Di un Papa che muore si dice che torni alla “casa del padre”, come ricorderanno bene i fedeli che seguirono in Piazza San Pietro l’agonia di Giovanni Paolo II apprendendo appunto con queste parole l’annuncio della dipartita.
Di lei invece ancora fortunatamente in vita, e in buona salute, la deputata ormai ex forzista Daniela Santanchè ha detto di essere tornata alla “casa madre” presentandosi al congresso nazionale dei Fratelli d’Italia, a Trieste. Dove, seduta in prima fila, è stata salutata da Giorgia Meloni col ricordo del “coraggioso” sostegno da lei ricevuto nella sfortunata corsa al Campidoglio, quando Silvio Berlusconi preferì invece puntare prima su Guido Bertolaso e poi su Alfio Marchini, finendo così per facilitare la vittoria della grillina Virginia Raggi nel ballottaggio col piddino Roberto Giachetti.
Il ricordo di quel sostegno nel primo turno, tanto generoso quanto inutile, ha consentito a Giorgia Meloni di strappare a favore della Santanchè un applauso di benvenuto che forse da sola la signora non avrebbe avuto se si fosse presentata sul palco a parlare, anche se ha sprezzantemente liquidato come “stronzate” le voci corse sui rischi di essere fischiata. Sembra infatti che molti a Trieste non volessero perdonare alla Santanchè di avere impiegato tanto a tornare a casa, e di essersene a suo tempo andata troppo presto, peraltro prima come antagonista di Silvio Berlusconi, candidata a Palazzo Chigi da Francesco Storace, e poi come sua fedelissima.
Non vorrei che con questa storia del ritorno alla “casa madre”, visto che i Papi tornano da morti alla casa del padre, Daniela Santanchè si guadagnasse un altro soprannome: quello di papessa, dopo quelli di pitonessa e di Santa, fortunato abbreviativo del cognome guadagnatosi sposandone a suo tempo, prima naturalmente di separarsene, il titolare anagrafico
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