Una volta tanto Mario Monti, non a caso reduce da un voto a sorpresa nell’aula del Senato a favore della relazione del ministro dell’Economia Giovanni Tria sulla vertenza in corso con la Commissione Europea per i conti italiani, ha sorriso al governo in una intervista al Corriere della Sera. Ma lo ha fatto, come vedremo, dividendone con perfidia politica le componenti. E ciò a vantaggio dei grillini, che pure sembravano sino a qualche giorno fa i più lontani dalle sue visioni economiche e sociali. Egli ha loro riconosciuto, in particolare, il merito di volersi tirare fuori dalla “bolla speculativa” in cui si era messo il governo varando una manovra finanziaria e un bilancio di sostanziale sfida all’Unione Europea.
Luigi Di Maio, il vice presidente pentastellato del Consiglio, evidentemente con la storia dei “numerini” -quelli appunto della manovra, del deficit e quant’altro- che debbono venire dopo e non prima degli “interessi dei cittadini”, si è guadagnato da Monti il paragone con l’ ex premier greco Alexis Tsipras. Che all’improvviso volle e seppe passare tre anni fa dalla sfida all’accordo con la Commissione Europea, accettandone l’altissimo prezzo. Su cui ancora oggi si discute a livello internazionale, con osservazioni autocritiche di quanti allora contribuirono a determinarne la consistenza.
“E’ lo Tsipras moment”, ha detto Monti al Corriere della Sera spiegando che quello attuale “di Salvini-Di Maio” è un “moment più diluito nel tempo”, in riferimento alla disponibilità emersa, sia pure tra ambiguità e incertezze, ad allontanare i tempi e al tempo stesso a contenere le maggiori spese derivanti dal cosiddetto reddito di cittadinanza e dall’anticipo dell’età pensionabile.
Pur accomunati nel “moment più diluito”, e compatibile con le condizioni peraltro “non troppo severe” poste in Europa per cercare di bloccare il conto alla rovescia del procedimento d’infrazione per debito eccessivo, Monti ha poi separato i due vice presidenti del Consiglio con una motivazione di cui è difficile prevedere gli effetti, possibili considerando le abitudini e l’attuale forza politica di Salvini. Cui Monti -ripeto- ha preferito Di Maio, al netto dei problemi che il vice presidente grillino del Consiglio sta avendo nelle sue famiglie, anagrafica e politica. Dove il giovane superministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro deve fare i fonti, rispettivamente, con pratiche edilizie o di lavoro irregolari e con i malumori per i troppi condizionamenti che starebbe subendo nel governo a favore del leader leghista.
“Salvini -ha detto testualmente il senatore a vita ed ex presidente del Consiglio saldandosi con le inquietudini grilline- ha in sé due vene di pericolosità che i cinque stelle non hanno: l’avversione all’Europa e una sorprendente capacità di impartire agli italiani un corso quotidiano di diseducazione civica”. “Non è poco”, ha aggiunto Monti spargendo sale sulle ferite del presidente della Camera Roberto Fico e degli altri pentastellati che soffrono sempre più visibilmente del peso leghista nel governo di Giuseppe Conte.
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lanciato l’allarme su un “ritorno al Nazareno”, inteso come accordo politico fra Berlusconi e Renzi. Che fu stretto appunto al Nazareno appena dopo la prima elezione di Renzi al vertice del Pd per riformare Costituzione, legge elettorale e quant’altro. E che potrebbe questa volta servire- ha alluso Travaglio e spiegato meglio Antonio Padellaro- a fronteggiare una sempre più probabile crisi del governo gialloverde con una combinazione di partiti e gruppi parlamentari, già esistenti o da improvvisare appositamente, accomunati dall’interesse ad evitare le elezioni anticipate.
ambito o oltre, perché la vertenza con l’Europa, chiamiamola così, e quella all’interno della maggioranza di governo sui suoi termini e sulle rinunce da fare rispetto alla partenza di fuoco, è ancora lontana da una soluzione. Ossessiva è fra i grillini la preoccupazione di ritardare a ridosso del voto europeo di maggio l’applicazione del cosiddetto reddito di cittadinanza, che pure potrebbe valere qualche decimale utile a ridurre il deficit contestato in sede comunitaria.
Ebbene, secondo uno scoop del Fatto Quotidiano, che fra tutti i giornali è quello che ai grillini piace di più, diretto da quel Marco Travaglio iscritto recentemente da Alessandro Di Battista nella lista degli otto giornalisti più affidabili d’Italia,
sarebbe stato proprio Di Maio a sbloccare praticamente la situazione in un incontro “riservato” col presidente della Repubblica, svoltosi al Quirinale giovedì scorso: una visita “a Canossa”, secondo la versione dello stesso Fatto Quotidiano. Che avrebbe poi consentito al presidente del Consiglio Giuseppe Conte di non andare a mani vuote a cena dal presidente della Commissione Europea Jean Claude Juncker, a Bruxelles.
all’occorrenza sa essere molto ironico. Lo ha dimostrato recentemente scomodando il grande Manzoni per denunciare la cattiva e antica abitudine degli esagitati di accantonare il buon senso per adeguarsi al senso comune.
Quello delle elezioni anticipate non vinte ma stravinte da un centrodestra a salda guida leghista, nelle condizioni cui è ormai ridotta Forza Italia, è l’incubo dei grillini ormai impossibilitati a scommettere, in funzione anti-elettorale, sul forno di un Pd che da marzo scorso è riuscito a dividersi ancora di più. Di questo incubo di Luigi Di Maio e amici, o compagni, avvertito anche senza la prospettiva di un ricorso anticipato alle urne ma con una “campagna acquisti” negli attuali gruppi parlamentari, è espressione l’allarme lanciato sulla prima pagina dal solito Fatto Quotidiano. Dove già non gradiscono da tempo il governo in carica Salvimaio -come lo chiama il direttore Marco Travaglio combinando i nomi dei due vice presidenti, a vantaggio naturalmente del primo- ma ora temono ancora di più il governo Salvisconi: combinazione dei nomi di Salvini e di Berlusconi, sempre a vantaggio del primo.
Da una simile combinazione il giornale di Travaglio si sentirebbe probabilmente minacciato ancor più di quanto non stia avvenendo sul fronte opposto a Repubblica. Che ha reagito agli attacchi e alle minacce dei grillini alla sua linea di trasparente opposizione alla maggioranza gialloverde promuovendo una manifestazione per la libertà di stampa nel teatro Brancaccio, a Roma. Il cui motto è stato proposto dal vignettista Altan rovesciando il significato di quello –“E’ la stampa, bellezza”- reso celebre al cinema dall’indimenticabile Humphrey Bogart. Dai giornali che facevano paura al potere siamo passati, per Altan, ai giornali bruciati dal potere.
le ali all’Italia, il vice presidente grillino del Consiglio Luigi Di Maio se l’è cavata non male, ma malissimo. Non gli è mai mancato il sorriso, in verità, e neppure la tendenza a qualche battuta spiritosa, mai comunque paragonabile al modello andreottiano troppo generosamente attribuitogli in un libro qualche mese fa addirittura dal direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana. Che Iddio lo perdoni, visto che non lo avrà sicuramente fatto il “divo Giulio” dalla nuvoletta assegnatagli nello spazio. Ma oltre ai sorrisi e alle battute il giovane capo delle cinque stesse non è andato.
Ma questi ultimi si guardano bene dal confermarlo, ben decisi comunque a non andare oltre marzo, perché a fine maggio si voterà per il rinnovo del Parlamento europeo e i loro elettori debbono avere potuto almeno assaporare i primi frutti degli alberi piantati durante la campagna elettorale scorsa per il rinnovo del Parlamento italiano.
poco sospetta di politici locali e nazionali in campagna elettorale permanente, deve avere ispirato il vignettista del Corriere della Sera nell’azzecatissima rappresentazione dello scontro appena consumatosi a Bruxelles. Dove la Commissione Europea, rappresentata fisicamente da un imponente Pierre Moscovici, ha ribocciato e avviato verso una procedura d’infrazione per debito eccessivo i conti italiani difesi da un lillipuziano Giovanni Tria, ministro dell’Economia, anzi superministro perché nelle sue competenze sono confluite da tempo quelle dei vecchi dicasteri del Tesoro, delle Finanze e del Bilancio.
la preghiera quotidiana del padre nostro appena aggiornata dai Padri di Santa Romana Chiesa in tema di tentazione, o dando un’occhiata alla felice prima pagina del manifesto, l’obbligo che abbiamo di pagare i nostri debiti per poterne decentemente chiedere altri, da investire per giunta più in assistenza, o beneficenza, che in produzione e posti di lavoro.