I curiosi sviluppi della guerra siriana -da Siri- nel governo e nella maggioranza

            I giornali, poveretti, grandi o piccoli che siano, sono sfibrati. Non sanno più come titolare, e cosa inventarsi, per riproporre decentemente, vagando fra comizi, dichiarazioni, retroscena e quant’altro, l’interminabile e ripetitiva guerra siriana -da Armando Siri, l’ormai famosissimo sottosegretario leghista sotto licenziamento- in corso nel governo e nella maggioranza. E’ una guerra che si sta svolgendo da troppo tempo senza esclusione di colpi, alti o bassi che siano, per quanto il famoso contratto gialloverde preveda il ricorso a un comitato di conciliazione, peraltro mai istituito formalmente, per dirimere eventuali vertenze fra i due partiti della coalizione ministeriale, e loro appendici. Senza esclusione di colpi, ripeto, e risparmi di aiuti esterni, compresi naturalmente quelli giudiziari, anche se il buon Giuseppe Pignatone, in partenza per ragioni di età proprio dalla Procura di Roma che indaga per corruzioneRolli.jpg su Siri, si è doluto solo di un traffico, secondo lui, a senso unico fra politica e giustizia: con la prima che abuserebbe della seconda strumentalizzandone le inchieste per indebolire o liberarsi del tutto dell’avversario di turno. E se n’è doluto il valente magistrato, con 45 anni di carriera sulle spalle, incitando i politici a prendersi finalmente la responsabilità  di risolversi da soli certi conflitti, di  non ammantarli sempre di aspetti etici che non sanno risolvere né prevenire.

            In realtà, anche se mi rendo conto che Pignatone abbia una certa difficoltà ad ammetterlo, non foss’altro per lenire la sua delusione e anche rabbia verso i colleghi che sbagliano, non sono mancati, non mancano e temo proprio che continueranno a non mancare casi di inchieste giudiziarie, fughe di notizie necessariamente provenienti da toghe e loro collaboratori in divisa, o anche in borghese, spunti investigativi e quant’altro che non sono strumentalizzati dalla politica ma ne sono alimentati, e spesso ne assecondano esigenze o occasioni di lotta.

            Ci sono quanto meno coincidenze che lasciano col fiato sospeso e alimentano, magari a torto, cattivi sospetti. Faccio un esempio che riguarda proprio quella che ho definito “la guerra siriana” in corso nel governo, nella maggioranza e dintorni.

            Nel clima della caccia all’uomo che si è aperta contro Siri da quando è finito indagato per corruzione in ordine a tentativi compiuti, e falliti, di fornire incentivi ad un troppo particolare Gazzetta.jpgtipo, diciamo così, di aziende eoliche non può certamente stupire che un giornale, o testata televisiva, venga a sapere e diffonda la notizia di una segnalazione fatta agli uffici antiriciclaggio della Banca d’Italia di un contratto di compravendita immobiliare riconducibile all’ancora sottosegretario leghista. E’ una segnalazione, peraltro, proveniente dello stesso notaio che ha provveduto a preparare e a stendere l’atto, insospettito dalla provenienza sanmarinese di un mutuo per l’intero importo, o valore, e senza copertura ipotecaria.

           Questo Siri, verrebbe da dire a botta calda con la buonanima di Giulio Andreotti, se le va proprio a cercare, visto peraltro che la palazzina di 7 appartamenti ed altro acquistata a Bresso a fine gennaio per la figlia al prezzo di 585 mila euro sembrerebbe essere stata già rimessa in vendita a un prezzo maggiore. Inoltre, l’affare risulta gestito, almeno nel suo primo passaggio, da un ex candidato sindaco a Bresso simpatizzante di Siri e padre del capo della sua segreteria.

            Calma, però. Il garantismo giustamente reclama calma, appunto. E, per quanto il solito Marco Travaglio abbia già liquidato come pregiudicato il sottosegretario Siri per una condanna pattuita nel 2015 per bancarotta, pur sapendo che una condanna pattuita è cosa diversa da una condanna non pattuita, bisogna aspettare lo sviluppo degli accertamenti di competenza degli uffici antiriciclaggio della Banca d’Italia, cui il notaio si è coscienziosamente rivolto, come dovrebbe fare ogni cassiere di banca se qualcuno di noi si presenta allo sportello e deposita una carrettata di soldi, nel senso vero della parola. Ma sull’affare ha fatto prima ad aprirsi -par di capire, e se non fosse esatto ne prenderei atto ben volentieri- un’indagine della Procura di Milano con l’annuncio suppletivo, che ho sentito non ricordo più in quale dei telegiornali capitatimi a tiro di tasto, della pronta cooperazione con l’indagine in corso a Roma su Siri.

            In questo, a dir poco, bailamme ci mancava solo la notizia anticipata in un titolo dal Messaggero che la guerra siriana -ripeto- in corso nel governo e nella maggioranza gialloverde potrebbe arricchirsi già domani, se davvero il Consiglio dei Ministri vorrà o potrà procedere alla Messaggero su Siri.jpgrimozione del sottosegretario già privato delle deleghe al dicastero delle Infrastruttura, di una querela di Siri al presidente dello stesso Consiglio Giuseppe Conte. Il quale ha deciso di sciogliere drasticamente il nodo non limitandosi a considerazioni di opportunità politica, né facendosi tentare -ha appena detto conversando con i giornalisti nella nuova sede dei servizi segreti, inaugurata alla presenza del capo dello Stato- dalla funzione di “arbitro”, ma formulando di fatto contro il suo ancora o quasi sottosegretario un’accusa da pubblico ministero: quella di essersi fatto portatore di interessi privati, “non astratti”, nella sua attività di governo. E ciò con quelle proposte di modifica a norme vigenti sull’energia peraltro non accolte dal Ministero competente a conduzione grillina, e quindi naufragata in partenza, senza che Siri personalmente né il suo partito ne avessero fatto una questione politicamente di vita o di morte. E ora, al prossimo colpo di scena.

           

Che spreco politico la guerra di Matteo Salvini a Fabio Fazio

Ogni tanto sento e leggo di assonanze, o qualcosa del genere, fra Matteo Salvini e il compianto Bettino Craxi, complici anche le simpatie leghiste vigorosamente espresse, nella franchezza del suo stile, da Maria Giovanna Maglie. Cui le simpatie allora per Craxi costarono il posto all’Unita’, lo storico quotidiano comunista fondato da Antonio Gramsci nel 1924. E purtroppo scomparso dalle edicole, nonostante tutti i tentativi compiuti di salvarlo, insieme, dalla caduta del comunismo e dalla crisi crescente della carta stampata.

Anche a Craxi, bisogna riconoscerlo, furono applicati in vignette e articoli di invettiva politica e culturale, panni, immagini e categorie del fascismo per il suo piglio decisionista. Che mai si avventurò tuttavia sul terreno dove si è spinto Salvini soprattutto per un’emergenza del fenomeno migratorio solo sfiorata  con gli sbarchi degli albanesi in terra pugliese negli anni in cui Bettino era ancora sul campo come componente decisivo di una maggioranza di governo. Ma già avvertiva, il leader socialista come delegato dell’Onu per la soluzione dei debiti dei Paesi africani, la polveriera che avrebbe potuto diventare quel continente per l’Europa e la sua capacità, oltre che volontà, di raccoglierne i fuggitivi dalle guerre e dalla povertà.

L’ultima occasione che ho colto per paragoni fra Salvini e Craxi è l’offensiva aperta dal “capitano” leghista contro i compensi della Rai a Fabio Fazio Al cui salotto televisivo Salvini ha ordinato ai colleghi di partito di non affacciarsi neppure sino a quando il conduttore non si sarà rassegnato alla riduzione dei suoi emolumenti in corso di tentativo da parte degli amministratori dell’azienda pubblica. Che non sono rimasti insensibili, diciamo così, alle proteste di Salvini per un costo del contratto considerato eccessivo, in questi tempi peraltro di magra, per un ente di Stato: 2 milioni e 240 milioni di euro per la sola conduzione della trasmissione Che tempo che fa per ciascuno dei quattro anni della durata, più una decina di milioni per la società di produzione del programma co-posseduta dallo stesso Fazio.

Il precedente attribuito a Craxi è quello del 1984, quando l’allora presidente del Consiglio -peraltro alle prese con un intervento, contestatissimo dall’opposizione comunista, per tagliare di qualche punto la scala mobile dei salari anche modesti in funzione antinflazionistica- prese posizione contro un contratto triennale che la Rai presieduta dal socialista Sergio Zavoli stava negoziando con Raffaella Carrà.

Zavoli fu persino convocato a Palazzo Chigi dall’allora sottosegretario Giuliano Amato per parlarne. E si presentò, sostenuto dal direttore generale Biagio Agnes, demitiano di ferro, per difendere il contratto, non per rinunciarvi.

Fu decisivo contro l’intervento di Craxi l’invito formulato anche da Silvio Berlusconi alla Rai a ridurre i costi delle produzioni televisive calmierando in qualche modo i compensi. Il solo sospetto che il Cavaliere di Arcore, già sostenuto dai socialisti nella sua avventura televisiva, e relativa concorrenza all’azienda pubblica di viale Mazzini, potesse ricavarne un vantaggio bastò e avanzò per vanificare il tentativo craxiano di bloccare o ridurre la portata del contratto alla Carrà.

L’affare Fazio, chiamiamolo così, è ben diverso da quello dell’allora già lady dello spettacolo televisivo: ben diverso per gli importi in gioco e per l’incidenza dell’informazione delFaziojpg.jpg programma passato dalla terza alla prima rete televisiva della Rai e caduto sotto l’attenzione del leader leghista. Che, secondo me, sottovaluta il rischio di faziosità, intesa sotto tutti i sensi, cui si espone la sua ostinata azione di contrasto.

Un politico dovrebbe tenersi lontano da ogni polemica, non dico poi dal sostanziale boicottaggio che è un ordine o semplice consiglio di desistenza dalla partecipazione, quando si affaccia a una finestra informativa. Il confine tra la critica e la censura si fa allora troppo labile perché il politico, di qualsiasi livello egli sia, non ne esca danneggiato. Anzi, più lui è leader, tanto più ci rimette. Mi stupisco, francamente, che il vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno non se ne sia reso ancora conto.

Dirò di più. Oltre a impedire a Fazio di rispettare la cosiddetta par condicio in campagna elettorale, rifiutando i suoi inviti, Salvini si perde l’occasione di trasmettere attraverso di lui messaggi al pubblico sicuramente più utili, ed efficaci, di quelli passati attraverso conduttori televisivi più disponibili o carini. E certamente ve ne sono, senza bisogno di farne i nomi. Sono consigli, naturalmente, non richiesti e molto probabilmente neppure graditi.

 

 

 

Pubblicato su Il Dubbio

Blog su WordPress.com.

Su ↑