A 87 anni ben portati, beato lui, tanto che Wikipedia potrebbe anche risparmiarsi e risparmiargli quell’anno che gli sconta generosamente, Carlo De Benedetti è tornato agli amori giovanili nel campo che gli ha dato le più grandi soddisfazioni ma anche i più grandi dispiaceri. Che è quello dell’editoria, praticando il quale gli è toccato di possedere persino la Repubblica, per fortuna solo quella di carta, e di vedersela rovinare e perdere dai figli, strapazzati a dovere come facevano i genitori di un tempo: mica gli smidollati di oggi, che fanno le moine agli eredi anche quando ne combinano di tutti i colori.


L’amore di un tempo è naturalmente per De Benedetti La Stampa della sua Torino. Che, ospite ieri sera di Lilli Gruber nel salotto televisivo di Otto e mezzo, egli ha consigliato ai lettori come il giornale più ragionevole e ben fatto della sinistra, o di quella che lui scambia per tale ben volentieri pur di tenerne fuori la ora odiata Repubblica. E Domani, il quotidiano che l’ingegnere ha fondato per meglio dimenticare e vendicare quello rovinato dai figlioli? Beh, anche quello naturalmente andrebbe acquistato la mattina ma come secondo giornale, privo com’è l’altro della cronaca e dello sport, che pure a suo modo il giovane direttore Stefano Feltri cerca di trattare lo stesso ogni tanto, senza andare proprio appresso ai brogliacci dei posti di polizia negli ospedali o alle partite.

Se poi il lettore volesse fare contento davvero l’anziano editore e finanziere, senza la sfortuna di vivere a torto o a ragione di reddito di cittadinanza, potrebbe anche aggiungere agli acquisti giornalieri nelle pur sempre meno frequenti edicole italiane il manifesto, fatto da gente in gamba e per bene, non a caso cacciati dal Pci di quei trogloditi a loro insaputa di Longo ed Enrico Berlinguer.

Ah, ad averne ancora in giro di editori così fantasiosi e stravaganti nel sapere conciliare il denaro e la puzza che la sua amata sinistra in genere gli attribuisce. In giro davvero, a creare giornali mentre in genere se ne chiudono, e non solo come editori di intrattenimento. Che possono togliersi anche la soddisfazione di bocciare come leader, per esempio, il segretario del Pd Enrico Letta rovesciandolo con una smorfia dal palco del “trionfo” improvvisato al Nazareno dopo le elezioni amministrative di ottobre. O di dare dei pirla ai tanti politici, osservatori, politologi che si stanno scannando nelle previsioni e nel tifo ai bordi della pista del Quirinale, senza capire che questo invece è il momento di lasciare ciascuno al suo posto: Sergio Mattarella al Quirinale, magari legato con le cinghie alla poltrona, visto che non vuole saperne di restarvi, e Mario Draghi a Palazzo Chigi non foss’altro a godersi lo spettacolo dei partiti della maggioranza ai quali riesce a far perdere la testa, fortunatamente a vuoto, almeno sino ad ora.
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