Matteo Renzi da regista a vittima delle corse al Quirinale

Incidenti di corsa al Quirinale, chiamiamoli così. Sono quelli che accadono ai malcapitati che cercano di fare troppo i furbi, o si trovano involontariamente in mezzo al fuoco tra concorrenti occulti che sparano come cecchini all’impazzata. Quello che sta rischiando di più in questi giorni sembra Matteo Renzi. Che di guai ne ha già tanti, fra magistrati e cronisti giudiziari alle prese con i suoi conti correnti, e si è trovato alla fine coinvolto in un gioco forse più grande dei suoi soliti, che sono pure di notevole consistenza anche politica, come dimostra la ripetuta rivendicazione che si attribuisce del merito di avere fatto arrivare a Palazzo Chigi Mario Draghi. Il quale, in verità, risulta mandatovi da Sergio Mattarella. Di cui, è vero, Renzi a sua volta può ben vantarsi -cioè non a torto- di essere stato il regista, il promotore e quant’altro dell’elezione al Quirinale nel 2015, senza tuttavia riuscire l’anno dopo, quando perse il referendum troppo personalizzato su una pur apprezzabile riforma costituzionale, a strappargli lo scioglimento anticipato delle Camere che gli serviva a investire bene il 40 per cento dei voti comunque raccolti. E non solo Dio, ma anche lui sa quanto gli costò il no oppostogli da Mattarella d’intesa con Paolo Gentiloni, nel frattempo succeduto a Renzi come presidente del Consiglio su sua stessa, forse non del tutto felice designazione.

Titolo del Fatto Quotidiano

Ma torniamo ai giorni nostri. Coinvolto non so francamente con quanto fondamento nella partita del Quirinale in corso da Marcello Dell’Utri, che ne avrebbe raccolto direttamente o indirettamente la disponibilità -naturalmente accreditata dal Fatto Quotidiano e dintorni- a fare votare dalla cinquantina di parlamentari di cui dispone un Berlusconi che avesse davvero qualche possibilità di essere eletto per la successione a Mattarella, Renzi si sente adesso assediato dai vecchi e nuovi nemici, in toga e senza toga, per finire politicamente ammazzato, o quasi.

Titolo del Giornale
Titolo del Corriere della Sera

“C’è un piano anti-Renzi per spaccare Italia Viva”, ha titolato solidaristicamente Il Giornale della famiglia Berlusconi. “Italia Viva perde pezzi?”, si è chiesto il Corriere della Sera anticipando che sarebbero almeno in cinque i parlamentari pronti a lasciarlo. “Gli eletti in subbuglio: mai con la destra”, ha titolato il manifesto. “Renzi disperato”, ha esultato il giornale di Marco Travaglio parlando anche d’altro.

Marina Berlusconi al Corriere delle Sera di ieri

Di fronte a tanto chiasso politico e mediatico, chiamiamolo così, si rimane quanto meno sconcertati a rileggere ciò che non più tardi di ieri ha detto al Corriere della Sera la figlia di Berlusconi, Marina, a proposito della corsa del padre al Quirinale che starebbe così inguaiando Renzi. “Mio padre -ha detto la presidente di Mondadori e di Fininvest a Daniele Manca, che per telefono aveva sollevato il tema come un inciso nella prospettiva delle fortune che attendono l’Italia in genere- non ha mai avanzato la sua candidatura. E quindi stiamo ai dati di fatto”. E’ una parola, in questo strano paese che continua ad essere l’Italia, anche con uno come Mario Draghi a Palazzo Chigi, stare appunto ai dati di fatto.

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Quel martirio ancora censurato di Giovanni Leone a 20 anni dalla morte

In una foto d’archivio Giovanni Leone fra Aldo Moro e Francesco Cossiga
Giovanni Leone ai funerali di Aldo Moro celebrati da Paolo VI

Né i 43 anni passati dalla tragedia di Aldo Moro né i 20 anni appena trascorsi dalla morte di Giovanni Leone -l’amico di Moro e presidente della Repubblica che, dissentendo dalla cosiddetta linea della fermezza, aveva disperatamente tentato di evitarne la fine, sino a  predisporre la grazia per una terrorista inclusa nell’elenco dei tredici “prigionieri” con i quali gli aguzzini avevano proposto di scambiare il presidente della Dc sequestrato fra il sangue della sua scorta-  sono dunque bastati a restituire tutto ciò che spetta alla memoria di quel cristianissimo capo dello Stato. Che Sergio Mattarella ha commemorato in presenza dei familiari, a cominciare dalla vedova Vittoria, invecchiata con tutto il suo permanente dolore, solo per cogliere -temo-  l’opportunità politica di riproporre un tema legatissimo alla cosiddetta corsa al Quirinale.

In particolare, Mattarella ha voluto ricordare la contrarietà di Leone alla immediata rieleggibilità del capo dello Stato, espressa in un messaggio alle Camere, per ribadire la propria indisponibilità ad una conferma, sia pure implicitamente a termine, come quella già praticata al predecessore Giorgio Napolitano nel 2013, che molti auspicano per le circostanze eccezionali in cui sta maturando la sua successione. Che avviene in un Parlamento prossimo anch’esso alla scadenza, nel 2023, e destinato ad essere sostituito da Camere assai diverse per consistenza -ridotte di un terzo dei seggi- e per rapporti politici, essendo i grillini passati dalla maggioranza relativa del 2028 a poco più del 15 per cento dei voti.

C’è anche chi ha visto in questo richiamo di Mattarella a Leone una mezza disponibilità a rivedere il rifiuto di una conferma purché serva a definire nell’anno residuo della legislatura una risolutiva modifica della Costituzione per sancire da una parte la ineleggibilità immediata del capo dello Stato e dall’altra l’abolizione -come volevano Leone ma anche Antonio Segni- del cosiddetto semestre bianco. Che attualmente impedisce al presidente nell’ultima parte del proprio mandato di sciogliere le Camere, nel timore di procurarsene altre favorevoli alla sua conferma.  

Se così fosse, cioè se si potesse arrivare ad una breve conferma di Mattarella per sciogliere finalmente anche questo nodo costituzionale, consentendo al tempo stesso la prosecuzione del governo di emergenza in carica presieduto dal benemerito Mario Draghi, senza coinvolgere quindi anche lui nella corsa al Quirinale, come si sta cercando di fare con le più diverse e anche contrastanti finalità, sarebbe davvero un affare.

La partenza di Giovanni Leone dal Quirinale dopo le dimissioni

Ma torniamo a Leone. Capisco l’opportunità contingente di richiamarsi a lui per una migliore definizione costituzionale dell’elezione del presidente della Repubblica. Capisco meno, anzi per niente, l’opportunità scartata, o non avvertita, da Mattarella di restituire a Leone il riconoscimento di avere subìto non solo una odiosa campagna diffamatoria e moraleggiante, purtroppo sfociata nelle  dimissioni, anticipate di sei mesi rispetto alla scadenza, ma anche l’infame strumentalizzazione fattane dalla politica dominante di quei tempi, contrassegnata dalle convergenze fra la Dc e il Pci,  per fargli pagare la “colpa” di non essersi attenuto alla cosiddetta linea della fermezza sul sequestro Moro. Se ne volle l’allontanamento dal Quirinale per togliergli o ridurne la credibilità morale semmai avesse voluto manifestare più chiaramente e clamorosamente il suo dissenso dalla gestione di quella che resta la più grave e misteriosa tragedia della Repubblica italiana.  

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