Il santino pur laico di Enrico Berlinguer che Eugenio Scalfari ha composto domenica su Repubblica ricordandolo fra i migliori politici italiani, se non il migliore, che era poi il soprannome conquistatosi prima di lui nel Pci da Palmiro Togliatti, non è stato mosso da alcuna occasione celebrativa. Esso è arrivato troppo tardi rispetto ai 97 anni dalla nascita di Berlinguer, trascorsi il 15 maggio, e troppo presto rispetto ai 35 dalla morte, che ricorreranno l’11 giugno. Scalfari è stato mosso solo da una convenienza elettorale, d’altronde confessata con onestà per aiutare il Pd nelle urne del 26 maggio presentandone Berlinguer come “il padre o nonno”.
Nell’empito agiografico temo tuttavia che “Barpapà”, dichiarato elettore, oltre che amico, di Berlinguer e dei partiti succeduti a quello della falce e martello dopo la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica, si sia lasciato prendere un po’ troppo la mano. Egli è arrivato a scriverne come del continuatore della “Giustizia e libertà” dei fratelli Rosselli e persino del “liberalismo di Francesco De Sanctis e di Benedetto Croce”, nonché di Ugo La Malfa.
Ma oltre a scriverne come di un liberale, Scalfari ha voluto riconoscere al compianto leader del “comunismo democratico” italiano il merito di avere servito e “sentito l’interesse generale” senza identificarlo con quello “di partito e neppure di classe”. Beh, almeno su questo, senza avventurarmi sulle vette ideologiche su cui pure si è voluto spingere Scalfari, e riconoscendo a Berlinguer l’onore indiscutibile di essere morto sul campo della politica, portando a termine il suo ultimo comizio in condizioni di salute ormai proibitive, mi permetto di dissentire perché non dico la storia, ma la cronaca non è dalla sua parte.
Fu un interesse di partito e di classe quello che scosse il segretario del Pci rappresentato il 2 dicembre 1977 sulla prima pagina proprio della Repubblica di Scalfari, in una celeberrima vignetta di Sergio Forattini, in vestaglia borghese e capelli dritti, sorpreso dal corteo dei metalmeccanici che sfilavano sotto la finestra di casa contro il governo monocolore democristiano di Giulio Andreotti. Che era sostenuto dai comunisti con l’astensione, o “non sfiducia”. Seguì una crisi aperta da Berlinguer con la richiesta di un equilibrio politico più avanzato, da concretizzare con l’ingresso dei comunisti nel governo.
Il presidente della Dc Aldo Moro, consapevole delle implicazioni anche internazionali di un passaggio del genere, convinse il Pci ad accontentarsi di un negoziato sul programma che gli consentisse di passare dall’astensione al voto di fiducia. Il governo rimase tale e quale, con qualche testa che invece il Pci aveva chiesto di tagliare, per cui Berlinguer fu tentato dalla sfiducia. Vi rinunciò il 16 marzo 1978 solo per il sopraggiunto sequestro di Moro da parte delle brigate rosse, fra il sangue della sua scorta. Dibattito e voto di fiducia al governo seguirono in meno di 24 ore, e in un clima di autentica emergenza
Fu un interesse di partito anche quello che spinse Berlinguer alla fine del 1978 a ritirarsi dalla maggioranza di cosiddetta solidarietà nazionale, non condividendo il sistema monetario europeo che sarebbe scattato il 13 marzo 1979. E neppure il riarmo missilistico cui la Nato si apprestava per bilanciare i rapporti di forza col blocco comunista attrezzatosi con gli SS 20 puntati sulle capitali europee. La Nato, da cui Berlinguer si era pur sentito protetto per garantire l’autonomia del Pci da Mosca, doveva evidentemente rimanere, nella sua logica, l’ombrello bucato che era divenuto con le nuove postazioni missilistiche del Patto di Varsavia.
Fu un interesse di partito che spinse Berlinguer nel 1980 a cavalcare dall’opposizione addirittura il terremoto in Irpinia per lanciare da Salerno il progetto di una nuova alternativa alla Dc e ai suoi alleati, secondo lui incapaci di governare il Paese.
Fu infine un interesse di partito, e di classe, quello che nel 1984, sempre dall’opposizione, indusse il segretario del Pci a contrastare con estrema forza il pur modesto taglio alla scala mobile dei salari apportato dal governo pentapartito di Bettino Craxi per proteggere il valore dei salari da un’inflazione arrivata a due cifre. Fu l’ultima battaglia di Berlinguer, bocciata l’anno dopo dagli stessi lavoratori nel referendum ch’egli aveva voluto prima di morire commissionandolo alla Cgil del pur riluttante Luciano Lama.
Pubblicato su Il Dubbio
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