
Diavolo di un uomo, ancora una volta, Silvio Berlusconi è riuscito con i suoi 21 minuti di messaggio audiotelevisivo di sabato al “popolo azzurro”, radunato per lui dal reggente Antonio Tajani, a fare concorrenza mediatica persino alla contemporanea incoronazione di Carlo III a Londra. Che è un sovrano arrivato al trono a più di 74 anni contro i 58 che Silvio Berlusconi aveva quando creò con Forza Italia la sua personale monarchia politica. Anzi, personalissima, destinata ormai -per opinione praticamente unanime degli addetti ai lavori- a estinguersi con lui. E naturalmente il più tardi possibile, anche se il Cavaliere fatica ormai a parlare e può indossare camicia e giacca solo in una stanza d’ospedale trasformabile all’occorrenza in un set televisivo. Quel più tardi possibile se lo augurano sorprendentemente anche molti dei suoi vecchi avversari, o concorrenti.

Messasi pure lei “sull’asse Londra-Roma”, scendendo da Milano al centro del potere politico italiano, Flavia Perina ha salutato sulla Stampa “il ritorno in scena di un re anziano, malato, da un mese in ospedale” ma “reincononatosi convinto di non poter essere sostituito, di avere ancora un pezzo di storia da scrivere e da interpretare”. E lo ha scritto senza l’acrimonia con la quale da direttrice del Secolo d’Italia di tradizioni missine lei forse condivideva l’insofferenza di Gianfranco Fini nella coalizione di centrodestra. Dove pure Berlusconi lo aveva sdoganato nel passaggio dalla cosiddetta prima alla seconda Repubblica.

Sul Corriere della Sera Paola Di Caro ha trovato e definito “semi-divina”, letteralmente, “l’apparizione” dell’ex presidente del Consiglio ad una platea di “santi laici” da lui stessi canonizzati per diffondere la sua “religione”. Su Repubblica, quella di carta, Corrado Augias si è fatto prendere da una dichiarata “commozione”, pari solo a quella procuratagli dalla lunga, drammatica confessione di Michela Murgia al Corriere sui mesi di vita che le ha lasciato un tumore senza incattivirla. Salvo che per quell’”augurio” espresso di vedere prima di morire la caduta della fascistona o fascistissima Giorgia Meloni. La quale naturalmente non s’è lasciata scappare l’occasione, unendo l’utile al dilettevole di una reazione signorile, per augurare alla Murgia di sopravvivere davvero, e di molto, alla lunga vita del suo primo governo.

Se Augias è rimasto “commosso”, la cronista di Repubblica da Milano Brunetta Giovara ha registrato con scrupolo, se non condivisione, “le lacrime di gioia” provocate da Berlusconi ai suoi fedeli come “un vecchio parente che si temeva morituro e invece “eccomi qui”. Non “rieccomi”, come Montanelli faceva dire a Fanfani sollevatosi da una caduta. E non si tratta di lacrime da pietà, ma da “carisma”, perché “c’è chi ce l’ha e chi no”. Lui evidentemente sì.

Se la cronaca su un giornale come Repubblica è stata questa, con tanto di nomi e cognomi e località d’origine degli azzurri estasiati o piangenti avvicinati per raccoglierne una dichiarazione, o solo un sospiro, l’analisi non è stata da meno. “Silvio Berlusconi -ha scritto Stefano Cappellini sotto la stessa testata- riappare ai suoi fedeli e l’evento si fa subito volutamente messianico. Forza Italia, “la nostra religione laica”, così dice il Cavaliere; gli azzurri, “i santi laici degli italiani”, il racconto della fondazione del partito offerto ai discepoli come una parabola: la cacciata dei comunisti dal tempio. Quasi un’autocanonizzazione, una Trevignano liberale dove si cita Benedetto Croce anzichè la Madonna”. “In compenso non si vedono grandi tracce né dell’uno né dell’altra”, ha aggiunto l’analista come per riscattarsi dopo tanto abbandono mistico.


Berlusconi insomma ha saputo fare miracoli anche o soprattutto con quel fiato sospeso, con quella voce a tratti impercettibile, con quei sorrisi tirati dallo sforzo fisico. Per una volta i suoi abituali critici e avversari non lo hanno messo in croce con quei comunisti che ha continuato un pò a vedere dappertutto anche trent’anni dopo averli sconfitti e averne seguito il passaggio da un partito all’altro, da una sigla all’altra. Gli unici che ancora lo trattano come un demonio, uno stragista mafioso riuscito a farla franca, come diceva almeno una volta Pier Camillo Davigo degli imputati assolti o degli inquisiti archiviati, sono quelli naturalmente del Fatto Quotidiano. Dove temo che quando Berlusconi morirà davvero, come capita prima o dopo a chiunque sia nato, o quando Alessandro Sallusti avrà smesso di scrivere che “bene o male Forza Italia c’é”, come da un titolo un pò riduttivo di domenica su Libero, avranno solo da chiudere bottega. Senza neppure scherzare, come nella “cattiveria” di ieri in prima pagina, sui “santi della libertà sparsi tra San Vittore e San Raffaele”. E non avere il tempo di cercarsi un altro diavolo davvero da promuovere alla loro ossessione. Matteo Renzi e Giorgia Meloni non saranno sufficienti a motivarne la combattività esasperata.
Pubblicato sul Dubbio
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