Mario Draghi si toglie un pò di sassolini dalle scarpe, per la guerra e altro ancora

Titolo del Fatto Quotidiano

Accusato dal giornale più ostile, che è naturalmente Il Fatto Quotidiano, di “scaricare sui partiti le colpe del suo governo”, Mario Draghi si sta forse togliendo più banalmente e umanamente qualcuno dei sassolini accumulatisi nelle scarpe in questi difficili mesi di campagna elettorale, di epilogo della legislatura e persino di una guerra -quella nell’Ucraina- sulla la quale forze e singoli esponenti della maggioranza si distinguono cercando più voti che pace. 

Titolo di Repubblica

Sembra un sassolino dalla scarpa, per esempio, la lettera  alla presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati che Draghi ha mandato prima di partire da Roma per la festosa visita, fra l’altro, ad una scuola di Sommacampagna, nel Veronese. Dove il presidente del Consiglio ha colto l’occasione per ribadire, a proposito della guerra in Ucraina, che Putin alla pace da tutti reclamata gli ha detto personalmente di non essere “al momento” interessato, avendola peraltro cominciata lui.

Poiché la presidente del Senato aveva a suo modo partecipato alle invocazioni dei partiti dissidenti  o insofferenti della maggioranza  perché il governo riferisse sulla guerra al Parlamento e si facesse magari dare un nuovo mandato a seguirla, dovendosi evidentemente ritenere  superato quello ottenuto a marzo quasi all’unanimità, col voto favorevole anche della opposizione di destra di Giorgia Meloni, non è stata forse casuale la implicita protesta del presidente del Consiglio per il ritardo accumulato al Senato dal disegno di legge sulla concorrenza. Che va approvato entro maggio se non si vogliono perdere i finanziamenti europei al piano della ripresa. I partiti, specie quelli di centrodestra, ci avranno messo di sicuro del loro nel ritardo dell’esame del provvedimento, pensando più ai gestori degli stabilimenti balneari preoccupati delle gare che potrebbero disturbarli nelle concessioni, che alla sorte del piano di ripresa nazionale. Ma neppure la presidente del Senato può ignorare la posta in gioco, e darsi conseguentemente da fare.

Luigi Di Maio alla Stampa

        Quando non se lo può togliere di persona, qualche sassolino dalla scarpa Draghi lo fa espellere dal suo fidato ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Che oggi in una intervista alla Stampa ha liquidato come “provocatore seriale” il leader leghista Matteo Salvini. Dal quale nella discussione sulla guerra appena svoltasi al Senato dopo l’“informativa” del governo, oltre ad una protesta per quell’animale” dato dallo stesso Di Maio a Putin all’inizio dell’invasione dell’Ucraina, erano arrivati solleciti a Draghi a chiamare personalmente Putin per verificarne la disponibilità  -come se lo stesso Salvini ne avesse già acquisito l’esistenza chissà con quali mezzi- ad un approccio, quanto meno, alle trattative. E ciò attraverso lo sblocco delle esportazioni di grano dell’Ucraina ferme nei porti minati, una tregua di 48 ore e una sponsorizzazione di Odessa come sede dell’Expo 2030, ritirando la candidatura di Mosca. 

Titolo del Giornale
Titolo di Domani

Ma ancor più che da Salvini, problemi a Draghi per la guerra in Ucraina stanno arrivando da Silvio Berlusconi, diventato secondo il  quotidiano Domani una “mina vagante” per il lamentato “coinvolgimento” dell’Italia con gli aiuti militari a Kiev e per l’auspicio, espresso ieri parlando a Napoli, che l’Unione Europea convinca Zelensky a “rispondere alle domande di Putin”. Il Giornale di famiglia ha cercato di diplomatizzare la sortita   facendo dire in un titolo all’ex presidente del Consiglio che “non c’è soluzione se non si coinvolge Putin”, ma le parole del Cavaliere sono apparse qualcosa in più ad altri quotidiani. 

Titolo della Stampa
Foto e titolo di Repubblica

La Repubblica di carta ha riproposto fotograficamente il vecchio sodalizio in pelliccia di Berlusconi e Putin, “l’amico russo”. E ha evocato “quegli scheletri nel lettone” regalato da Putin al Cavaliere. Che ora “riscopre la passione per lo Zar”, ha titolato La Stampa 

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Se è proprio Berlusconi a mettere in imbarazzo Stefania Craxi

Titolo del Dubbio
Filippo Ceccarelli su Repubblica

“Quando si dice un caratterino. Stefania Craxi, eletta presidente della Commissione Esteri del Senato come esito dell’ultimo suicidio cinque stelle, è solo un pochino meno tosta di suo padre”, ha scritto su Repubblica Filippo Ceccarelli. Ed è proprio al padre, Bettino, che la figlia ha voluto richiamarsi sostenendo, appena eletta in questi tempi di guerra in Europa provocata dall’aggressione di Putin all’Ucraina, la necessità di “una durezza per condurre a un dialogo” e di “un atlantismo della ragione che non ammette deroghe ma non accetta subalternità”. 

Bettino Craxi

            L’atlantismo della ragione senza deroghe è quello praticato da Bettino Craxi negli anni della guerra fredda. Allora il leader socialista prima condivise il riarmo missilistico della Nato chiesto dagli Stati Uniti per recuperare lo svantaggio derivato dalla installazione dei missili SS20 nelle basi del Patto di Varsavia puntati contro l’Occidente, e poi da presidente del Consiglio fece installare a Comiso, come i tedeschi nella Germania di Bonn,  i più potenti missili Pershing e Crouise. Fu la sfida che schiantò letteralmente l’Unione Sovietica, senza bisogno di sparare un solo colpo. 

            L’atlantismo che non accetta subalternità è quello praticato nell’ottobre 1985 dallo stesso Craxi, sempre come presidente del Consiglio, in quella che è passata alla storia come “la notte di Sigonella”. Dove Craxi ordinò ai militari italiani nella omonima base americana di circondare e proteggere dall’assalto dei marines un aereo egiziano che era stato costretto ad atterrarvi trasportando verso l’Algeria il capo e alcuni autori dell’operazione terroristica palestinese di sequestro della nave Achille Lauro nel Mediterraneo. A giudicarli non poteva essere un tribunale americano ma la magistratura italiana, come la bandiera che batteva la nave espugnata e poi liberata con la mediazione del Cairo.

            Neppure al presidente americano in persona, Ronald Reagan, intervenuto con una telefonata dopo una inutile incursione dell’ambasciatore statunitense a Palazzo Chigi, Craxi permise di prevalere. E quando il ministro della Difesa Giovanni Spadolini si dimise per protesta contro la protezione diplomatica del capo dei terroristi garantita dagli egiziani, Craxi reagì prendendone semplicemente atto. Fu poi Spadolini a rinunciare alla protesta perché Reagan riconobbe la sovranità reclamata dal “dear Bettino”, come gli scrisse personalmente predisponendo un incontro chiarificatore alla Casa Bianca.

            Con simili precedenti, e in un momento come questo, nel quale si torna a discutere, per via della guerra in Ucraina, come si debba stare nella Nato per perseguire una comune linea di difesa e di sicurezza,  solo un politico un pò troppo improvvisato poteva pensare di fare battere Stefania Craxi nelle votazioni per la presidenza della Commissione Esteri del Senato da un grillino, per quanto diverso da quello precedente, espulso dallo stesso Movimento 5 Stelle perché sfacciatamente putiniano.

Mario Draghi
Giuseppe Conte

            Giuseppe Conte ha indirizzato le sue proteste al presidente del Consiglio, reclamando rispetto per gli undici milioni di voti grillini del 2018, più degli otto milioni di baionette della buonanima di Mussolini, senza la consapevolezza -temo- della posta in gioco. A Mario Draghi impegnato a condurre con Putin a distanza, insieme col presidente americano Biden e con i soci del’Unione Europea, un duro confronto per arrivare ad una trattativa di pace in una Ucraina sopravvissuta all’invasione grazie agli aiuti occidentali, la soluzione trovata al problema della presidenza della Commissione Esteri non poteva risultare più adatta. 

Giuliano Urbani al Corriere della Sera
Silvio Berlusconi ieri a Napoli

            Una presidente di centrodestra come Stefania Craxi, eletta al secondo scrutinio segreto -peraltro  col voto determinante non di un renziano, come sostenuto dai grillini, ma di Mario Monti- serve a Draghi anche per contenere paradossalmente Silvio Berlusconi. Che di recente ha ripetutamente concesso a Matteo Salvini- aumentando il clima di tensione esistente in Forza Italia e la voglia dichiarata al Corriere della Sera da Giuliano Urbani di stracciarne la vecchia tessera- la condivisione di un certo fastidio per il coinvolgimento di fatto dell’Italia nella guerra a causa degli aiuti militari agli ucraini. 

Anche Berlusconi a suo modo troverebbe pane per i suoi denti se fosse ancora tentato dal menù di Salvini. Che al Senato, nella discussione su una “informativa” di Draghi, è tornato a borbottare, diciamo così, contro l’invio di altre armi a Kiev assicurando che Putin non rimarrebbe insensibile se il presidente del Consiglio italiano gli proponesse personalmente lo sblocco delle esportazioni di grano ferme per la guerra, una tregua di 48 ore e una significativa rinuncia di Mosca a favore di Odessa ancora ucraina per ospitare l’Expo 2030. Il leader leghista o è troppo informato o troppo ottimista, persino più di Conte, l’altro dissidente “pacifista” della maggioranza.  

Pubblicato sul Dubbio

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