

Proseguono senza tregua, impietose e parallele, le guerre con le armi e con le parole: la prima in Ucraina, naturalmente, e la seconda sui giornali. Dove si trova davvero di tutto a proposito dell’incontro fra Biden e Draghi alla Casa Bianca: dal “pugno di mosche” attribuito al presidente del Consiglio dal manifesto, o dalla “missione incompiuta” del Fatto Quotidiano, che pure non gliene aveva attribuita alcuna dovendo il premier solo ricevere ordini, ai piedi puntati dell’ospite visti nelle parole con cui egli ha avvertito che la pace in Ucraina non potrà essere quella imposta “da altri”. Che sarebbero gli Stati Uniti, per conto dei quali il presidente ucraino si starebbe battendo con tanta ostinazione contro Putin.


A questa rappresentazione dei piedi puntati da Draghi nell’incontro con Biden si sono prestati anche Avvenire, il giornale dei vescovi italiani, e il quotidiano della Confindustria 24 Ore. Nè all’uno né all’altro è sorto il sospetto -che è invece la mia personale convinzione- che gli “altri” cui alludeva Draghi parlandone a Washington fossero e siano Putin e la sua corte, se non vogliamo parlare dei russi in senso lato, meritevoli forse di essere distinti da quelli che li stanno governando.
Non è un caso -credo- che il presidente del Consiglio abbia precisato che la pace dovrà essere quella scelta dagli ucraini e che la guerra abbia sfatato il mito della invincibilità di Putin, per niente Golia senza ombra di un David. Sconfiggerlo insomma non è per niente impossibile o velleitario, come ritenevano e ritengono che il presidente ucraino Zelensky per ridurre le perdite avrebbe dovuto scappare o arrendersi dal primo momento, anziché resistere e chiedere aiuti all’Occidente.
Poi, certo, una volta sconfitto o comunque piegato Putin ad una trattativa sino ad ora rifiutata, o condotta -sino a quando si è svolta in Turchia- in modo da vanificarla, si potrà condividere col presidente francese Emmanuel Macron la necessità. opportunità e quant’altro di “non umiliare” la parte soccombente, come si fece alla fine della prima guerra mondiale con i tedeschi predisponendo le condizioni dell’avvento di Hitler e del secondo conflitto, ancor più mondiale del primo.

Vedremo, al suo ritorno, cosa dirà Draghi il 19 maggio alla Camera per riferire sulla missione negli Stati Uniti e, più in generale, sulla guerra in Ucraina e sui suoi riflessi. Il predecessore Giuseppe Conte, ora presidente non parlamentare, quindi un pò a distanza, del MoVimento 5 Stelle, che egli ancora considera il partito di maggioranza in questo Parlamento, è già impaziente, anzi insoddisfatto perché non di una informativa, senza voto conclusivo, ma di un vero e proprio dibattito, con tanto di votazione finale su uno o più documenti, si dovrebbe sentire il bisogno.

Il clima politico insomma resta teso, per quanti sforzi si possano fare nella guerra delle parole di tirare Draghi da una parte o dall’altra, o forse proprio per questi sforzi. Un osservatore economico, diciamo così, senza partiti alle spalle, o di fianco, come Carlo Cottarelli si è spinto sulla Stampa a dare un consiglio pur in tempi di guerra che un pò sono quelli in corso: risparmiare al governo e, più in generale, al Paese le tensioni di una campagna elettorale di un anno e anticipare il rinnovo delle Camere, nella previsione -pur non espressa dal professore- che nelle nuove né Conte né altri al suo posto potranno rivendicare la “centralità” dei grillini come partito più rappresentato in Parlamento. Aspetto al varco il primo cretino che vedrà in questo intervento di Cottarelli un’aspirazione a guidare il governo elettorale mancatogli negli anni scorsi.