col fiato sospeso a seguirlo in una traiettoria di cui si conosce sempre l’inizio, mai la fine. 

Pubblicato sul Dubbio

Ripreso da http://www.startmag.it il 6 maggio

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