Salvini dal fronte sovranista di Milano sfida direttamente Conte

            Non so se più provocato dagli attacchi quotidiani, anzi ad ore, del suo omologo grillino Luigi Di Maio, che ne parla come di un avversario e non di un alleato di governo, o più influenzato dallaRepubblica.jpg mobilitazione sovranista a Milano, dove ha dato appuntamento al popolo leghista e ai leader stranieri con i quali sogna di rivoltare l’Europa come un calzino -conciliando chissà come gli interessi nazionali italiani con quelli non meno nazionali degli altri, a cominciare dalla francese Marina Le Pen- il vice presidente leghista del Consiglio Matteo Salvini l’ha sparata più grossa del solito.

           Il leader della Lega ha colto al volo il primo microfono a disposizione nel suo viaggio elettorale per scaraventarlo metaforicamente contro il premier grillino Giuseppe Conte, diffidato dal dargli ordini su qualunque dei temi e problemi sul tappeto, primo fra tutti naturalmente quello dell’immigrazione. Su cui Conte, pur Libero.jpgavendolo coperto nella vicenda estiva della nave “Diciotti”, aiutandolo peraltro ad evitare il processo addirittura per sequestro di persone chiesto dal cosiddetto tribunale dei ministri di Catania, mostra sempre più di frequente di sentirsi a disagio con la pratica della chiusura dei porti. Che è stata appena ribadita da Salvini, nei comizi e negli ordini telefonici ai suoi uffici al Viminale, di fronte all’ennesima nave avvicinatasi alle acque italiane con i  soliti migranti soccorsi in quello che lui ritiene soltanto un traffico di clandestini.

           “Supponente e arrogante”, gli ha risposto a distanza Di Maio paragonando l’alleato-rivale a Matteo Renzi, che contende a Silvio Berlusconi fra i grillini il posto del diavolo. Ma di Renzi il capo del movimento delle 5 stelle ha preferito ricordare quello che da presidente del Consiglio difendeva la ministra Maria Elena Boschi dalle richieste di dimissioni per l’affare “di famiglia” della Banca Etruria, vice-presieduta dal padre. E così Di Maio è tornato, se mai avesse smesso, a contestare a Salvini le difese che fa di tutti i colleghi di partito e di governo che finiscono per avere problemi con la giustizia o, più in generale, con quella che il vice presidente grillino del Consiglio definisce “questione morale”, come ai suoi tempi facevano il segretario del Pci Enrico Berlinguer e successori contro i loro avversari.

            Tutto sommato, questo progressivo spostamento a sinistra di Di Maio, al di là e contro le apparenze di uno scontro all’arma bianca con lui, comparso in qualche murale a Milano nei giorni scorsi, non dispiace forse a Salvini. Che lo ritiene penalizzante elettoralmente per i grillini, ai quali Gazzetta.jpgegli ha già mostrato nelle elezioni locali successive a quelle politiche dell’anno scorso  di portare via voti direttamente da posizioni comunemente definite o considerate di destra. Ma Di Maio è forse preso dalla voglia di fermare a sinistra, appunto, il ritorno dei voti sottratti l’anno passato al Pd ancora di Renzi ma ora guidato da Nicola Zingaretti.

           Certo, a fare le spese di questa intricata battaglia elettorale in corso fra i partiti della maggioranza gialloverde dietro le quinte del rinnovo del Parlamento europeo, del Consiglio regionale del Piemonte e di numerose amministrazioni locali continuano a pagarle il governo con una sostanziale paralisi e il Paese con la sfiducia crescente dei mercati finanziari. Dove i titoli dell’ingente debito pubblico italiano, che Salvini vorrebbe aumentare come volevano fare sino a qualche settimana fa anche i grillini, ci costano sempre più interessi, e quindi più crisi.

 

 

 

 

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Aspettando la festa (si fa per dire) di compleanno della Repubblica

Al Quirinale, per quanti sforzi si facciano per mostrare nervi saldi di fronte alle tensioni moltiplicatesi nella maggioranza di governo con la campagna elettorale, per non parlare degli intrecci fra cronache politiche e giudiziarie, c’è un’ansia da cerimoniale e altro persino maggiore dell’anno scorso, di questi tempi.

Allora si preparavano gli inviti al ricevimento del 2 giugno per la festa della Repubblica mentre la crisi di governo sembrava di lontana e incerta soluzione. Grillini e leghisti, incalzati dalla rassegnazione crescente del capo dello Stato alle elezioni anticipate non con il governo uscente di Paolo Gentiloni, che -sornione- un pensierino ce l’aveva fatto, ma con un governo tecnico presieduto da Carlo Cottarelli, avevano preceduto Sergio Mattarella quasi sul filo di lana aprendo una trattativa a dir poco inusuale, senza che un esponente dell’uno o dell’altro dei dei due partiti ne avesse ricevuto l’incarico.

Noi vecchi cronisti, abituati alle formalità della prima e anche della seconda Repubblica, immaginammo il Presidente, con la maiuscola, quanto meno sorpreso, se non infastidito, specie dopo tutto l’impegno che aveva messo nel condurre le consultazioni direttamente e indirettamente, ricorrendo alle esplorazioni dei presidenti delle Camere. Invece Mattarella ci stupì più di quanto Luigi Di Maio e Matteo Salvini, in ordine sia alfabetico sia di consistenza parlamentare dei loro partiti, avessero stupito lui. E lasciò che i non incaricati trattassero, si dessero dei tempi e chiedessero, ottenendoli, anche i supplementari.

Ad un certo punto, proprio mentre tutto sembrava messo a punto e Giuseppe Conte aveva già fatto il suo esordio mediatico in punta di piedi come presidente incaricato, scoppiò il finimondo che riportò la crisi in alto mare, a pochissimi giorni ormai da una festa della Repubblica in cui francamente si vedeva ben poco da festeggiare. Mattarella perse la pazienza di fronte alla proposta secca di nominare ministro dell’Economia Paolo Savona, in odore di euroscetticismo, a dir poco, se non di anti-europeismo. E Di Maio la perse a sua volta allungando sulla legislatura appena avviata l’ombra di un procedimento d’accusa per alto tradimento al capo dello Stato, dimenticando quanto meno di rappresentare il maggiore partito. Che non poteva decentemente esordire mancando il governo e insieme cercando di mandare il presidente della Repubblica sotto processo nel Palazzo dirimpettaio al Quirinale, che è quello della Corte Costituzionale. Se ne rese conto Beppe Grillo, che da “garante”, “elevato” e non so cos’altro del movimento delle 5 stelle mise a dura prova al telefono i timpani del suo giovane interlocutore.

La tempesta per fortuna passò  con la stessa rapidità con la quale era scoppiata, al modico prezzo, tutto sommato, di spostare il binocolo di Savona sull’Europa dal Ministero dell’Economia a quello, che pure sembrava più vicino, degli affari europei. Il governo Conte nacque il 31 maggio e si insediò col giuramento già l’indomani al Quirinale, in tempo perché tutti i suoi ministri e familiari potessero partecipare e godersi il giorno ancora successivo il ricevimento nello stesso Palazzo, e giardini, per la festa della Repubblica.

Stavolta però i ministri del governo gialloverde, per i quali probabilmente sono già partiti gli inviti dagli uffici del cerimoniale, rischiano di ritrovarsi al Quirinale non per festeggiare ma per continuare a litigareRollijpg.jpgfra le piante e le aiuole e sotto gli stucchi del palazzo sul colle più alto di Roma, come stanno facendo nelle piazze e sui giornali nella campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo, del Consiglio regionale piemontese e di qualche migliaio di amministrazioni comunali: un test cresciuto via via di virulenza e di veleni.

Ci mancherebbe solo che Di Maio e Salvini, o viceversa se i risultati elettorali dovessero rovesciare il 26  maggio i rapporti pur virtuali di forza dei loro partiti, trasformassero qualche angolo del Quirinale nel ring dove Conte peraltro ha già rifiutato prudentemente di fare l’arbitro, sentendosi ben più di questa pur impegnativa figura. E il povero Mattarella non può nemmeno prepararsi a una crisi, se crisi sarà, pensando ai governi balneari di una volta, affidati al buon Giovanni Leone, che pure non aveva le physique du role né di un bagnante né di un bagnino.

Di bagni nell’estate in arrivo, viste le previsioni del tempo, anche di quello non politico, ci sarà da farne ben pochi. Sarà un’estate da conti, più che da bagni.

 

 

 

Pubblicato su Il Dubbio

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