Conte perde la “pazienza” su Siri e ne avvia la rimozione da sottosegretario

             Debbono essere state molto più forti delle pur notevoli apparenze le pressioni politiche esercitate dai grillini se il presidente del Consiglio, contraddicendo la “pazienza” che si era imposta e aveva raccomandato pubblicamente ai suoi interlocutori qualche giorno fa, ha bocciato il comportamento del sottosegretario leghistaSiri.jpg Armando Siri, indagato per corruzione alla Procura di Roma. E, liquidando come prive di senso le dimissioni promesse dallo stesso Siri entro 15 giorni se non si fosse rivelato risolutivo il suo primo interrogatorio in Procura, non ancora fissato, ne ha avviato il procedimento di rimozione con una conferenza stampa. Nella quale Giuseppe Conte ha annunciato la decisione di portare il problema nella prossima riunione del Consiglio dei Ministri con due curiose postille o motivazioni, come si preferisce.

            La prima è il rimprovero fatto a Siri, nei panni un po’ impropri, a indagini aperte, più di un pubblico ministero che di un presidente del Consiglio, di non essersi fatto portatore dei dovuti “interessi generali e astratti” raccogliendo come sottosegretario, con proposte di modifica a norme vigenti, “le istanze” di aziende operanti nel settore delle energie alternative, come quella eolica.

            Visto che ci siamo, c’è qualcuno che politicamente non ha visto interessi “generali e astratti” nella decisione presa e tradotta nel bilancio dal governo, in particolare dal sottosegretario grillino alle Comunicazioni Vito Crimi, di interrompere, diciamo così, la convenzione che consente da tanti anni al pubblico di usufruire di una radio così particolare e apprezzata come quella Radicale, con la maiuscola. La cui chiusura, anche per il modesto risparmio finanziario che comporta rispetto alle spese generali dello Stato, potrà fare comodo solo agli insofferenti verso una informazione davvero libera, come unanimemente viene riconosciuta quella di Radio Radicale, col supporto peraltro di un’imponente e unico archivio di voci e immagini della storia politica, parlamentare, giudiziaria, culturale  degli ultimi quarant’anni d’Italia.

            La seconda postilla, o motivazione, è la presunta -assai presunta- equidistanza politica e mediatica vantata dal presidente del Consiglio nel suo affondo contro Siri:  da una parte invitando i leghisti a desistere da una reazione e difesa “corporativa” del sottosegretario già privato delle deleghe per decisione del ministro a cinque stelle delle Infrastrutture Danilo Toninelli, e dall’altra i grillini a “non cantare vittoria”. Si spera, per l’intelligenza di cui dispone, che il professore Conte non avesse contato solo sul puntuale annuncio del vice presidente grillino del Consiglio Luigi Di Maio: “Non esulto”.

            Hanno Fatto.jpgesulato, eccome, tutti i giornali che hanno più o meno condiviso e sostenuto le pressioni grilline per la rimozione di Siri: dalla “lezione etica a Salvini”, più ancora che allo stessoSchermata 2019-05-03 alle 06.43.11.jpg Siri, sparata in prima pagina dal solito Fatto Quotidiano alla “frattura scomposta” diagnosticata a caratteri di scatola dalla Repubblica, dal “ciao Siri” beffardo del manifesto alle vignette di giornali grandi e piccoli.

            Di Maio non ha voluto “esultare”, per stare al suo linguaggio, ma non si è risparmiato, al pari di altri esponenti del suo movimento, di sfidare più o meno chiaramente i leghisti a fargli adesso anche il piacere elettorale di contrastare la rimozione del sottosegretario Rolli.jpgdisertando il Consiglio dei Ministri che dovrà occuparsene, o partecipandovi per dissentire, magari votare contro e mettere in qualche difficoltà il presidente Conte. La cui firma al decreto di rimozione non potrà bastare, occorrendo anche manifesto.jpgquella del presidente della Repubblica, di recente intervenuto per ricordare il carattere per niente formale dei passaggi dell’azione del governo per le sedute del Consiglio dei Ministri, prendendosela in particolare con l’abitudine di approvare decreti e quant’altro “con riserva d’intese”, cioè senza intese.

            Il giurista e costituzionalista Sabino Cassese si è affrettato a ricordare e spiegare, nel salotto televisivo di Corrado Formigli, a Piazza pulita de la 7, il carattere dovuto e per niente formale del passaggio della pratica di rimozione del sottosegretario Siri al Quirinale. E lo ha fatto dopo avere chiaramente e vigorosamente dissentito dalla posizione assunta da Conte.

            E Salvini ? Il “capitano” leghista, raggiunto dalle notizie romane in Ungheria, ospite del ministro dell’Interno e poi anche del presidente Orban, ha forse indirizzato verso l’Italia il cannocchiale impugnato su una torrettaSalvini.jpg di vigilanza dei confini rafforzati in difesa dai migranti. E ha avvertito: “A me va bene qualsiasi cosa se me la spiegano”. Un po’ meglio, evidentemente, di quanto avesse cercato di fare a Roma nella sua conferenza stampa il presidente del Consiglio facendo ulteriormente salire la temperatura nell’altoforno del governo e della relativa maggioranza.

Rimesso in sesto Silvio Berlusconi, resta sofferente il suo partito

 

Chissà se gli elettori a fine mese, nelle urne per il rinnovo del Parlamento Europeo e di numerose amministrazioni comunali, saranno provvidenziali come i medici dell’ospedale milanese di San Raffaele nella sala operatoria, dove hanno liberato Silvio Berlusconi dal blocco intestinale intervenuto a complicargli una campagna elettorale già difficile di suo. Anche il partito del Cavaliere soffre di un blocco, o quanto meno di un’assai fastidiosa ostruzione, specie da quando la Lega del nuovo corso di Matteo Salvini si è impennata elettoralmente sorpassandolo e conquistando sul campo, l’anno scorso, nel rinnovo ordinario delle Camere, la leadership del centrodestra.

Che poi lo stesso centrodestra a conduzione leghista, pur avendo ottenuto più voti dei solitari grillini, sia rimastoBerlusconi e Salvini.jpg praticamente alla finestra dopo le elezioni del 2018, con lo stesso Berlusconi costretto dalle circostanze ad ” autorizzare”, se non addirittura a incoraggiare, Salvini a sperimentare un governo col Movimento delle 5 stelle, pur di evitare le elezioni anticipate, è stata una ulteriore e neppure ultima complicazione per Forza Italia.

È infatti seguita una serie di elezioni regionali tutte vinte dal centrodestra, ma con un progressivo aumento delle distanze tra Forza Italia e Lega, e contemporaneamente con un capovolgimento dei rapporti di forza fra la stessa Lega e il movimento grillino. Ne è conseguito un aumento di attrazione del Carroccio agli occhi di un elettorato moderato incitato proprio da Berlusconi a considerare i pentastellati come una sciagura paragonabile a quelle dei comunisti e dei nazisti nel secolo scorso.

Salvini, “il capitano”, è tanto cresciuto rispetto a Berlusconi e contemporaneamente ai grillini che gli è sempre venuta meno la voglia, se mai l’ha davvero avuta, di rompere l’alleanza con Luigi Di Maio, magari cadendo in qualcuna delle sue provocazioni, per tornare col Cavaliere. Che è un po’ una delle provocazioni, appunto, tentate dai grillini, ora con Alessandro Di Battista e ora con lo stesso Di Maio, pensando di potere così eliminare il leader leghista come concorrente elettorale perché smascherato al servizio di un Berlusconi magari tenuto lontano da Palazzo Chigi, con la nuova geografia del centrodestra, ma ugualmente forte come ministro degli Esteri, dell’Economia o della Giustizia. Che è l’ultimo spettro evocato da Di Maio, ora che i rapporti fra la politica e la giustizia sono tornati di inquietante e persino drammatica attualità, se mai avevano smesso di esserlo. Lo scatto improvviso di impazienza del presidente del Consiglio Conte sulla strada delle dimissioni o della rimozione del sottosegretario leghista Armando Siri, prima ancora che questi sia interrogato dai magistrati che lo indagano a Roma per corruzione, non aiuta certamente a sminare questo campo, su cui sono peraltro caduti o hanno rischiato di cadere già altri governi in Italia. Ne sa qualcosa, fra gli altri, Romano Prodi sul versante del centrosinistra.

La baldanza di Salvini nei riguardi di Berlusconi, al netto di tutte le telefonate che gli fa per gli auguri personali di ogni tipo, compresi quelli prontamente formulatigli per l’operazione all’intestino, è diventata tale che “il capitano” ha colto l’occasione offertagli dalle elezioni comunali appena svoltesi in Sicilia per fare correre la Lega da sola, in concorrenza aperta con Forza Italia. Che, ormai sotto le due cifre un po’ dappertutto, in alcune località dell’isola per niente marginali è corsa ai ripari con la ricetta del coordinatore regionale, e presidente del parlamentinoMiccichè.jpg siciliano, Gianfranco Micciché. Il quale ha improvvisato riedizioni del famoso “Patto del Nazareno” stipulato nel 2014 sul terreno delle riforme fra il partito del Cavaliere e il Pd appena conquistato da Matteo Renzi: un patto che segnò una nuova rottura fra lo stesso Cavaliere e la Lega, dopo quella consumatasi nell’autunno del 2011 alla nascita del governo tecnico di Mario Monti. Che, diversamente dal Carroccio, fu sostenuto per un bel po’ da Berlusconi, sino alla vigilia delle elezioni del 2013, quando l’ultimo presidente del Consiglio di centrodestra si convinse di essere stato rovesciato da un colpo di Stato, peraltro cavalcato da un professore da lui stesso spinto al laticlavio controfirmando il decreto quirinalizio di nomina a senatore a vita

Certo, ci sono tante differenze fra il vecchio, si fa per dire, Patto nazionale del Nazareno e quello siculo improvvisato da Micciché per rendere pan per focaccia a Salvini e indicare a Forza Italia un’uscita dalle difficoltà opposta a quella della resa o di un sostanziale asservimento alla Lega attribuita, a torto o a ragione, al governatore ancora azzurro della Liguria Giovanni Toti, già consigliere politico di Berlusconi. Il Pd non è più nella disponibilità di Renzi, se mai lo  è stato davvero.  Ora Renzi è il senatore di Scandicci, ridotto a battersi nel suo partito, finché non cederà alla voglia di andarsene, per scongiurare un accordo con i grillini. E le persone che gli sono rimaste più vicine nella diaspora congressuale della gara fra i candidati alla segreteria Nicola Zingaretti, Maurizio Martina e Roberto Giachetti, per esempio l’ex ministra Maria Elena Boschi, parlano con linguaggio cossighiano della posizione o linea di Berlusconi “distinta e distante” dalla sinistra pur riformista di Renzi. Per il quale sarebbe più comodo, specie in caso di rottura col Pd,  cercare di assorbire l’elettorato berlusconiano piuttosto che inseguire o corteggiare personalmente l’indomito Cavaliere.

Ma le cose in politica, si sa, evolvono. Esse cambiano sempre più in fretta e in modo sempre più imprevedibile, specie da quando sono cadute le ideologie e tutto è diventato dannatamente pragmatico, cioè liquido. Chi poteva immaginare una trentina d’anni fa, prima dei marosi di Tangentopoli, nel pur grandissimo frastuono ancòra della caduta del muro di Berlino, la nascita di Forza Italia con un grido da stadio? E chi, nel giro di qualche lustro, l’esplosione e forse adesso già l’implosione del grillismo? O come diavolo finirà per chiamarsi il movimento di Grillo se il disamorato comico genovese se ne distaccherà del tutto e, magari, ci chiederà scusa della confusione che ha provocato mescolando teatro e piazza, riso e pianto.

 

 

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