Da orizzontale a verticale la breccia di Porta Pia al Fatto Quotidiano per Conte

Tititolo del Fatto Quotidiano di ieri
Titolo del Fatto Quotidiano di oggi

Da orizzontale a verticale, continua al Fatto Quotidiano quella specie di riedizione della breccia di Porta Pia consumatasi ieri, 20 settembre, con lo sfottò in prima pagina, su quattro colonne su sei, orizzontalmente e in basso, del pur adorato Giuseppe Conte. Che è un po’ per Marco Travaglio quello che al Foglio di Giuliano Ferrara, e Claudio Cerasa, chiamano ancora “l’amor nostro” Silvio Berlusconi. Che tuttavia contribuì economicamente al decollo e al sostentamento di quel giornale, diversamente da Conte che con la nascita del Fatto Quotidiano non c’entra obiettivamente nulla, essendone la fondazione avvenuta forse anche nella inconsapevolezza dell’allora semplice, quasi sconosciuto avvocato, forse già professore.

Allo sfottò di ieri -ripeto- su quattro delle sei colonne del giornale di Travaglio, in prima pagina e firmato da Selvaggia Locatelli, delusa dai toni troppo cortesi dell’ex presidente del Consiglio anche nei panni di presidente del per niente cortese MoVimento 5 Stelle, almeno quello delle origini, è seguito oggi, sempre sulla prima pagina, il richiamo -su una delle sei colonne- di un confronto di opinioni, sullo stesso temo, fra Peter Gomez e Antonello Caporale. Immagino che ne seguiranno altre, forse utili anche a dare una mano al difficile esordio del nuovo presidente del movimento grillino, già così stanco da farsi scappare recentemente la confessione della paura -subito rientrata- di non farcela a reggere la fatica , forse già dopo i temuti risultati delle elezioni amministrative o politicamente suppletive del 3 e 4 ottobre. Cui lo attendono in tanti coi pugnali neppure nascosti, sotto e sopra le cinque stelle.

Peter Gomez su Conte

Peter Gomez ha condiviso totalmente lo sfottò della selvaggia Locatelli, rincarando anzi la dose con l’equiparazione di Conte, per linguaggio e temperamento, al penultimo segretario della Dc Arnaldo Forlani: un confronto da dileggio per i lettori abituali del Fatto Quotidiano. La conclusione dell’intervento contro l’ex presidente del Consiglio è davvero impietosa: “Presentarsi moderati nei toni ma radicali nei contenuti, come dice Conte, è giusto ma a patto -ha scritto Gomez- che i contenuti coi siano. E per ora o non ci sono, o non si vedono”. Si dia quindi una mossa, il professore in aspettativa, e paghi qualche altro pranzo al “garante” Beppe Grillo per farsi insegnare, fra una spigola e un bicchiere di vino, come si fa a farsi venire delle idee anche quando non se ne hanno.

Antonello Caporale su Conte

Da difensore di Conte il buon Antonello Caporale ha cercato di fare del suo meglio, nonostante l’abitudine che ha di scorticare vivi tutti quelli che gli capitano a tiro sulla tastiera del computer. Informatissimo dell’agenda dell’ex presidente del Consiglio e documentato fotograficamente sull’accoglienza che riceve in ogni posto che raggiunge nella sua campagna elettorale, e un po’ anche cognitiva della periferia pentastellata, Caporale ha chiesto chi altri meglio di lui i grillini avrebbero potuto trovare per portare in piazza e al suo seguito tanta gente, e tanto entusiasta. E pazienza per il famoso sfogo di Pietro Nenni, dopo la scoppola del fronte popolare nel lontano 1948, sulle “piazze piene e urne vuote”.

Titolo di Libero

Probabilmente esagerano a Libero ad annunciare in prima pagina che, “scaricato dagli amici” persino nella redazione una volta tutta adorante per lui, “Conte è arrivato al capolinea”. Ma temo, per il professore, che non gli manchino molte fermate. Travaglio tuttavia, fermo al “Conticidio”, troverà il modo di rendergli, male che vada, e insolitamente per lui, l’onore amichevole delle armi.

I pericoli veri, ma pure falsi, della referendite avvertita col ricorso alle firme digitali

Titolo de Riformista

La raccolta anche digitale delle firme per promuovere il referendum abrogativo in tutto o in parte di leggi ordinarie, o atti aventi valore di legge, previsto dall’articolo 75 della Costituzione, ha provocato polemiche a volte persino stucchevoli -giustamente lamentate sul Riformista dall’espertissimo Giovanni Guzzetta- sul pericolo che si finisca così per consentire un uso così facile di questo diritto da indebolire ulteriormente il sistema parlamentare. Che già soffre di suo per molte ragioni, fra le quali spicca la crisi identitaria e organizzativa dei partiti, inevitabilmente proiettata sul Parlamento.

Il pericolo di un indebolimento del sistema parlamentare da un ricorso troppo frequente all’istituto referendario -chiamiamola pure referendite- certamente esiste. Ma dubito che il rimedio migliore sia quello, subito prospettato invece anche da fior di costituzionalisti, oltre che da politici, di vanificare la digitalizzazione delle firme -appena consentita con una legge approvata all’unanimità dalle stesse Camere senza che nessuno se ne accorgesse, come ha fatto notate Guzzetta- chiedendone di più: per esempio, 800 mila contro le 500 mila richieste dalla Costituzione in vigore dal 1948. Né sarebbe il caso di tornare a difendere la partecipazione della maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto richiesta per considerare valido il risultato della conta fra i sì e i no all’abrogazione. Questo cosiddetto quorum  ha in qualche modo distorto l’astensione, trasformandola in un sostanziale voto contrario.

Esiste un modo più semplice, direi più pulito, di evitare il rischio di trasformare il referendum abrogativo in una continua, defatigante contrapposizione fra le Camere che approvano una legge e gli elettori che gliela bocciano, sconfessando così la maggioranza che essi stessi nelle precedenti elezioni politiche hanno determinato o concorso a determinare, e aumentando così la cosiddetta ingovernabilità del Paese. Cui  già ogni tanto il presidente di turno della Repubblica supplisce allestendo dichiaratamente esecutivi  estranei alle abituali o normali “formule” politiche, come quelli balneari o di solidarietà nazionale della cosiddetta prima Repubblica, o quelli tecnici della seconda.

La vignetta di Forattini del 1974

Basterebbe, a mio avviso, introdurre una modifica alla legge di disciplina del referendum abrogativo perché non si possa promuovere l’abrogazione parziale o totale di una legge prima che sia trascorso un certo periodo di tempo dalla sua approvazione in Parlamento. Se ne deve cioè consentire l’applicazione sufficiente a verificarne e valutarne gli effetti, a tutela quanto meno del buon senso. Del resto, il caso volle -ma non deve essere solo un caso, magari cercato con espedienti politici come il ricorso ad elezioni anticipate- che il referendum abrogativo disciplinato nel 1970, con 22 anni di ritardo dall’entrata in vigore della Costituzione, per consentire un tentativo di rivalsa ai cattolici, appena sconfitti in Parlamento sul divorzio, fosse indetto già nel 1972 ma rinviato al 1974. Quel tempo servì anche a valutare meglio, più consapevolmente, la legge che fu infatti confermata dagli elettori. Una famosa vignetta spumeggiante di Sergio Forattini immortalò la sconfitta dell’allora segretario della Dc Amintore Fanfani, che aveva improvvidamente cavalcato quel referendum come una crociata sottovalutando l’evoluzione laica dell’Italia.

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Il Quirinale sarebbe una graticola per Silvio Berlusconi

Titolo del Dubbio
Dalla prima pagina del Corriere della Sera del 18 settembre

Per quanto consapevole della sua diligenza professionale e delle entrature anche negli ambienti berlusconiani più stretti e accreditati, spero personalmente – e ve ne spiegherò le ragioni- che Francesco Verderami abbia toppato sabato scorso nel riferire sul Corriere della Sera del “sogno”, coltivato in persona dall’ex presidente del Consiglio e fondatore di Forza Italia, di partecipare davvero alla prossima corsa al Quirinale e di uscirne vincitore. Come nelle sue abitudini, potrebbe dire qualcuno, avendo l’uomo di Arcore già raggiunto altri traguardi importanti sorprendendo non solo avversari e concorrenti, ma anche amici carissimi che glieli avevano sconsigliati.

Fedele Confalonieri

Ciò accadde anche verso la fine del 1993, quando Confalonieri -Fedele di nome e di fatto all’allora presidente di Fininvest- mi chiese amichevolmente una mano per dissuadere “Silvio” dalla tentazione sempre più forte di “scendere in politica”, come diceva, per evitare che le elezioni anticipate del 1994, ormai scontate, fossero vinte dal Pds-ex Pci di Achille Occhetto. Al quale ben pochi nella Dc erano disposti, secondo accertamenti dallo stesso Berlusconi personalmente compiuti consultandone i dirigenti, a cominciare dall’allora segretario del partito Mino Martinazzoli, di predisporre una coalizione di centrodestra in grado di battere, grazie alle possibilità offerte dalla nuova legge elettorale di stampo prevalentemente maggioritario, la “carovana dei progressisti”. Così  lo stesso Occhetto la chiamava prima di passare all’immagine della “gioiosa macchina da guerra”.  Che in effetti Berlusconi riuscì ancora più gioiosamente a sconfiggere lasciando di sasso anche l’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, rassegnatosi assai malvolentieri, senza neppure nasconderlo, a nominarlo presidente del Consiglio. Inutilmente al Quirinale avevano sperato che il già allora imprevedibile Umberto Bossi rifilasse all’alleato una fregatura nelle consultazioni per il conferimento dell’incarico, dopo avergli dato beffardamente del “Berluscaz” nella campagna elettorale. Il tradimento sarebbe arrivato, ma dopo qualche mese di governo insieme, e tuttavia con recupero successivo di un’alleanza più solida.

In verità, le preoccupazioni di Confalonieri derivavano più ancora che dall’incertezza del risultato elettorale, a dispetto dei sondaggi riservati che inducevano invece Berlusconi all’ottimismo, dalle possibili conseguenze dell’impegno politico dell’amico sulle aziende che aveva saputo creare e sviluppare. Una certa, esasperata attenzione giudiziaria si era già avvertita nell’aria per le simpatie dichiarate e praticate costantemente da Berlusconi per uomini, partiti e correnti di governo che erano già entrati nella tempesta di “Mani pulite”, o stavano per entrarvi, o erano comunque destinati ad esserne colpiti, se non travolti.

Debbo dire che quelle di Confalonieri sui pericoli per le aziende, oltre che personali dell’amico, non erano infondati, visto quello che poi è successo, e non è ancora finito. Berlusconi, per quanto assolto in via definitiva dall’accusa di prostituzione minorile, è ancora alle prese con processi per presunta corruzione dei testimoni. Che, evidentemente, non creduti in primo grado, ne avrebbero invece consentito poi l’assoluzione in appello e in Cassazione ad opera di magistrati a dir poco sprovveduti, in una visione un po’ pazzesca dell’amministrazione della giustizia. Ma a rischiare di passare per pazzo è stato alla fine Berlusconi con quella “Illimitata” perizia psichiatrica alla quale -nonostante il diverso avviso espresso dal pur amico Vittorio Feltri su Libero- eglisi è giustamente, oltre che orgogliosamente, sottratto sfidando il tribunale di Milano a condannarlo in un’altra delle coincidenze alle quali ci siamo ormai abituati fra scadenze o altre evenienze giudiziarie e politiche.

Sempre sul Corriere della Sera del 18 settembre

Mi è francamente apparso più un disservizio che un servizio il sogno quirinalizio attribuito da Verderami sul Corriere a Berlusconi-con tanto di conteggi della sessantina di voti da cercare più o meno personalmente oltre il perimetro del centrodestra per essere eletto dalla quarta votazione in poi, quando gli basterebbe la maggioranza assoluta e non più quella per lui proibitiva dei due terzi, e tanto di rivelazione di incontro con Matteo Renzi in funzione di questa ricerca. Mi permetto, con un consiglio né probabilmente gradito, di suggerire all’ex presidente del Consiglio un più utile e opportuno risveglio.

Anche se non mancano illustri precedenti non di “vecchi”, come li chiamerebbe il magistrato che si è recentemente occupato di lui nel processo noto come Ruby ter, ma più rispettosamente di anziani saliti al Colle, dove Sandro Pertini, per esempio, arrivò a 82 anni, Giorgio Napolitano a 81 e Carlo Azeglio Ciampi a 79, penso che a 85 anni compiuti il 29 settembre prossimo Berlusconi possa pur spiazzare gli avversari e a deludere certi amici  trovano l’occasione e il modo di dire che ormai non ha più l’età per certi concorsi. Sarebbe una versione aggiornata della celebre  e fortunata canzone “Non ho l’età” cantata da Gigliola Cinquetti nel 1964, quando peraltro al ventottenne Berlusconi mancavano 22 anni per diventare quirinabile. Tanto, il Quirinale non aggiungerebbe e non toglierebbe nulla al protagonismo di cui egli è stato capace in ogni campo in cui si è misurato.

Dalla prina pagina del Fatto Quotidiano del 19 settembre

Pensate un po’ che colpo sarebbe una rinuncia di Berlusconi per i suoi avversari irriducibili, per esempio, del Fatto Quotidiano. Che già domenica scorsa, allertati dal Corriere della Sera, si allenavano contro di lui con la cattiveria di giornata in prima pagina scrivendo, per scherzare ma non troppo: “Mediaset, la sede legale trasloca in Olanda. Quella illegale resta in Italia e punta a traslocare al Quirinale”. Mi sembra francamente meglio saltare giù dalla graticola del Colle prima che qualcuno appicchi il fuoco al carbone.

Pubblicato sul Dubbio

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