

Mondo ladro, deve avere gridato qualcuno al Cremlino commentando l’ultima del sabato nero di Putin: la vittoria degli ucraini anche all’Eurofestival di Torino con la Kalush Orchestra, raccomandata personalmente in lontananza dal presidente Zelensky, sicuro di poter ospitare nel suo paese la prossima edizione della kermesse continentale della musica. “Vittoria entro l’anno”, ha del resto detto il capo degli 007 ucraini, il generale maggiore Kyrilo Budanov, parlando fra “previsioni e segreti” – ha riferito il Corriere della Sera- della guerra imprudentemente aperta dai russi senza neppure dichiararla, chiamandola solo “operazione speciale” di pulizia, o polizia, addirittura antinazista.

Un sabato nero, dicevo, per Putin. Sul quale sono cadute come bombe al grappolo, di quelle che piovono fra missili ed altro sull’Ucraina dal 24 febbraio, la liberazione di Kharkiv dall’occupazione russa e il sostanziale rientro del veto turco all’adesione -non “annessione”, come dicono a Mosca- della Finlandia e poi anche della Svezia alla Nato, sconsigliata personalmente come un errore da Putin ai vicini impauriti della sua fama di territori. O dell’ossessione di accerchiamento non nuova da quelle parti, essendo stata avvertita anche dai sovietici e portata a giustificazione delle loro invasioni e crescenti rampe missilistiche nei territori dei paesi dell’allora patto di Varsavia. Cui la Nato reagì con un riarmo a inseguire il quale l’allora Unione Sovietica si schiantò sul piano economico e sociale, crollando senza che gli occidentali avessero avuto bisogno di sparare un solo colpo. A picconare e demolire l’emblematico muro di Berlino nel fatidico 1989 furono gli stessi berlinesi con le loro mani, sotto lo sguardo un pò esterrefatto e un pò anche compiaciuto delle guardie dell’est, stufe pure loro di sparare per uccidere chiunque tentasse di scappare nella parte occidentale della capitale tedesca spartita fra i vincitori della seconda guerra mondiale.

Arrivato dov’è per chiudere l’epoca sovietica, Putin l’ha voluta chissà perché riaprire riesumandone qualche volta anche i simboli. Ed ora si trova -dietro la facciata delle parate militari e delle sparate verbali del suo ministro degli Esteri, convinto che sia stato l’Occidente a “dichiarare una guerra ibrida totale contro la Russia”- nella posizione di chi deve cercare di “salvare la faccia”. Glielo ha fatto dire impietosamente Altan nella vignetta di prima pagina di Repubblica, in Italia.

Altri invece ritengono, sempre in Italia, che Putin tema anche di perdere qualcosa in più: la vita stessa, già minacciata da chissà quale delle numerose malattie che medici improvvisati in Occidente diagnosticano guardandone le immagini fotografiche e soprattutto televisive. “Ma la morte di Putin non è la soluzione”, ha avvertito con il suo editoriale oggi sulla Verità, unendosi al coro delle richieste di trattative, il direttore in persona Maurizio Belpietro, per niente imbarazzato dalle critiche che gli arrivano dai lettori. Ad uno dei quali egli ha voluto recentemente rispondere assicurando di essere sempre lui, non un altro.

Un pò di sconcerto per la piega presa dalla guerra in Ucraina, con una capacità di resistenza degli aggrediti superiore ad ogni aspettativa, si coglie in Italia anche da certe parti della maggioranza sempre più insofferenti per gli aiuti militari a Zelensky. Alludo, in particolare, a Matteo Salvini -sul fronte del centrodestra- e sull’altra sponda a Giuseppe Conte. Che, deluso da Enrico Letta troppo affiancato a Mario Draghi, ora sogna un rapporto privilegiato con Pier Luigi Bersani, secondo notizie raccolte e rilanciate da Repubblica scrivendo della “roulette delle coalizioni”.

E’ meglio occuparsi d’altro, dev’essersi detto Beppe Grillo aprendo il suo blog personale – ma non più tanto dopo gli ultimi accordi con Conte- della “intelligenza delle piante che estraggono i metalli dal terreno” senza bisogno di devastarlo.
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