Nella Roma blindata, e fortunata, della visita di Zelensky al Quirinale, Palazzo Chigi e Vaticano

Reale o esagerata che sia la “Opzione vaticana” gridata da Repubblica, o quella preferita dalla Stampa dell’”asse Vaticano-Colle”, si può ben essere indulgenti, una volta tanto, verso i disagi di una Roma blindata per la visita del presidente ucraino Voldymir Zelensky, impegnato fra Quirinale, Palazzo Chigi e Santa Sede. Come si diceva una volta della pioggia, prima che non esagerasse anch’essa sia a cadere sia a non cadere, potremmo anche parlare di festa blindata festa fortunata, anziché di festa bagnata festa fortunata, con l’allegria o la fiducia delle rime. Figuriamoci poi se la festa è blindata e bagnata insieme, come oggi nella Capitale.

Caso o non caso, certo è che Zelensky – il “nazista” di cui Putin voleva liberarsi l’anno scorso in pochi giorni per sostituirlo con “persone perbene”, secondo l’infelice espressione di un Silvio Berlusconi che voleva sembra informato e insieme comprensivo verso l’amico di Mosca- scorazza a suo modo per Roma mentre i russi scappano in Ucraina da Bachmut, pur dopo averla messa a ferro e fuoco. 

Se gli ucraini non fossero stati tempestivamente e seriamente aiutati dagli occidentali, compresa l’Italia governata prima da Mario Draghi e poi da Giorgia Meloni, in una continuità tanto sorprendente per molti quanto felice, a quest’ora Zelensky non sarebbe forse neppure vivo e a Roma non si potrebbe parlare e persino lavorare per la pace, essendo già caduta tutta l’Ucraina sotto il dominio russo. 

Neppure i vignettisti dei giornali italiani avrebbero potuto e potrebbero divertirsi. Com’è accaduto ieri a Stefano Rolli, sul Secolo XIX, rappresentando Zelenscky smanioso di farsi prestare dal Papa le Guardie Svizzere, e oggi a Emilio Giannelli, sulla prima pagina del Corriere della Sera, immaginando l’ospite ucraino perquisito da due preti prima di incontrare “Sua Santità” che -dicono due monsignori- “si è raccomandato: niente armi!”. Una Santità, peraltro, reduce dall’esperienza dell’incontro, ieri, con la premier italiana vestita quasi alla stessa maniera e in straordinaria confidenza. 

Benvenuto quindi a Roma al presidente proveniente da Kiev. O “Welcome, mr Zelensky”, come lo hanno salutato in rosso quelli del Foglio “orgogliosi -nel titolo- del sostegno italiano all’Ucraina, nonostante Salvini”, per contenersi nella maggioranza e non occuparsi pure dell’opposizione divisa fra il si perdurante del Pd, anche della Schlein, e il no dei grillini e frattaglie di sinistra. 

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Incredibile attacco a Mattarella per il richiamo ai complici dei terroristi

Reduce da un convegno su Aldo Moro in cui era stato uno dei relatori e motivato dall’intervento di un “Tizio” -ha scritto lui stesso- intervenuto fra il pubblico per evocare i complici appena lamentati dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella parlando al Quirinale ai familiari delle vittime del terrorismo, Domenico Cacopardo ha sferrato un duro attacco al capo dello Stato su ItaliaOggi.  Di cui è collaboratore da tempo, e dove ha condiviso la necessità sostenuta dal “Tizio” di fare finalmente i nomi di quanti tradirono lo Stato negli anni di piombo. 

“Mattarella -ha scritto Cacopardo, 87 anni compiuti in aprile, già magistrato e collaboratore, con incarichi anche di Gabinetto, di ministri e presidenti del Consiglio di quando lavorava, da Massimo D’Alema a Giovanni Spadolini in ordine alfabetico- ha ancora una volta sbagliato. Nell’interpretare le sue funzioni e nello svolgerle, Lui è stato eletto presidente della Repubblica, e quindi non può fare proprie le parole in libertà che sono circolate e circolano in giro pr il Paese, si tratti di Brigate rosse, si tratti di mafia. E la sua insinuazione è in sostanza manifestazione di un permanente sospetto, più volte dichiarato non rispondente alla realtà dei fatti dalla Cassazione. Vedi il caso di Mario Mori e collaboratori”. 

Ma si tratta appunto del generale Mori e dei collaboratori appena assolti in via definitiva dall’accusa di essere stati partecipi della mafia nelle fantomatiche trattative per strappare concessioni allo Stato con le stragi. Qui, a proposito del discorso di Mattarella al Quirinale, si tratta di Moro, al singolare, che nel 1978 i brigatisti rossi riuscirono a catturare fra il sangue della scorta, in una mattanza per strada, e ad uccidere poi anche lui, come un cane nel bagagliaio di un’auto, dopo 55 lunghissimi giorni di prigionia in un covo promosso dai carnefici a “carcere del popolo”.

“Mattarella -ha insistito Cacopardo- è il capo dello Stato e non un Travaglio qualsiasi. E ha quindi il dovere, nel pronunciare determinate frasi, di farle seguire da fatti concludenti, cioè da riferimenti precisi e circostanziati che confermino le sue generiche parole. Altrimenti, ricorda tanto il vizio parlamentare (e palermitano) di mascariare senza aggiungere un briciolo di prova. Ed è giunto il momento che lo faccia: parli chiaro e cessi con le allusioni”. Di cui quindi avrebbero  ragione a lamentarsi anche i terroristi ancora vivi, e fermi nel sostenere di avere voluto e saputo fare tutto da soli nei terribili anni di piombo.

Trovo alquanto stravaganti questi soccorsi, volenti o nolenti, a parole anch’essi, prestati a tanta e tale gentaglia, anche a costo di attaccare un presidente della Repubblica peraltro palermitano d’anagrafe, vista la citazione della città siciliana fatta tra parentesi da Cacopardo. Il quale non è il solo, fuori e dentro i giornali, a pensarla così di Mattarella, anche se è stato il solo a scriverlo così esplicitamente e duramente. Non ho parole per commentare. Le lascio all’immaginazione dei lettori, sulla cui sagacia scommetto, specie se anziani abbastanza per avere vissuto quegli anni terribili prodotti con le loro sole presunte forze dai terroristi. 

Pubblicato sul Dubbio

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