Di Maio, al solito, corregge e spiazza Conte anche sul Quirinale

Eppure Giuseppe Conte, travestendosi da ingenuo davanti alle telecamere o al telefono di chi lo raggiunge per strappagli un commento all’ultima uscita dell’”amico Luigi”, come lui stesso lo chiama comprendendone peraltro l’esposizione impostasi per il lancio del libro autobiografico di amore per la politica, dice che “il controcanto” ormai continuo del ministro degli Esteri ed ex capo del MoVimento 5 Stelle è solo “una fantasia”, “una malizia” di noi giornalisti. Che d’altronde siamo abituati da tempo ad essere trattati male. Prima ancora che Beppe Grillo, il “garante” sia di Conte sia di Di Maio, dicesse di noi che voleva mangiarci per il gusto di poterci poi vomitare, un furibondo Ugo La Malfa nei lontani anni Sessanta ci aveva dato dei “pennivendoli” per non condividere i metodi spicci che lui usava per dirimere le vertenze all’interno del suo partito, sino a rimuovere il presidente del collegio dei probiviri. Non parliamo poi delle “iene dattilografe” che rimediammo da Massimo D’Alema nello storico Transatlantico di Montecitorio.

Titolo della Stampa

Non appena Conte nei panni, si presume, di capo del MoVimento 5 Stelle considerato ancora come quello più rappresentato in Parlamento, per quanto abbia perso per strada già parecchi deputati e senatori, ha annunciato l’adesione alla proposta di Enrico Letta di un vertice fra i leader della maggioranza e Draghi per blindare la legge del bilancio all’esame del Senato, ma proponendo di parlare anche di riforme costituzionali, Luigi Di Maio appunto si è fatto sentire per dire no, come si legge nel titolo di apertura della Stampa. Che peraltro è lo stesso giornale che aveva lanciato ieri il sì di Conte.

Annalisa Cuzzocrea sulla Stampa

Secondo Di Maio si rischierebbe di mettere troppa carne al fuoco, di complicare anziché semplificare i problemi, ma soprattutto di dare troppo spazio e credibilità a due signori che non ne meritano per niente. I due campioni della inaffidabilità sarebbero in ordine alfabetico Renzi e Salvini, forse non a caso chiamati entrambi Matteo dai loro genitori. E speriamo che Di Maio non si spinga sino a quello scivolone occorso nel salotto televisivo di Nicola Porro nientemeno che ad Antonio Martino. Che ha dato dei menagramo a chi si chiama Mario, come Draghi e Monti. Ah, professore, che mi ha fatto stavolta.

Augusto Minzolini sul Giornale
Titolo del Messaggero

Tra paura del Covid e della confusione politica c’è molto nervosismo nei palazzi romani e nei giornali. In quello, per esempio, della famiglia Berlusconi, Il Giornale che fu di Indro Montanelli, il direttore Augusto Minzolini oggi se l’è presa col centrodestra messo nei guai, e a rischio di dissoluzione quando si chiuderà la vicenda quirinalizia, per il comportamento non sempre o per niente lineare di Salvini e di Giorgia Meloni. Che non sembrerebbero “davvero consapevoli di quale sia la posta in gioco dei prossimi mesi”, quando forse -provo a ipotezzare- potrebbero rimanere ai loro posti sia Mattarella sia Draghi, addirittura prenotatosi con i sindacati, secondo un titolo de Messaggero, a trattare l’ennesima riforma delle pensioni. E senza la certezza che per consolazione Berlusconi rimedi il laticlavio da un Mattarella confermato a garanzia di una rapida e risolutiva modifica costituzionale contro la rieleggibilità.

I cinque posti di senatore a vita di nomina presidenziale a disposizione dei benemeriti della Repubblica sono tutti già occupati: in particolare, da Mario Monti, Elena Cattaneo, Renzo Piano, Carlo Rubbia e Liliana Segre, in ordine cronologico di promozione.

Ripreso da http://www.policymakermag.it   

Mattarella ha lasciato la porta socchiusa. Ora tocca ai partiti rispondere

Titolo del Dubbio

La non rieleggibilità del presidente della Repubblica e l’abolizione del cosiddetto semestre bianco, il divieto cioè di sciogliere le Camere nel suo ultimo semestre di mandato, per quanto appena riproposti da Sergio Mattarella celebrando Giovanni Leone nel ventesimo anniversario della morte e ricordando il pensiero analogo di Antonio Segni, che lo aveva preceduto, non sono fra le proposte di modifica alla Costituzione avanzate da Giuseppe Conte aderendo al vertice dei leader della maggioranza di governo auspicato dal segretario del Pd Enrico Letta.

Giuseppe Conte

Fanno invece parte delle modifiche alla Costituzione proposte da Conte, anche a garanzia della prosecuzione della legislatura, avendo le Camere uscenti i tempi tecnici necessari per provvedervi, la cosiddetta “sfiducia costruttiva”, la fiducia al governo -e sfiducia, si presume- a Camere congiunte, e il diritto del presidente del Consiglio di rimuovere i ministri proponendone la nomina di nuovi al Capo dello Stato. In più, il presidente del Consiglio, scottato nelle sue esperienze a Palazzo Chigi, specie nella seconda, da trasmigrazioni di deputati e senatori da un gruppo all’altro, ha proposto ritocchi ai regolamenti parlamentari per limitarne la pratica, senza con ciò intaccare l’assenza, in Costituzione, del vincolo di mandato. Che invece i grillini arrivando in Parlamento per aprirlo come una scatola di tonno avrebbero voluto istituire per tenersi al sicuro.

Resta ora da capire se il mancato riferimento di Conte ai temi sollevati invece da Mattarella sia stato casuale o no, in attesa o nella speranza, magari, che altri nella maggioranza, forse a cominciare proprio da Enrico Letta, se ne facciano carico e li propongano loro. Se ciò avvenisse, prenderebbe corpo -volenti o nolenti, ma è difficile pensare solo a un caso- il più serio e insieme astuto tentativo di sminare l’ormai intricatissima scadenza quirinalizia di gennaio convincendo Sergio Mattarella ad abbandonare il rifiuto quasi pregiudiziale e assoluto sinora opposto ad una  sua rielezione, magari a termine, come fu nel 2013 quella di Giorgio Napolitano, dimessosi quasi due anni dopo.

Un progetto concordato di modifica della Costituzione per rendere davvero ultima una rielezione, sia pure implicitamente a termine, del presidente uscente e restituire al capo dello Stato la pienezza dei suoi poteri anche nell’ultimo semestre di mandato potrebbe ben indurre Sergio Mattarella a farsi garante di questo passaggio istituzionale. E a rimanere al suo posto per il tempo necessario al cambiamento delle regole. Nel tempo stesso si consentirebbe l’elezione del successore da parte di un Parlamento più nuovo e rappresentativo. E si metterebbe infine al sicuro davvero la prosecuzione del governo di Mario Draghi. Sarebbe una specie di uovo di Colombo, o di quadratura del cerchio.

Blog su WordPress.com.

Su ↑