Quel mezzo fantasma del piano di pace di Luigi Di Maio per l’Ucraina….

C’è un fantasma italiano che si aggira nelle cancellerie internazionali, persino nel palazzo di vetro delle Nazioni Unite, a New York. E’ un piano di pace: non quello tuttavia dei balneari, da cui pure è sembrato per un pò dipendere addirittura la sopravvivenza del governo di Mario Draghi, rifiutatosi di estrapolare dal disegno di legge sulla concorrenza le gare reclamate dall’Unione Europea per le concessioni delle spiagge, e osteggiate in particolare dal centrodestra. Dove sentono in pericolo addirittura settecentomila posti di lavoro, minacciati da multinazionali e simili che potrebbero subentrare ai concessionari attuali.

Medvedev su Di Maio secondo il Corriere della Sera

Molto meno modestamente si aggira per le cancellerie internazionali un piano italiano per la pace in Ucraina, che però prima ancora della stessa Italia porta il nome del ministro grillino degli Esteri Luigi Di Maio anche perché sino ad ora non ne ha mai parlato il presidente del Consiglio per condividerne la paternità, pur scrivendosene diffusamente un pò dappertutto. Ne ha appena parlato, per esempio, l’ex presidente russo, ora vice di qualcos’altro, Dmitry Medvedev, per liquidarlo come peggio non si poteva, trovandolo “preparato non da diplomatici, ma politologi locali che hanno letto giornali provinciali e che operano solo sulla base delle notizie false diffuse dagli ucraini”. 

Titolo di Repubblica

“Di Maio-Medvedev, scontro sul piano di pace italiano”, ha titolato in prima pagina Repubblica con una incompletezza che fa torto francamente alla scelta del ministro degli Esteri di affidarle la settimana scorsa l’esclusiva del documento, sia pure “allo stato embrionale” che l’autore ha voluto precisare di fronte alle critiche liquidatorie- ripeto- dell’ex presidente russo. 

Penso, a favore di Di Mao, che più importante della bocciatura dell’ex presidente sia la prudenza, quanto meno, del portavoce del presidente russo in carica -Dmitry, pure lui, Peskov- che ha tenuto per ora ora fuori dalla contesa Putin perché al Cremlino il documento italiano non sarebbe stato ancora letto. O non ancora dal presidente in persona. Che forse, chissà, qualcosa delle pur “embrionali” proposte di Di Maio potrebbe trovare di un certo interesse, come la neutralità da imporre all’Ucraina e una conferenza per la sicurezza e i confini europei analoga a quella svoltasi nel 1975 a Helsinky, ben prima della caduta del muro di Berlino e del comunismo, nell’autunno del 1989, e di tutto ciò che poi è seguito, compresa la guerra in corso. 

Il Fatto Quotidiano su Di Maio

Certo, il silenzio sinora di Draghi sul documento del suo ministro degli Esteri non è ordinario, diciamo così. E neppure meritato da Di Maio, che ha fiancheggiato il presidente del Consiglio nella linea fortemente atlantista e di aiuti anche militari all’Ucraina messa invece in discussione dal capo del MoVimento 5 Stelle Giuseppe Conte. Ma ancor meno ordinario, o più sorprendente, come preferite, è l’indifferenza dello stesso Conte per il piano di Di Maio.  Di cui egli  avrebbe potuto o dovuto, sempre come preferite, quasi appropriarsi, non foss’altro per cercare di mettere in qualche imbarazzo il silente Draghi, succedutogli a Palazzo Chigi più di un anno fa. Invece, niente. Conte ha girato la testa dall’altra parte anche a Di Maio e al suo piano. Di cui anzi il giornale più nostalgico dello stesso Conte a Palazzo Chigi, Il Fatto Quotidiano, si è affrettato a rilevare, o rivelare, un sostanziale fallimento. Sentite cosa o come ne hanno scritto sul giornale di Travaglio: “Chissà come avrebbe reagito la stampa italiana quando, compatta, considerava il ministro degli Esteri un incompetente e un impostore, all’esito del suo piano di pace. Oggi che Luigi Di Maio è il volto desiderabile dei 5stelle, le critiche sono messe sotto il tappeto, anche se il piano, lanciato come la novità della settimana da Repubblica lo scorso 19 maggio, sembra archiviato”.  

Ripreso da http://www.startmag.it

Ciò che rimane dei rapporti politici e umani dopo trent’anni di giustizialismo….

Titolo del Dubbio

 Per come si sono messe le cose con l’attualità sequestrata dalla guerra in Ucraina -anch’essa sfruttata dai partiti nel gioco dei quattro cantoni per smarcarsi l’uno dall’altro e tutti insieme dal governo cui pure accordano la fiducia- e col contenimento del tempo concesso alle votazioni, nella sola giornata ormai estiva del 12 giugno, temo che i risultati dei referendum sulla giustizia promossi da leghisti e radicali non risulteranno validi. Essi saranno probabilmente vanificati dal solito, crescente astensionismo. 

Silvio Berlusconi a Napoli

Nè credo, francamente, che sarà riuscito a scaldare il cuore degli elettori l’appello appena lanciato loro da Silvio Berlusconi nel discorso a Napoli sulla sua ridiscesa in campo, o sull’eterno ritorno, come altri lo hanno chiamato, perché l’uomo francamente non appare nelle migliori condizioni politiche. Il “suo” centrodestra -suo perché fu lui a fondarlo nel 1994, pur vestendolo un pò all’Arlecchino, con i leghisti promossi ad alleati al Nord e la destra di Gianfranco Fini promossa nel Centro e nel Sud, ben al riparo dagli sputi neppure tanto metaforici del padanissimo Umberto Bossi- è in uno stato a dir poco confusionale: diviso dalle opposte ambizioni leaderistiche di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni e segnato dalla ridotta “spinta propulsiva” di Forza Italia. Così la buonanima di Enrico Berlinguer disse ad un certo punto  del comunismo che pure il suo partito portava ancora nel nome, nelle insegne e nel colore. 

L’enigma Giuseppe Conte

Sì, so bene che i sondaggi sono ancora favorevoli al centrodestra e che il segretario del Pd Enrico Letta ammonisce i suoi del campo più o meno largo a non scommettere più di tanto sulla incapacità degli avversari di arrivare uniti lo stesso alle elezioni generali dell’anno prossimo, salvo anticipi per incidenti di percorso, quanto meno, se non per i calcoli sbagliati dell’insofferente presidente del movimento 5 Stelle Giuseppe Conte. Del quale si potrebbe ripetere ciò che la buonanima di Winston Churchill diceva della Russia sovietica pur dopo averla assunta nell’alleanza antinazista della seconda guerra mondiale: “un rebus avvolto in un mistero che sta dentro a un enigma”. Non immaginava, poveretto, che cosa sarebbe riuscito a fare della Russia non più sovietica Putin molti, moltissimi anni dopo. 

Mario Draghi

Non mi strappo tuttavia le vesti pensando a ciò che potrà accadere dopo il prevedibile naufragio astensionistico dei referendum, in un Parlamento che in ogni caso  non più tardi dell’anno prossimo sarà liberato dalla “centralità” grillina di cui l’attuale è in qualche modo prigioniero dal 2018. Lo è anche in questo finale di legislatura gestito da un presidente del Consiglio come Mario Draghi, prudentemente protetto da Mattarella in una maggioranza molto larga. Dove i grillini per forza di cose contano meno di prima e debbono inghiottire ogni tanto bocconi amarissimi, come la permanenza dello stesso Draghi a Palazzo Chigi o l’ancor fresca elezione di Stefania Craxi alla presidenza della Commissione Esteri del Senato contro il candidato pentastellato ed ex capogruppo Ettore Licheri. 

Le vesti me le strappo piuttosto già adesso, senza aspettare il 12 giugno, vedendo il livello al quale sono ridotti il giornalismo e dintorni dopo una trentina d’anni di giustizialismo iniettato nella politica e nella opinione pubblica dalla magistratura per niente placata, anzi ancor più eccitata dalla decapitazione della cosiddetta Prima Repubblica. Cui sono seguite una seconda, una terza e persino una quarta, stando a certe trasmissioni televisive, più o meno incapaci di restituire alla politica il primato assegnatole dai costituenti. 

Giorgio Napolitano
Lia Quartapelle

Proprio l’appena ricordata elezione di Stefania Craxi alla presidenza della Commissione Esteri del Senato ha fornito l’occasione a Gianni Barbacetto sul Fatto Quotidiano per stendere una specie di lista di proscrizione dei craxiani, familiari e non, sopravvissuti al leader socialista. Ha chiuso la lista una deputata esperta di politica estera, la “ragazza prodigio del Pd milanese” Lia Quartapelle, perché- sentite- “diventata moglie di Claudio Martelli”. Ne è rimasto escluso, forse considerandone il ricovero all’ospedale Spallanzani di Roma per un intervento alla bella ma pericolosa età di quasi 97 anni, Giorgio Napolitano. Che da presidente della Repubblica fece infuriare i nemici di Craxi riconoscendo alla vedova, in una lettera nel decimo anniversario della morte, che il marito aveva ricevuto dalla magistratura e appendici  un trattamento di una “durezza senza uguali”. A proposito, auguri centenari, caro presidente. 

Da una prima pagina del Fatto Quotidiano

La ciliegina sulla torta di Barbacetto è il titolo apposto al suo articolo nel richiamo di prima pagina del quotidiano di Marco Travaglio: “Di Craxi non si butta niente”, come si dice -guarda caso- del maiale. E questo sarebbe  giornalismo, o confronto politico. Un deserto culturale e umano, direi.  

Pubblicato sul Dubbio

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