Dal Conticidio al Contesuicidio, addirittura sul Fatto Quotidiano….

Può dunque capitare anche a Marco Travaglio di essere smentito da uno che gli scrive accanto in prima pagina, come a un Matteo Salvini qualsiasi smentito un giorno sì e l’altro pure dal suo ministro Giancarlo Giorgetti, o dai suoi governatori, su vaccini, green pass e altro.

Accanto all’abituale, direi canonico, editoriale del lunedì sfottente con i soliti giornalisti di regime che onorano Mario Draghi dimenticando i meriti del predecessore Giuseppe Conte, senza la cui intelligenza, capacità di persuasione e quant’altro mai l’Italia avrebbe ottenuto duecento e più miliardi di finanziamento europeo per il piano della ripresa, si è potuto leggere oggi sul Fatto Quotidiano uno sfottò di Selvaggia Lucarelli -si spera senza conseguenze- all’ex presidente del Consiglio. Che si muoverebbe e parlerebbe come un Veltroni qualsiasi degli anni in cui l’allora segretario del Pd praticava il cosiddetto “manchismo”, inteso come “ma anche”.

“Chiedi che ora è” a Conte e lui risponderà che sono le otto, ma ha il massimo rispetto anche per il resto dei fusi orari”, ha scritto, e sfottuto, la selvaggia, con la minuscola. Che è stata simpaticamente -una volta tanto- servita anche con un bel titolo in cui il “Conticidio” scritto da Travaglio è diventato più correttamente “Contesuicidio”. Finalmente. Anche Il Fatto si rifonda, come il MoVimento 5 Stelle dopo la spigola, o non  ricordo quale altro pesce, pagato da Conte a Beppe Grillo sulla spiaggia di Marina di Bibbona?

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Il conto alla rovescia per gli imputati, in appello, della trattativa con la mafia

Da oggi comincia, con la Camera di Consiglio finale al processo d’appello di Palermo, il conto alla rovescia in tutti i sensi, con inizio certo e termine che risulterà alla fine, per la conferma o la smentita, parziale o totale, delle condanne comminate nel 2018, in primo grado, per la cosiddetta, fantomatica trattativa fra lo Stato e la mafia, o pezzi dello Stato e della mafia. Che doveva servire, secondo l’accusa, a ridurre o fermare le stragi mafiose svoltesi o tentate fra il 1992 e il 1994, a cavallo non casuale fra la prima e la seconda Repubblica. Cioè quando la mafia potette in qualche modo giocare un ruolo anche in quel passaggio, puntando sulla debolezza della Repubblica cadente, quella del sistema elettorale proporzionale, e scommettendo sulla nuova, prodotta dall’incrocio fra la demolizione giudiziaria dei vecchi partiti di governo e un sistema elettorale prevalentemente maggioritario.

Scrivo di “cosiddetta” e “fantomatica” trattativa perché non di trattativa sono stati formalmente accusati gli imputati condannati in primo grado dopo cinque anni di processo, e che la pubblica accusa ha chiesto di ricondannare in appello, ma di “minaccia a corpo politico o amministrativo o giudiziario dello Stato”, come dice l’articolo 338 del codice penale, “per impedirne, in tutto o in parte, anche temporaneamente, o per turbarne comunque l’attività”. Già in questa formulazione dell’accusa, senza che si parli appunto di trattativa, questa vicenda processuale è equivoca agli occhi della gente, diciamo così, comune.

Mario Mori

Fra i condannati ci sono il boss mafioso Leoluca Bagarella, sopravvissuto alla morte di Totò Riina e Bernardo Provenzano avvenuta durante la vicenda processuale, il medico mafioso Antonino Cinà, l’ex comandante del reparto speciale dei Carabinieri Angelo Subranni, l’ex vice comandante Mario Mori, l’ex colonnello Giuseppe De Donno e l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri. Per calunnia è stato invece condannato il pur testimone usato dall’accusa Massimo Ciancimino, figlio di Vito, l’ex sindaco mafioso di Palermo. Anche questa può essere considerata dalla gente comune la classica ciliegina su una torta dal sapore assai strano. Un calunniatore di solito non è attendibile.

Marco Lillo sul Fatto Quotidiano

La strada per la conferma delle condanne di primo grado, dopo due anni di processo d’appello, è tutta in salita per ammissione anche di un giornale come Il Fatto Quotidiano, ultraconvinto che lo Stato si fosse piegato in quel negoziato, anziché decapitare, per esempio, la mafia con l’arresto di Totò Riina. “L’ostacolo più grande -ha scritto Marco Lillo sul giornale di Marco Travaglio- è il giudicato definitivo della Cassazione che assolve l’ex ministro democristiano Calogero Mannino per gli stessi fatti”. Che è stato giudicato col rito abbreviato, su sua stessa richiesta, ed è stato appunto assolto in primo e in secondo grado. L’accusa ha rimediato una terza sconfitta con un ricorso in Cassazione improponibile.

Calogero Mannino

Mannino, peraltro, secondo l’accusa originaria sarebbe stato il promotore principale, o quasi, della trattativa, o della “minaccia ad un Corpo…eccetera eccetera”, per sottrarsi alla morte alla quale la mafia lo aveva davvero condannato: un’accusa “non solo infondata, ma anche totalmente illogica e incongruente con la ricostruzione complessiva dei fatti” da parte della Procura di Palermo, hanno scritto i giudici. E’ su uno specchio del genere che ha voluto continuare ad arrampicarsi l’accusa nel processo contro gli altri imputati. E’ difficile da credere ma è avvenuto realmente.

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