Il centrodestra unito e vincente solo nel sogno di Berlusconi

Titolo del Dubbio
Giorgia Meloni

Accecata, a mio avviso, dalla concorrenza elettorale con la Lega di Matteo Salvini, ogni tanto sorpassata nei sondaggi dai quali, in verità, non si lascia condizionare solo lei nel marasma politico di questa anomala legislatura, la giovane Giorgia Meloni non si rende forse conto delle picconate che sta dando alle prospettive del centrodestra col suo sostanziale antivaccinismo, pur da vaccinata. E ora anche con una certa contestazione del progetto di un esercito comune europeo in mancanza -dice- di una politica estera unitaria. Non una parola, poi, sulla più realistica forza comune di pronto ntervento, la cui necessità è stata avvertita da molti nel vecchio continente di fronte alla stanchezza o incapacità degli Stati Uniti di reggere praticamente da soli, o in misura assai prevalente, la difesa dell’Occidente. Non parliamo poi delle eterne debolezze dell’Onu.

            E’ di pochi giorni fa un intervento dell’ex presidente del Consiglio e della Commissione Europea Romano Prodi sul modesto concorso dei paesi dell’Unione al costo dell’Alleanza Atlantica, valutato attorno ad un venti per cento, che autorizza il segretario generale della Nato, l’ex premier norvegese Jens Stoltenberg, a giustificare e condividere il sostanziale solipismo praticato dagli Stati Uniti nella trattativa con i talebani sullo sgombero, poi rivelatosi drammatico, dell’Afghanistan dopo vent’anni di occupazione.

            Ma torniamo al sostanziale antivaccinismo della Meloni pur vaccinata supportato ogni tanto da Salvini, pure lui personalmente vaccinato, sino a permettere a Claudio Borghi e agli altri leghisti della competente commissione della Camera a votare, per quanto inutilmente, contro il green pass istituito e disciplinato da un decreto legge pur approvato a Palazzo Chigi dai ministri del Carroccio.

            Data la rilevanza che ancora ha e, temo, continuerà ad avere questa maledetta pandemia, il centrodestra è destinato a subire contraccolpi negativi sul piano della credibilità e dell’unità dove è insieme al governo, cioè in sede amministrativa, visto che a livello nazionale esso è già diviso fra il partito della Meloni all’opposizione e quelli di Salvini e di Berlusconi nell’esecutivo.

            Pensare di raccattare all’ultimo momento, per elezioni politiche ordinarie o, peggio ancora, per elezioni anticipate quando sarà finito il cosiddetto semestre bianco, l’unità della coalizione e portarla alla vittoria, mi sembra francamente una illusione. Già potremmo avere sorprese -o, meglio, potranno averne gli interessati- nel turno di elezioni amministrative e politicamente suppletive del 3 e 4 ottobre, vista anche la non felicissima scelta dei candidati a sindaco che il centrodestra ha compiuto fra Milano, Roma e Napoli. Dove addirittura esso è ricorso ad un magistrato dopo tutto quello che da quelle parti si è scritto e detto per anni contro la commistione fra giustizia e politica.

            Si deve probabilmente proprio alla consapevolezza dei danni derivanti al centrodestra dalle divisioni e dall’ambiguità dei loro due maggiori partiti la scelta appena fatta da Mario Draghi di non dare molta importanza alla insubordinazione dei leghisti in commissione alla Camera, o comunque di non dargliene quanta gliene ha dato Enrico Letta sperando nel suicidio politico del Carroccio. E di scommettere piuttosto sulla volontà e capacità del “capo” Salvini, come il presidente del Consiglio ha tenuto rispettosamente e amichevolmente a riconoscergli, di fermare il Carroccio sull’orlo del burrone.

            Da uomo di mondo, diciamo così, come ha imparato rapidamente ad essere anche nel campo pasticciatissimo della politica italiana, frequentato meno di altri nella sua lunga carriera internazionale,  l’ex presidente della Banca Centrale Europea e ora, per fortuna, capo del governo si è forse fidato più del racconto della Lega fattogli dal ministro e amico Giancarlo Giorgetti che dalle cronache giornalistiche e dalle interviste dei Claudio Borghi di turno. Che di certo rappresentano la Lega, e soprattutto il suo elettorato, più dei governatori, per esempio, del Veneto, della Lombardia e del Friuli-Venezia Giulia.

            Persino un giornale come Il Fatto Quotidiano, che raccogliendo o rappresentando, come preferite, certi umori no vax sotto le cinque stelle conformi alla cultura non proprio scientifica dell’omonimo MoVimento ora presieduto da Giuseppe Conte sotto l’eterna “garanzia” di Beppe Grillo, ha liquidato in prima pagina il leghista Borghi -chiaramente riconoscibile nella vignetta di Riccardo Mannelli- come lo “scemo di guerra” al Covid. Lo stesso vignettista due giorni prima aveva preso in giro il manifestante no vax davanti al Ministero della Pubblica Istruzione che aveva ritenuto di stendere con il “gancio destro” anche il virus, oltre al malcapitato videogiornalista presente sul posto per conto di una testata –la Repubblica- schierata nettamente a favore delle vaccinazioni e del lasciapassare sanitario.

Pubblicato sul Dubbio

Mario Draghi tira dritto a Palazzo Chigi su vaccini e green pass

            Quel “no passaran” attribuito dal manifesto nel titolo di apertura a un Draghi sicuro di sé nella conferenza stampa tenuta alla ripresa dell’attività politica, se mai questa si fosse davvero fermata in agosto tra azioni del governo e polemiche fra e nei partiti, è una rappresentazione appropriata della situazione.

Titolo del Fatto Quotidiano

Altro che la “forzatura” stampata in rosso e gridata dal Fatto Quotidiano strizzando l’occhio agli oppositori del vaccino e del green pass antipandemico, pur dipingendo come “scemo da guerra” il deputato leghista Claudio Borghi. Che è chiaramente riconoscibile nella vignetta di Riccardo Mannelli ispirata al voto contrario dello stesso Borghi e dei suoi compagni di partito a vaccini e green pass nella competente commissione della Camera, dove si discute il relativo decreto legge.

Titolo del Fatto Quotidiano
Vignetta del Fatto Quotidiano

            Più che “spaccare il governo”, come sostiene sempre il Fatto Quotidiano, Draghi con la fermezza confermata in conferenza stampa annunciando che continuerà sulla strada degli obblighi antipandemici spacca al massimo qualche partito tipo la Lega e il MoVimento 5 Stelle, sfidandoli nella sostanza a sfiduciarlo davvero in Parlamento: cosa alla quale lui convintamente non crede. E fa bene, perché alla stretta, se davvero si dovesse arrivare sulla soglia di una rottura, il ricorso alla fiducia in Parlamento si risolverebbe in un fiasco per i residui dissidenti. Costoro sono sì esentati nel cosiddetto semestre bianco dalla paura delle elezioni, non potendo il presidente in scadenza della Repubblica sciogliere anticipatamente le Camere, ma non dall’inconveniente di ritrovarsi davanti allo stesso o ad un altro governo Draghi fatto allestire in fretta da Sergio Mattarella.

Vignetta del Corriere della Sera

            Il governo quindi va avanti. Il treno di Draghi tira dritto, senza neppure l’espediente della deviazione, immaginata da Emilio Giannelli sulla prima pagina del Corriere della Sera, per schivare il Matteo Salvini steso di traverso sui binari come un no vax qualsiasi, pur essendosi vaccinato e disponendo del gran pass a titolo, diciamo personale, come lui stesso ha dichiarato esponendo la linea quanto meno ambigua assunta su questa materia per difendersi dalla concorrenza antivaccinale di Giorgia Meloni. Che nei sondaggi ha sorpassato la Lega, sia pure di poco, per rivendicare il primato e la presidenza del Consiglio in un centrodestra che però, con quella posizione su vaccini e green pass, difficilmente andrebbe unito alle elezioni e ancor più difficilmente ne uscirebbe vincente. Siamo insomma al gioco di Monopoli.

Vignetta del Secolo XIX

            La deviazione immaginata nella vignetta di Giannelli, come la rassegnazione o la minaccia di un Salvini che ritorna alla Padania evocata da Stefano Rolli sul Secolo XIX, è improbabile perché Draghi -lasciatemelo scrivere- è bene informato della situazione interna della Lega dal ministro e amico personale Giancarlo Giorgetti. Senza quella deviazione, anche a costo di cogliere di sorpresa Enrico Letta che scommette sul suo suicidio, Salvini troverebbe il tempo di cambiare posizione e stendersi dritto, anzichè di traverso, fra i binari per sopravvivere al passaggio del treno, come una controfigura di uno spericolatissimo James Bond. E Draghi potrebbe ancora parlarne, ironico e soddisfatto, come del vero, sicuro, unico “capo” della Lega. Lo ha appena fatto nella conferenza stampa, sdrammatizzando anche in questo modo la rivolta in commissione, alla Camera, del già ricordato “scemo di guerra”.

Ripreso da http://www.startmag.it  e http://www.policymakermag.it

Il gioco a perdere di Matteo Salvini sul fronte della lotta alla pandemia

            Matteo Salvini tanto ha ragione nel reclamare il tampone gratuito di controllo antipandemico perché -ha detto con riuscita ironia- non tutti hanno la fortuna di trovare nella cuccia del loro cane 24 mila euro, com’è accaduto alla coppia piddina Esterino Montino e Monica Cirinnà, quanto ha torto a votare o lasciare votare i suoi parlamentari contro il lasciapassare sanitario, com’è accaduto nella competente commissione alla Camera. E non può sottrarsi alle polemiche, per quanto strumentali di un segretario del Pd che cavalca ogni occasione per spingere la Lega fuori dal governo e dalla maggioranza, vantandosi di essersi vaccinato e di possedere il green pass.

Titolo del Foglio

            Adesso poi Salvini, peraltro contestato per questo anche nel “suo” centrodestra dai forzisti di Silvio Berlusconi, per non parlare dei problemi che ha anche all’interno del suo movimento, non può neppure usare il pur debole argomento di volere inseguire chissà quale elettorato dopo il flop delle manifestazioni annunciate tra piazze e stazioni ferroviarie contro le vaccinazioni. “Le chat sono piene, ma le stazioni vuote”, ha felicemente titolato Il Foglio.

Giorgia Meloni

            Se il problema di Salvini fosse solo o soprattutto quello della competizione, all’interno del centrodestra, con i fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, che ha scelto di rimanere all’opposizione del governo Draghi e ha appena sorpassato di poco i leghisti nei sondaggi, l’esito della linea ambivalente ch’egli sta seguendo sul problema della lotta alla pandemia sarebbe per lui semplicemente disastroso. Perderebbe sia il governo sia le elezioni, anticipate o ordinarie che fossero. Gli rimarrebbero solo gli incoraggiamenti rivoltigli, forse proprio per danneggiarlo e non aiutarlo davvero, dall’imprevedibile ma furbo  governatore piddino della Puglia Michele Emiliano.

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Piercamillo Davigo non perde il pelo negli attacchi agli avvocati

Titolo del Dubbio
Richiamo dell’articolo di Davigo sulla prima pagina del Fatto Quotidiano

Più leggevo sul Fatto Quotidiano -e dove, sennò?- Piercamillo Davigo sull’”orda inutile degli avvocati” italiani, come in redazione hanno titolato l’articolo del collaboratore ora privo delle ultime remore che potevano forse avvertire la dirigenza di quel giornale quando egli era ancora magistrato e in più anche consigliere superiore della Magistratura, più provavo a immaginare le reazioni, sempre a leggerlo, di due altri ex magistrati che hanno per un certo tempo condiviso con lui le prime pagine.

Si chiamano entrambi Antonio di nome. Uno è Di Pietro, Tonino per gli amici, legato a Davigo anche dalla comune partecipazione, negli anni della storica inchiesta “Mani pulite”, alla Procura di Milano guidata da Francesco Saverio Borrelli. L’altro è Ingroia, guadagnatosi nella Procura di Palermo la fama di un cacciatore spietato non solo dei mafiosi, come la buonanima di Giovanni Falcone, ma anche dei loro veri o presunti complici o persino referenti politici. Che Falcone fu invece accusato non da un passante ma dal già allora sindaco di Palermo Leoluca Orlando di avere in qualche coperto nelle sue indagini, tenendo fermi o nascosti nei suoi “cassetti” i sospetti, se non addirittura le prove sulle loro responsabilità.

I nomi, anzi i cognomi di Di Pietro e di Ingroia mi sono venuti, leggendo Davigo a proposito  -ripeto- dell’”orda inutile” degli avvocati suggerita dal suo articolo al titolista del giornale diretto da Marco Travaglio, perché entrambi scelsero a suo tempo di fare gli avvocati lasciando la magistratura: l’uno di sua spontanea volontà, dopo avere fatto anche un po’ di politica, l’altro per protesta contro la destinazione valdostana assegnatagli dal Consiglio Superiore della Magistratura nel 2013, dopo il successo mancato da magistrato in aspettativa nelle elezioni politiche, cui aveva partecipato da candidato addirittura a presidente del Consiglio. E dico “addirittura” per l’oggettiva improbabilità di raggiungere un simile obiettivo con una lista cui tutti i sondaggi attribuivano dimensioni, o livelli, da prefisso telefonico.

L’unico effetto al quale Ingroia finì per contribuire fu la sconfitta o nell’ammessa “non vittoria”, nella corsa a Palazzo Chigi, del candidato e segretario del Pd Pier Luigi Bersani. Al quale i grillini -ma anche l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano- impedirono anche di tentare la formazione di un governo dichiaratamente “di minoranza e combattimento

Titolo del Fatto Quotidiano

Mi permetto di dubitare, salvo smentite di cui prenderei atto volentieri scusandomi con gli interessati, che Di Pietro e Ingroia si sentano partecipi di “un’orda di avvocati inutili”. O, per attenermi solo al testo del finale dell’articolo di Davigo, di fare il loro mestiere ritenendo che “il servizio della giustizia funzioni come ammortizzatore sociale”, cioè “come una sorte di reddito di cittadinanza” invidiabile rispetto a quello introdotto dai grillini, visto che gli avvocati meno fortunati riescono a guadagnare sui ventimila euro l’anno. Ma ne potrebbero guadagnare anche meno se dovessero aumentare di numero, superando il primato già conquistato essendovene in Italia 368 ogni centomila abitanti rispetto ai 147 della Francia.

In mancanza di uno sfoltimento volontario, da legge di mercato, o dell’introduzione di un numero chiuso all’Università o alla professione, di che altro dovrebbero vivere i nostri avvocati se non di troppi e di troppo lunghi processi? Questa è la domanda implicita del lungo e franco ragionamento di Davigo, tutto sommato coerente con l’idea già espressa dall’interessato quando era ancora magistrato, con uguale franchezza e altrettanto uguale sconcerto da parte di chi scrive, che gli imputati assolti e i loro avvocati difensori fossero riusciti soprattutto, se non soltanto, a “farla franca” con i loro espedienti.

Pubblicato sul Dubbio

Se i no vax e simili ci scambiano addirittura per talebani…

Manifestanti no vax

            Nella insensata lotta alle vaccinazioni dal Covid 19 e varianti si è riusciti in Italia a scomodare, diciamo così, persino i talebani appena tornati al governo, ma non so se anche al controllo vero, di un’Afghanistan dove questi barbuti armati di kalanshnikov e di sharia se la devono vedere anche con chi li considera non abbastanza estremisti. E li accusa di avere trattato il ritiro delle truppe americane, anziché cercare di decimarne gli uomini, e le donne, a gruppi di dieci o cento ogni volta,  e di impedire di potersi portare via sino al 31 agosto il maggior numero possibile di afghani consenzienti, in fuga dalla paura di perdere i diritti scoperti e acquisiti in vent’anni di occupazione occidentale.

Titolo della Verità

            Come un partito in cerca di voti, anche un giornale in cerca evidentemente di lettori ha voluto oggi lisciare il pelo ai dimostranti mobilitati contro le vaccinazioni, i green pass e contorni antipandemici minacciando blocchi ferroviari e quant’altro. Si tratta della Verità, che ha sparato su tutta la sua prima pagina ciò che neppure Matteo Salvini e Giorgia Meloni si sono spinti a dire nelle loro azioni, rispettivamente, di contenimento e di contrasto alle vaccinazioni. Eccone il titolo: “Fanno i talebani del vaccino per coprire bugie ed errori”. Io, quindi, che mi sono vaccinato con convinzione e vorrei che tutti lo facessero per mettersi e metterci in sicurezza, risparmiandosi e risparmiandoci la morte da virus o da complicanze, sarei un talebano, “ipocrita” come “media e politica” indicati in rosso dal giornale diretto dal mio amico Maurizio Belpietro. Al quale dico con franchezza che stavolta si è fatto prendere troppo la mano dalla vis polemica, o  da quello che il nostro comune amico Giuliano Ferrara ha definito sul Foglio “bisogno dell’antagonismo ideologico” cercando di spiegarsi e spiegare ciò che sta accadendo sulle piazze, peraltro mentre sono ripresi i contagi.

Sergio Staino sulla Stampa

            Con la solita graffiante ironia il vecchio Sergio Staino sulla Stampa fa dire a un manifestante no vax, accanto ad uno che strilla contro i “fascisti”, che “neanche i talebani si permettono di obbligare gli afgani al green pass!!!”, da oggi invece obbligatorio in Italia sui mezzi di comunicazione a lunga distanza e nelle scuole.

ElleKappa su Repubblica

            Trovo efficace anche la vignetta di Ellekappa, sulla prima pagina di Repubblica, in cui si attribuisce alla “Bibbia no vax” il comandamento di contagiare “il prossimo tuo come te stesso”.

            Ma, fra tutte, preferisco e segnalo, se mi permettete, la vignetta, sempre di prima pagina, del Fatto Quotidiano, che qualche volta -lo ammetto- riesce anche a sorprendere e a farsi dare ragione persino da me, non certo sospettabile di simpatie per le sue preferenze politiche e il suo modo di attaccare chi ne dissente. Riccardo Mannelli, ispirato dall’aggressione subìta da un giornalista durante una manifestazione davanti al Ministero della Pubblica Istruzione, identifica folle, movimento e quant’altro no vax in uno sprovveduto e bolso “combattente per la libertà mentre tenta di stendere il virus con un gancio destro”.

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

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