La rimozione del sottosegretario leghista Siri come una sceneggiata

            C’è qualcosa, anzi troppo, che non va e non convince dell’epilogo della vicenda dell’ormai ex sottosegretario leghista Armando Siri: una vicenda, francamente, più da vignetta che da cronaca, più da sceneggiata che da dramma, come era stata invece rappresentata per tanto tempo: quando si era creduto che  vi potesse inciampare con una crisi al buio il governo gialloverde del cambiamento. O della “discontinuità”, come l’ha appena definita con vanto il vice presidente grillino del Consiglio Luigi Di Maio commentando la rimozione, infine, dell’esponente del Carroccio indagato per corruzione a Roma, per non parlare del rischio di riciclaggio Gazzetta.jpgche incombe come imputazione su di lui a Milano per un altro fatto. E’ l’acquisto di una palazzina  a Bresso segnalato dallo stesso notaio autore dell’atto per un mutuo senza ipoteca, a totale copertura del prezzo, ottenuto da Siri a fine gennaio da una banca di San Marino. Che non è naturalmente il santo venerato dalla Chiesa il 3 settembre, ma la piccola, materialissima Repubblica del Titano.

            Tanto lunga e ostinata è stata la difesa di Siri da parte del leader del suo partito, vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno Matteo Salvini, tanto dettagliata e motivata quella che a Palazzo Chigi è stata fatta nella sua doppia veste di avvocato e ministro anche dalla notissima ed esperta il manifesto.jpgGiulia Bongiorno, quanto liscia e rapida n’è stata la conclusione, senza neppure ricorrere a una votazione, come d’altronde aveva seraficamente annunciato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Tanto seraficamente e scontatamente che quegli impertinenti del manifesto hanno declassato nel solito, vistoso titolo di prima pagina il Consiglio dei Ministri a Coniglio dei Ministri. Su cui peraltro è caduta, come una ciliegina sulla torta, una clamorosa bocciatura del Quirinale troppo sbrigativamente liquidata sui giornali come una sciocchezzuola “formale”.

            In realtà, il presidente della Repubblica non se l’è sentita di firmare il decreto di rimozione di Siri predisposto dal purMessaggero.jpg professore di diritto e avvocato Conte con una lunga premessa in cui il presidente del Consiglio aveva voluto praticamente riassumere i suoi personali rapporti col licenziando sottosegretario per motivare la fine del rapporto fiduciario con lui.

            Ormai la politica del cambiamento, o della discontinuità, ha abituato in Italia persino i giuristi, viste le loro prime reazioni alla riscrittura del decreto imposta dal Quirinale, alle più curiose soprese, in un ossimoro – l’abitudine alle sorprese- che esprime da solo le paradossali condizioni anche delle istituzioni.

            Le cronache sono piene di retroscena sulle contromosse e simili nella testa o nella pancia del leader leghista per rifarsi del sostanziale kappaò rimediato sul caso Siri, incalzando o spiazzando i suoi alleati di governo sui terreni della lotta alla droga, del fisco e d’altro ancora, utili anche ad alimentare quel che resta della campagna elettorale per le europee e le amministrative del 26 maggio. Che dovranno servire a misurare le distanze fra i due partiti della maggioranza: si vedrà per farne che cosa da parte degli interessati, per rompere o continuare a stare insieme, e in che modo, cambiando registro e forse anche qualche ministro, o lasciando tutto invariato per inseguire il traguardo addirittura del 2023, quando finirà ordinariamente la legislatura cominciata l’anno scorso. Ma con quel che è appena accaduto sul caso Siri, c’è francamente da chiedersi che cosa valgano ancora retroscena e quant’altro sulle tante partite che gioca il leader leghista.

            Salvini peraltro rischia il capogiro nei rapporti con Di Maio. Che dopo averlo piegato a sinistra, diciamo così,  sulla vicenda dell’ex sottosegretario Siri lo ha spiazzato a destra unendosi virtualmente alle proteste dei romani di Casal Bruciato contro la sindaca pentastellata Virginia Raggi, accorsa sul posto per difendere l’assegnazione di un alloggio popolare ad una famiglia bosniaca, avvenuta nel rispetto delle norme vigenti.

 

 

 

 

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Continua dopo 41 anni a produrre misteri l’assassinio brigatista di Aldo Moro

A 41 anni, quanti ne sono trascorsi proprio oggi dal tragico epilogo del suo sequestro, i misteri della vicenda Moro, che fu insieme il dramma di un uomo, di una classe dirigente e dello Stato, non si diradano ma aumentano. E costituiscono, a dispetto o proprio per i tanti processi che si sono svolti nei tribunali e per le tante inchieste parlamentari che sono state condotte, il buco nero dellaMoro morto.jpg Repubblica. Altro che Mani pulite, la successiva vicenda giudiziaria che doveva spazzare via la corruzione con quali risultati vediamo proprio in questi giorni, con retate al Nord e al Sud. O la presunta e chissà ancora se presunta o reale trattativa fra lo Stato e la mafia, su cui si sono appena aperti due processi d’appello. Sono due perché in Italia non ci facciamo mancare niente, grazie alla generosità, almeno in questo, dei nostri codici. Che consentono a vari imputati dello stesso reato di procedere sui binari separati dei riti ordinari e abbreviati, o quasi.

Quest’anno il povero Aldo Moro è stato più sfortunato del solito perché, non essendogli evidentemente bastate le disgrazie in vita, si è trovato investito da una polemica addirittura sul processo di beatificazione in corso, al pari di altri esponenti insigni della politica italiana peraltro da lui conosciuti: don Luigi Sturzo, Alcide De Gasperi e Giorgio La Pira.

La figlia Maria Fida, la mamma di quel piccolo Luca che Moro sognava di accarezzare e baciare scrivendo le sue struggenti lettere di addio ai familiari dalla prigione in cui i terroristi l’avevano rinchiuso e gli alternavano momenti di speranza e disperazione, ha sentito puzza di deviazioni, strumentalizzazioni politiche, curiali e quant’altro sulla santificazione del padre. E ha chiesto al Papa di bloccare tutto, sapendolo comunque già al sicuro  nella parte più luminosa del Paradiso. Sono seguite le dimissioni del postulatore.

Alla vigilia di questo 41.mo anniversario della morte dello statista democristiano sono usciti sul Messaggero resoconti sommari  di una  deposizione di Raffaele Cutolo del 25 ottobre 2016 a due magistrati napoletani sconfinata nei 55 giorni di prigionia di Moro. Durante i quali il capocamorrista, per quanto latitante, grazie a informazioni ricevute da un affiliato operante  a Roma, si mise a disposizione di politici da lui avvicinabili direttamente o indirettamente per fare scoprire il posto dove il presidente della Dc era rinchiuso.

È seguita un’intervista di Miguel Gotor, espertissimo della vicenda Moro, che ha raccontato di avere incontrato anche lui, allora senatore del Pd, Cutolo nel supercarcere di Parma riuscendo a strappargli il nome dell’esponente democristiano che gli aveva fatto conoscere il disinteresse del suo partito all’aiuto offertogli: Antonio Gava. Che era già allora un pezzo da novanta della Dc e avrebbe dopo tre anni usato gli stessi canali per chiedere e ottenere un aiuto, con il consenso del segretario del partito Flaminio Piccoli, per venire a capo del sequestro di Ciro Cirillo, suo amico personale e di corrente, assessore regionale campano che si occupava del business della ricostruzione dopo il terremoto.  Tutto si concluse con quasi un miliardo e mezzo destinato alle brigate rosse e con una ripartizione degli appalti del post-terremoto in qualche modo condizionata dalla camorra.

Di questa storia di Cirillo si parla anche in un libro fresco di stampa in cui la vicenda del sequestro Moro viene raccontata e analizzata per cercare di capire se e in quale misura possa avervi avuto un ruolo un personaggio emblematico del brigatismo rosso non meno dei Curcio e dei Moretti, per quanto processato e condannato solo per fatti terroristici successivi al rapimento e all’assassinio del presidente democristiano: il criminologo Giovanni Senzani. “Il professore dei misteri”, si chiama questo libro, scritto da Marcello Altamura, un giornalista e ricercatore coi fiocchi, e pubblicato dalla casa editrice Ponte alle Grazie.

            A leggere le 441 pagine documentatissime di questo libro, costate sette anni di intenso lavoro consultando atti giudiziari e parlamentari, ricerche anche di altri, saggi, articoli, interviste, si rimane francamente esterrefatti. Credevo di sapere abbastanza della vicenda Moro, avendola brigate rosse.jpgsempre seguita anche per i rapporti di stima e di amicizia che ebbi con quel protagonista di tanta parte della storia del suo partito e del Paese. Beh, alla fine della lettura del “professore dei misteri” non solo ho scoperto di sapere in effetti molto, ma molto meno di quanto ritenessi, ma ho avuto una sensazione incolmabile di sgomento, il presagio che mai si potrà arrivare a fare piena luce, tanti e tanto incolmabili sono stati i vuoti lasciati e persino creati dalle migliaia di persone che hanno maneggiato a vario titolo questa storia terribile.

Mi chiedo chi e come potrà credibilmente spiegare, per esempio, la scomparsa, minuziosamente ricavata dai verbali e dagli inventari consultati da Altamura, dei nastri di ripresa degli interrogatori di Moro trovati fra il tanto materiale nascosto nei covi romani delle brigate rosse scoperti a Roma, anni dopo il sequestro, in occasione della cattura di Senzani. E da questi evidentemente ereditato, visto che giudiziariamente egli risulta estraneo a quella vicenda.

Ma cosa diavolo è successo prima, durante e dopo il sequestro Moro, fra allarmi non raccolti, omissioni, depistaggi, morti parallele, sedute spiritiche, strade scambiate per paesi, covi scoperti accidentalmente ma in tempo perché nessuno vi fosse sorpreso all’interno, pedinamenti falliti o fasulli, memorie improvvisamente perdute e quant’altro? È quanto meno curioso che in un paese come il nostro, in cui si naviga da sempre sui tappeti volanti delle trame e dei colpi di Stato si stenti ancora a riconoscere che Moro fu vittima di un complotto contro di lui e la sua politica. O di qualcosa che gli assomigliò terribilmente.

 

 

 

Pubblicato su Il Dubbio

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