Il “piatto ricco mi ci ficco” non vale solo in cucina o a tavola, come preferite. Vale anche in politica, particolarmente nella lettura dei risultati elettorali quando si è a corto di voti ma non di fantasia, per cui ai primi si supplisce con la seconda. E si cerca di piantare bandierine anche dove non si dovrebbe, usurpando spazi, conquiste e quant’altro.


Mettete il caso del turno elettorale appena concluso, tra voti comunali, regionali e suppletivi, e soffermatevi sulla scoperta, chiamiamola così, del Fatto Quotidiano che a vincere non è stato praticamente nessuno, neppure la combinazione del Pd-5 Stelle vantata nel titolone di prima pagina e orgogliosamente contrapposta alle destre perdenti “anche unite”, nonostante la vittoria vantata da Silvio Berlusconi nelle regionali calabresi. Dove il centro-destra, grazie anche al trattino che l’ex presidente del Consiglio ha adottato e alla superiorità elettorale conservata dalla sua Forza Italia rispetto agli alleati, ha vinto alla grande.
Visto che i “non votanti”, come li chiama il direttore del Fatto Quotidiano, si sono confermati, anzi rafforzati come “il primo partito d’Italia”, il più grande estimatore vivente di Giuseppe Conte ci si è voluto ficcare dentro scrivendo che a popolarlo sono “soprattutto i 5 Stelle in attesa di un’offerta credibile”. Che evidentemente non è, o non è ancora, e chissà se e quando diventerà quella dello stesso Conte finalmente insediatosi alla presidenza del movimento. E che ora -ha sempre scritto Travaglio- “dovrà trovare linguaggi e contenuti di populismo gentile e competente per recuperare almeno una parte delle periferie sociali ed elettorali che non si sentono rappresentate da nessuno”. O non più rappresentate, visto che dopo avere scommesso sui grillini, per esempio, nelle precedenti elezioni amministrative o nelle politiche del 2018, avrebbero ora, per la stessa analisi tentata da Travaglio, disertato le urne e rafforzato il già “primo partito d’Italia”.
Chissà se la finezza, o furbizia, di quel “populismo gentile e competente” supererà nella stessa redazione del Fatto Quotidiano il severo esame di Selvaggia Lucarelli, espostasi di recente in prima pagina contro il linguaggio troppo cortese o prudente di Conte. Che per difendersi o ripararvi provvide quasi nella stessa giornata a rinfacciare a Giorgia Meloni “il privilegio” della sua indennità parlamentare per contestarle il diritto di partecipare alla guerra appena dichiarata dai due Mattei -Salvini e Renzi- al cosiddetto reddito di cittadinanza, voluto dai grillini per sconfiggere finalmente, e addirittura, la povertà. Ricordate?
Del partito dei “non votanti” -di maggioranza relativa a livello generale sul piano amministrativo, secondo i dati di lunedì del Ministero dell’Interno, ma di maggioranza addirittura assoluta in molte delle grandi città, dove è andato alle urne meno della metà degli elettori chiamativi- sono stato abituato a pensare tutto il male possibile prima a scuola e poi nelle redazioni dove mi à capitato di lavorare, pur non avendo avuto come maestri i discepoli a distanza di Antonio Gramsci. Il quale più dei fascisti odiava solo gli “indifferenti”, quali ben possono essere considerati i disertori abitudinari delle urne, spesso del resto accomunati non a torto agli evasori fiscali.
Vi confesso tuttavia che di fronte alle dimensioni ormai assunte dall’astensionismo comincio a chiedermi se sia giusto continuare a considerarlo come in passato, quando bene o male ci sentivamo un po’ tutti protetti in qualche modo da un sistema democratico abbastanza forte, fatto di partiti solidi, bene organizzati, con i loro congressi, le loro classi dirigenti selezionate eccetera eccetera. Adesso, con partiti senza idee, oltre che senza ideologie, senza leadership o con leadership troppo personali, che finiscono paradossalmente per diventare la stessa cosa, mi chiedo se possiamo permetterci di alzare le spalle e continuare a dire che gli assenti hanno sempre torto. Che l’abbiano spesso avuto in passato non c’è dubbio, lasciando giocare la partita agli altri, come fecero i cosiddetti aventiniani lasciando a Mussolini il campo più libero di quanto già lui non fosse riuscito a procurarselo. Ma il passato vale ancora per il presente?
Mi chiedo se non sia il caso di cominciare a domandarci tutti insieme se gli assenti hanno davvero e sempre torto, così come i negozianti sono tenuti a dare sempre ragione ai clienti. E se anche gli assenti avessero ragione come a volte, quanto meno, hanno torto i clienti a pretendere, per esempio, prodotti di qualità a basso costo?

Con un’affluenza alle urne ridotta ai livelli di domenica e lunedì scorso si dimezzano di valore, in un sistema rappresentativo già in crisi come quello parlamentare, anche le vittorie e le sconfitte. Penso alla vittoria, per esempio, del segretario del Pd che torna alla Camera votato da meno del 36 per cento del corpo elettorale del collegio in cui si è proposto. O alla sconfitta di un movimento come quello grillino – “scomparso al nord”, ha detto Romano Prodi-da cui però potrebbe continuare ancora a dipendere, nonostante l’isola milanese, il centrosinistra così orgogliosamente vincente da avere commosso il vecchio Sergio Staino sulla Stampa. E’ tutto vero o tutto falso? Chissà.
Pubblicato sul Dubbio
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