La finta calma di Conte nella piazza pulita e privata di Cairo

Il titolo del Corriere della Sera di ieri

A vedere e sentire Giuseppe Conte – rigorosamente a Piazza Pulita, la trasmissione di Corrado Formigli su la 7, presentato nel telegionale della stessa rete di Urbano Cairo dal direttore Enrico Mentana con l’avvertenza ironica che “non è la Rai”, preclusa ai grillini dal capo del MoVimento 5 Stelle per ritorsione contro le ultime nomine non concordate con lui- sembrava davvero un uomo calmo, tranquillo, per niente nervoso come lo avevano rappresentato di mattina un po’ tutti i quotidiani.  “L’ira di Conte”, aveva titolato in prima pagina il Corriere della Sera riferendo sulla guerra appena dichiarata dall’ex presidente del Consiglio al cavallo pur dichiaratamente “morente” dello scultore Francesco Messina che troneggia davanti alla sede dell’azienda, in viale Mazzini.

Luigi Di Maio

Ma era tutta una posa, dietro alla quale il nervosismo c’era, eccome. E ancor più che nei riguardi della Rai, e del suo amministratore delegato Carlo Fuortes,  verso l’assente ma ugualmente incombente Luigi Di Maio, citato dal conduttore come dissidente, appena dichiaratosi pronto anche lui ad andare in qualche rete privata ma solo per “par condicio”, essendo stato già troppe volte negli studi della tv pubblica un po’ come ministro degli Esteri e un po’ come autore di un’autobiografia fresca ancora di stampa, dedicata al suo “amore”, addirittura, per la politica. “Lui è presidente del comitato di garanzia”, ha ricordato Conte come per dirgli che sarebbe ora la finisse di impicciarsi d’altro fuori e dentro il movimento. Ma “garanzia” è una parola grossa, che si può intendere in tanti modi.

Marco Travaglio oggi sul Fatto Quotidiano

Più esplicitamente o visceralmente, dopo avere già alluso il giorno prima alle frequentazioni conviviali dell’amministratore della Rai, corso di recente con un centinaio di invitati alla festa di compleanno dell’ingombrante piddino Goffredo Bettini, rileggete con me quello che ha scritto oggi nell’editoriale del Fatto Quotidiano Marco Travaglio su ciò che è accaduto alla Rai. Dove, in particolare, il direttore del Tg1 Giuseppe Carboni è stato sostituito da Monica Maggioni. “Le intenzioni di Draghi -ha scritto Travaglio prendendosela direttamente col presidente del Consiglio- le conosciamo: dare a Conte e a 11 milioni di elettori l’ennesimo schiaffo, che il premier può permettersi grazie al filo diretto con i governisti ad oltranza Grillo e Di Maio. Un’operazione di regime che taglia fuori da tg e gr il partito di maggioranza relativa”.

Bene avrebbe dunque fatto Conte, in dissenso -ripeto- da Grillo e Di Maio, ormai zerbini di Draghi e del Pd, a protestare e ordinare di tenersi lontani dalla Rai, come ai tempi in cui i pentastellati erano ignorati e boicottati dall’azienda pubblica ma proprio per questo premiati nelle urne dagli elettori: i famosi 11 milioni di marzo del 2018, ai quali peraltro lo stesso Conte era stato proposto da Grillo e Di Maio come il semplice ministro dell’ennesima riforma burocratica di un governo monocolore. Mancato il quale per la insufficienza di pur tanti voti, i leghisti prima e il Pd poi ritennero che Conte potesse fare il presidente del Consiglio.

Titolo di Libero

Immagino i gesti scaramantici che l’interessato, dopo tanto incoraggiamento da parte del solito Travaglio, avrà opposto questa mattina alla profezia di Vittorio Feltri su Libero con questo titolo: “Per far dispetto alla Rai Giuseppe sceglie il suicidio”. Lunga vita, per carità, all’ex presidente del Consiglio, anche nelle nuove dimensioni politiche che gli elettori gli assegneranno, perché prima o dopo essi torneranno pur a votare.

Ripreso da http://www.startmag.it

La Rai sopravviverà anche alla guerra dichiaratale da Giuseppe Conte

Titolo del Dubbio
Ettore Bernabei

           La buonanima di Ettore Bernabei era convinto, in perfetta buona fede, per carità, di avere reso la Rai nella lunga stagione nella quale la diresse lo specchio dell’Italia, per quanto egli fosse notoriamente e orgogliosamente l’uomo di fiducia di Amintore Fanfani: un leader politico tutto tondo, come pochi altri del suo tempo, e perciò capace di attirare attorno a se grandi entusiasmi e altrettanto grandi avversioni. Egli mancò il Quirinale nel 1971 solo perché parte consistente della sinistra e del suo stesso partito, la Dc, lo aveva scambiato, a torto o a ragione, per una potenziale edizione italiana del generale francese Charles De Gaulle, morto l’anno prima. “Una cosa semplicemente ridicola”, mi disse dopo qualche anno sul terrazzo di casa, a Roma, parlando di quella vicenda e scherzando lui stesso sulla propria statura fisica con uno dei suoi pennelli da pittore calato giù di fretta dalla testa al ginocchio. “Nano maledetto, non sarai mai eletto”, aveva scritto un parlamentare sulla scheda che il presidente della Camera Sandro Pertini aveva dichiarato “nulla” omettendo civilmente di leggerla, ma con Fanfani sedutogli accanto come presidente del Senato, terreo in viso per l’inaspettato insulto.

Amintore Fanfani alle urne

           Il fatto è che Fanfani, e di riflesso il buon Bernabei, era convinto di essere il prototipo del buon italiano. Come Gianni Agnelli avrebbe preso l’abitudine di dire che gli interessi della sua Fiat coincidevano con quelli del Paese, così i fanfaniani pensavano dei rapporti fra il loro leader e l’Italia. Erano, fra l’altro, i tempi in cui la Dc riusciva a portare alle urne con gli altri partiti un bel po’ di elettori raccogliendone la maggioranza davvero: mica come i partiti di oggi, a cominciare dai grillini. Che ancora parlano, come ha appena fatto Giuseppe Conte, degli undici milioni di voti raccolti nel 2018 ritenendo di averli ancora in tasca tutti,  e di doverli rappresentare uno per uno, nonostante i deputati e i senatori persi nel frattempo per strada.

Il cavallo morente della Rai nella caricatura del Fatto Quotidiano
Monica Maggioni, nuova direttrice del Tg1

           Bernabei, per tornare a lui, riuscì a fare della Rai  semplicemente lo specchio più della politica dei suoi tempi che del Paese. Che poi, a pensarci bene, è la stessa cosa, di per sé naturale, non disdicevole. Il guaio è che la politica nel frattempo è scesa di qualità e quantità, portandosi appresso tutto il resto. Capita pertanto che in un’azienda complessa come quella di viale Mazzini, specchio davvero della politica, si possa, anzi si debba assistere allo spettacolo di un ex presidente del Consiglio che le dichiara “guerra”, come hanno titolato un po’ tutti i giornali, ordinando agli uomini e alle donne del suo movimento di disertarne i canali per avere praticamente subito il presunto torto politico – in un avvicendamento di cariche interne- di vedere sostituire alla direzione del Tg1 Giuseppe Carboni, nominato ai suoi tempi di Palazzo Chigi, con Monica Maggioni. Il cui curriculum professionale non meritava e non merita francamente questa gaffe politica, a dir poco, di un ex -ripeto- presidente del Consiglio in rivolta. Al quale si sono aggiunti i soliti tifosi delle curve di carta attribuendo con titoli, fotomontaggi e simili alla Maggioni paternità e maternità politiche di segno piddino, e in particolare di tendenza Paolo Gentiloni: un altro ex presidente del Consiglio, ora commissario europeo e- incidentalmente- tra i quirinabili possibili o immaginari.

Giuseppe Conte

            Inorridisco, francamente, di fronte a questo spettacolo, per quanto ne abbia viste, sentite e persino vissute, attorno e nella stessa Rai, ma anche nel campo più generale dell’informazione, di tutti i colori. Inorridisco ancora di più se penso agli effetti già annunciati o minacciati di questa “guerra alla Rai” da parte di Conte sulla cosiddetta corsa al Quirinale. Che pure sembrava appena rischiarata dallo stesso Conte proponendo di mettere nel paniere negoziale della parte residua di questa anomala legislatura – “la più pazza del mondo”, si è detto e scritto da molti- qualche buona modifica alla Costituzione.

               Sarebbe bastato e ancora basterebbe inserirvi la non rieleggibilità immediata del capo dello Stato e l’abolizione del divieto impostogli di sciogliere le Camere nell’ultimo semestre del suo mandato, entrambe auspicate dal presidente uscente con i suoi recenti richiami alle proposte analoghe avanzate dai predecessori e colleghi di partito Antonio Segni e Giovanni Leone, per chiudere nel migliore dei modi la partita quirinalizia diversamente esposta al rischio del caos. Mattarella potrebbe accettare una conferma davvero ultima ed eccezionale per garantire una simile riforma, lasciare la propria successione al nuovo e più legittimato Parlamento e garantire infine la prosecuzione del governo di Mario Draghi in un’emergenza pandemica per niente finita. Il classico uovo di Colombo, come l’ho già definito, che non vorrei fosse già stato rotto dallo stesso Conte in una crisi pur politica di nervi contro la solita lottizzazione ….degli altri. Le proprie, si sa, sono sempre migliori.

Pubblicato sul Dubbio

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