
Ciascuno fa a suo modo la caccia agli indizi per capire, intuire, scoprire e annunciare le volontà più segrete dell’uomo che è ormai diventato il più gettonato nella corsa al Quirinale. La quale è in corso nonostante tutti i tentativi di negarla o nasconderla per non mancare di riguardo -dicono i poveri ingenui- al povero Sergio Mattarella. Del quale peraltro essi mostrano di avere ben poca considerazione se pensano che egli non abbia esperienza, acume e persino ironia più che sufficienti per avvertire da solo quanti siano e quanto siano al lavoro, a cominciare da quelli che gli fanno i salamelecchi d’ufficio e non, dentro e fuori il Quirinale, gli aspiranti alla successione, sempre che lui naturalmente -a sentire loro stessi- non si converta allo scenario di una personale e provvisoria conferma. Cioè per il tempo sufficiente a fare eleggere il presidente dal Parlamento di sicuro più rappresentativo di questo ammuffito in carica, attendendone l’esaurimento ordinario nel 2023, quando peraltro avranno ben maturato il vitalizio i 345 fra deputati e senatori destinati a non tornare né alla Camera né al Senato per mancanza di seggi e di voti: gli uni tagliati con una riforma di cui temo che siano più i pentiti che i contenti, gli altri perduti dai partiti in questi ultimi anni a furia di inseguirsi e di confondersi provocando le vertigini a chi se ne fidò nelle urne del 2018.
Al Tempo, che dispone di un direttore bravo come pochi a scrutare nelle carte del Parlamento e dei Ministeri senza violare peraltro alcuna disposizione di legge, e togliendosi ogni tanto la soddisfazione di smentire quanti osano contestarne le rivelazioni, hanno fotografato anche con una bella immagine e un bel titolo allusivo la decisione presa da Draghi di aumentare la propria visibilità. Che non guasta certo in una gara come quella del Quirinale. Ed ha anche il vantaggio di costare appena 38 mila euro, quanti a Palazzo Chigi ne hanno stanziati il 18 ottobre scorso per pagare l’artigiano che alzerà nella sala pulifunzionale della Presidenza del Consiglio la pedana delle conferenze stampa, in modo da permettere a cbi parla di essere visto e ripreso meglio. Non siano mica ai tempi ancora di Amintore Fanfani, che ai congressi della Dc e sui palchi dei comizi in piazza si aiutava con libri, sgabelli e simili a farsi vedere di più. O a quelli di Silvio Berlusconi con i tacchi presumibilmente adattati alle proprie scarpe per essere visto meglio.

Nella già vasta letteratura delle gare al Quirinale ci era stata risparmiata sinora la parte sul costo di una scalata, essendo sembrato sufficiente ai soliti cacciatori di teste e di nequizi dilungarsi sui costi del Quirinale in sé, molto più alti di palazzi analoghi all’estero al sevizio della politica e del suo protagonista di turno. Fedele alla tradizione della propria sobrietà, maggiore persino di quella che sembrò nel 2011 imbattibile di un Mario Monti avvolto a Palazzo Chigi e dintorni nei suoi loden di ordinanza, al netto tuttavia del lauto laticlavio accordatogli a Palazzo Madama dal generoso presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, al buon Draghi va riconosciuto il merito di avere programmato poche decine di migliaia di euro per migliorare le prestazioni fotografiche e televisive di presidente del Consiglio. E quelle di chi, se lui dovessse davvero salire poi al Quirinale, ne prenderà prevedibilmente il posto a Palazzo Chigi, e su quel palco: il fidato e fedele Daniele Franco, felicemente sopravvissuto per fortuna al Ministero dell’Economia dopo le purghe dei burocrati minacciate dal portavoce un po’ robesperriano di Giuseppe Conte alle prese col bilancio del suo primo governo gialloverde.
Rispondi