Processo di “Re Gustavo” ai presidenti della Repubblica, salvo Mattarella

Titolo di Reoubblica di ieri
Titolo del Foglio di oggi

           Diversamente dal mio amico Giuliano Ferrara, incontinente sino alla villania quando qualcosa o qualcuno non gli garba, tanto da avere liquidato fra “i tromboni”, in un titolo di prima pagina del Foglio, il presidente emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky, mi ha intrigato moltissimo quel commento dedicato ieri su Repubblica ai “tarli” di cui bisognerebbe forse cominciare a curare meglio mobili, tappezzeria ed altro del Quirinale. Mi è piaciuto sin dall’approccio, decisamente contrario all’”apoteosi -ha scritto l’esimio costituzionalista- delle trattative segrete, dei calcoli di utilità di soggetti più o meno visibili, dei giochi e degli intrighi di palazzo” che hanno caratterizzato un po’ tutte le corse al Colle.

Vuoi vedere -mi son chiesto- che Re Gustavo, come il professore veniva chiamato dai suoi studenti per l’autorevolezza di cui godeva, per i modi un po’ aristrocratici con i quali si muoveva, misti tuttavia a  gesti inattesi di cordialità che si coglievano anche in Aldo Moro;  vuoi vedere, dicevo, che Re Gustavo dà un mano anche a un tapino come me, sempre lamentatosi dell’assenza di una qualsiasi disciplina delle candidature per l’elezione del presidente della Repubblica da parte delle Camere riunite in seduta congiunta con i delegati regionali come in una seduta spiritica?

Gustavo Zagrebelsky

Ma Re Gustavo- ripeto- è andato ben oltre questa mia modestissima e irriverente aspettativa. Egli ha preso di petto frontalmente, dopo più di 70 anni di storia repubblicana, la figura del capo dello Stato a lungo immaginata e condivisa da fior di costituzionalisti come un fisarmonicista. Che dà e toglie aria al suo strumento secondo le circostanze politiche, valutando le condizioni di ascolto e persino di respirazione dei partiti e dei loro gruppi parlamentari.

Il professore Zagrebelsky su Repubblica

In un crescendo di ricordi lasciati nell’anomimato, salvo che per la “fortuna” costituita dal presidente uscente, Zagrebelsky ha rimproverato ai predecessori “moniti sui più diversi argomenti di stretta competenza politica, pressioni su decisioni che spettano al Parlamento, pretese condizionanti le formule di governo, uso di poteri fuori delle condizioni previste per il loro esercizio”. Anche a costo di sembrare un Cossiga col piccone, che ai suoi tempi naturalmente egli non aveva per niente gradito, il professore ha scritto che “la lista potrebbe continuare fino a comprendere interdetti e veti o sponsorizzazioni su  persone invise o gradite. Col il che -ha spiegato- si è finito per creare reti di relazioni che facilmente possono trasformarsi in diffusi “giri di potere” nel governo, nelle Camere e nel sottogoverno. Onde si è parlato in certe circostanze, senza accorgersi dell’ossimoro, di “partiti del Presidente”. Tutto questo, in più, con la copertura offerta dalla Corte Costituzionale, la quale, per non smentire la massima carica dello Stato, ha steso un velo di silenzio sui suoi contatti “informali”, che possono contenere interventi inconfessabili e incontrollabili”.

Giorgio Napolitano e Nicola Mancino

“Su questo punto letteralmente cruciale delle nostre istituzioni -ha concluso Zagrebelsky  con allusione tanto chiara a Giorgio Napolitano che sarebbe sciocco contribuire a nascondere- si è determinata non una supplenza, ma una vera e propria “modifica tacita della Costituzione”, di cui ora avvertiamo la portata e i rischi”.   Ma che cos’è, professore, scherzi a parte, come spesso capita di dovere avvertire: un’autocandidatura all’età d’altronde ben portata di 78 anni?  Rubo stavolta la malizia a Ferrara.

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